Un prete, come tanti altri, ha lasciato il proprio ministero. Tuttavia stavolta si è scatenato il clamore mediatico. La sua Diocesi ha reagito dicendo che non è un atto di eroismo, perché gli eroi sono quelli «che rimangono in trincea anche quando infuria la battaglia». Quale trincea e quale battaglia? Insomma, se non ho frainteso: eroe non sarebbe chi lascia, ma chi resta prete. Personalmente non penso sia così. Perlomeno, non sempre.
Preti che lasciano, preti che restano
Ci sono preti, religiosi e religiose che lasciano. Come il mio primo padre spirituale, un prete di rito latino che ora è felicemente fidanzato; come chi non reggeva più quella cotta giovanile divenuta presto una serie di errori, abusi e violenze contro la propria dignità e libertà; come chi ha capito che così facendo stava combinando solo danni; come chi ha preferito una vita mondana più appagante.
Ci sono poi altri che restano tali. Vuoi perché «ormai alla mia età non saprei cos’altro fare, con la disoccupazione che c’è in giro»; vuoi perché temono di deludere famiglia, amici e conoscenti impiccioni; oppure perché invece scommettono che solo così potranno davvero far fruttificare i doni di Dio a loro affidati.
Non sono io a giudicare il singolo «caso», che innanzitutto è una donna o un uomo. Ma se è vero che non si è eroi perché si lascia, neppure si è eroi perché si resta o perché si entra.
Si è eroi quando si amano persone in carne ed ossa, nel modo migliore che ci è possibile in questo momento aperto all’infinito, che ci spinge ai limiti della nostra condizione personale e sociale.
«Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!»
Ho avuto la grazia di affiancare da più o meno vicino alcuni amici nel maturare la decisione se «entrare», «restare» o «lasciare», anche per quanto riguarda il presbiterio. Qualcuno ci sta ancora pensando, qualcuno ci ha pensato e qualcun altro ancora ci ha persino ripensato. Donne e uomini che si sono presi del tempo per leggere la loro storia con il Signore.
Il vero eroe è chi in ogni tempo e in ogni luogo ascolta la propria chiamata a perdere tutto ciò che ha e ciò che è – a seconda dei casi: famiglia, fidanzata o fidanzato, aspettative, status sociale, incluso quello «religioso» – per vivere l’amore di Dio nel proprio corpo di relazioni verso la pienezza.
Preghiamo allora per tutti gli eroi che continuano a fare discernimento per accogliere quella Novità che accade nel cammino di ciascuno. E penso innanzitutto a padre Benedetto, il papa emerito che ha osato la libertà di lasciare il ministero petrino.
Dovremmo supporre, con questi criteri, che il discorso valga anche per chi sposato/a lascia la propria famiglia “per vivere l’amore di Dio nel proprio corpo di relazioni verso la pienezza”? che significa ? Mi sembra poi illogico paragonare papa Benedetto che lascia il ministero petrino con chi abbandona la propria vocazione. Non mi pare questo il ruolo dell’epikeia.
Il mio commento vorrebbe essere in realtà una breve replica più al comunicato della diocesi di Foligno che al suo articolo. Concordo con lei sul fatto che non è eroe solo chi rimane, a meno che non si vogliano rovesciare i termini di ciò che significa essere eroi. Perché può essere molto eroico anche avere il coraggio di chiedere la dispensa – che fino a prova contraria è prevista per farne uso – e non vivere una vita colma di ipocrisia e menzogne, se non di veri e propri crimini. Può essere molto eroico vivere con addosso lo stigma di un sacerdozio tradito. Ed è sicuramente eroico saper essere capaci di fare un passo indietro, non semplicemente e banalmente perché uno non ce la fa a dominare i propri sentimenti, ma perché forse proprio nel discernimento ha capito che quella nuova qualità d’amore non darà meno frutti, anzi. Un ministero che si arricchisce anziché impoverire. La promessa che il prete fa a Dio non è più importante di quella che Dio fa a lui: essere capaci di amare e di ricevere amore, in tante e sorprendenti forme. Mentre il discernimento tanto invocato, va sempre e solo in un’unica direzione: il celibato è la pietra angolare di tutto. E qualunque cosa se ne discosti viene letta come perdita e tradimento. Ma chi veramente desidera discernere la volontà del Signore deve essere pronto a esiti che potrebbero non essere sempre così scontati.
Grazie di quest’articolo Piotr. Indipendentemente da quello che si possa pensare nel merito di questa vicenda, io credo che il nodo teologico (lascio da parte quello economico legato all’8×mille) alla base di tutta la questione sia fondamentalmente uno: la questione degli “stati di vita”. Ossia porsi davanti alla realtà come se esistessero ancora. Tutto il resto, mi sembra, non è che la conseguenza della mal digerita “liquefazione” della moderna “solidità” alla quale si aspirerebbe ancora. Ma che nella realtà non esiste più. La realtà cambia “stato” in conseguenza di molteplici fattori, e nonostante le nostre irrinunciabili istanze razionali e morali: prima o poi con questa evidenza toccherà farci i conti.