L’annuale convegno dell’Associazione italiana catecheti (Roma 6-8 settembre) ha rimesso a tema Il ministero del catechista e i ministeri laicali in una comunità sinodale. È stato un percorso frammentato, difficile cogliere il nuovo che può venire dalla tematica affrontata, anche se ricchi sono stati i momenti di confronto in vista di chiarificazioni e di attenzioni da sviluppare.
Leghiamo l’attenzione al contributo che è stato offerto da Rinaldo Ottone, docente presso la Facoltà teologica del Triveneto. Ha esordito rilevando: «Si mescolano sempre le stesse cose, e peccato che si arriva a proporle con quarant’anni di ritardo. Affrontate quant’anni fa, sarebbe stata tutta un’altra cosa, rilanciate oggi rischiano di essere improduttive». Ma è pur vero che ogni esperienza potrebbe essere l’occasione per domandarci in verità se i nostri modelli di azione debbano rimanere esattamente gli stessi, senza alcun ritocco.
Il relatore si è interrogato in che modo poter entrare per dar vita a una proposta e si è lasciato ispirare da un libro di Ghislain Lafont del 1991: Immaginare la Chiesa cattolica, offrendo un contributo sull’immaginazione per uscire dal torpore della nostalgia, sviluppare il bisogno della ricerca, aiutare le comunità ad essere profetiche.
Gestire la diversità
Per immaginare un nuovo modo di vivere la ministerialità è importante gestire la diversità. Per diversità, si intende l’insieme delle differenze e delle somiglianze individuali che esistono tra le persone. È importante integrare e valorizzare le somiglianze e le differenze degli individui all’interno della realtà ecclesiale. Acquisire l’abilità di riconoscere l’unicità di cui ogni individuo è portatore, è la base per ottimizzare l’azione di ognuno.
La diversità nel modo di dire ecclesiale è un dato di fatto. Si parla di clero e laici, fede confessante e fede che salva, praticanti e non praticanti, uomini e donne. In tutte queste espressioni c’è una «e» di congiunzione che, anziché congiungere, accentua la diversificazione.
Non ci possiamo nascondere che le distanze in tutte queste espressioni e in tante altre sono vissute nell’ambito della ministerialità in maniera non sempre pacifica. Pensando al mondo dei catechisti, il pericolo è quello di spostarsi verso una clericalizzazione magari rivendicata dalla professionalizzazione del servizio. Perché non si creino distanze è importante chiedersi come si immagina il ministero del catechista, su che immagine di Chiesa lo si costruisce.
Dalla separazione all’inclusione
La separazione è un approccio che, meno di altri, permette l’integrazione delle diversità, mentre l’approccio integrativo rappresenta la forma ottimale di interazione tra le persone appartenenti a gruppi con visioni diverse. Grazie all’integrazione, gli aspetti migliori delle varie realtà sono combinati e affiancati ai valori della cultura organizzativa, cercando di conservare quanto più possibile i valori culturali propri di ciascuno.
Con tutte le nostre specializzazioni pensiamo di portare i soggetti dalla fede di seconda mano alla fede di prima mano, ma non può funzionare così. Fedele è sia il praticante che il non praticante. Lo dice Gesù. Noi pensiamo che chieda a tutti di seguirlo. Ma a qualcuno dice esplicitamente di non seguirlo: «Va’ e, d’ora in poi, non peccare più» (Gv 8,11; Gv 5,15). Non si deve fare mistero di una Chiesa dove qualcuno viene invitato ad andare a casa.
Per un’esclusione o per un’inclusione occorre far funzionare bene la nostra immaginazione. Esemplare la narrazione del pastore che si accorge che dal suo ovile manca una pecora (Lc 15, 4-6). Ma a noi non ne manca una, ma le novantanove, e questa è una responsabilità. È più facile stare a casa che andare fuori, ma al pastore e ai ministri è chiesto di andare fuori. Non si è chiamati a pettinare le pecorelle del proprio gruppo. La grazia di chi esce e sta fuori è la grazia di non praticanti, credono, ma sono immersi nel mondo. La parabola del padre misericordioso (Lc 15,1-32) ci richiama che il deficit originario della comunione non è la fraternità, ma la filialità.
La metafora della polifonia
Il bene come concetto condiviso aiuta a pensare che la Chiesa è un soggetto collettivo. Solo insieme, e grazie all’apporto di tutti, può compiere la sua missione e porre atti celebrativi, catechetici e formativi che sono necessari per la vita intera e per l’azione del mondo. La pluriministerialità è un dato di fatto a cui non è possibile sottrarsi.
Si inserisce qui molto bene il quadro di riferimento e il cambiamento che può avvenire attraverso la metafora della polifonia. Una voce propone il motivo, poi lo ripropone un’altra e poi un’altra ancora, ma tutte le voci diventano importanti per sviluppare quel momento.
È tipico dello Spirito fare ordine. Ma è la stessa presenza di ognuno che offre qualcosa di nuovo e nutre l’immaginazione. Come avviene nella polifonia, ogni soggetto viene ad essere definito non solo dagli atti specifici che pone.
Le figure ministeriali parlano e operano mai individualmente ma costruendosi reciprocamente insieme, come nella polifonia. Per cui è essenziale conoscere la trama ideale di relazioni e lo specifico ruolo attribuito a ognuno e, allo stesso tempo, è solo la messa in opera sempre unica che permette di costruire realmente la storia.
Un combattimento amoroso
Se è importante l’azione concordata (polifonica), non meno presente è il bisogno di chi vuole comprendere e vagliare fino in fondo le ragioni dell’altro e chiedere la più radicale e critica attenzione per le proprie. La verità comincia a due. E questo è tutto il contrario della semplice tolleranza.
In sostanza, ci sono due modi di lottare, quello in cui si tende ad annientare l’avversario, e quello in cui si combatte insieme dove non si mira mai alla vittoria.
Oggi nella comunità ecclesiale c’è un deficit di immaginazione e c’è un deficit della nostra capacità di combattere per le cose specifiche dell’amore, è carente un’opposizione positiva.
Il dono dello Spirito
Il vissuto della gente dice che c’è nostalgia di riti che diano sicurezza, bisogno di verità che orientino, percezione di un Dio che va riscoperto. Se così stanno le cose, c’è bisogno di una ministerialità che parta dal basso: attivare cammini verso una fede adulta, riscoprire la vita come dono, orientare verso il trascendente, aiutare a cogliere una dimensione mistica della vita.
Esiste una gerarchia della verità. La verità secondaria non deve oscurare il messaggio centrale. Nei social media, con la loro trasmissione istantanea di slogan semplificati e di frasi ad effetto, le sfumature si perdono. La focalizzazione inequivocabile sull’amore e la misericordia sconfinati di Dio spaventa alcuni perché potrebbe essere fraintesa. Chi desidera la sicurezza non ama la “perplessità”.
Sì, potremmo essere fraintesi, ma è accaduto anche a Gesù. «I farisei e gli scribi mormoravano: “Costui riceve i peccatori e mangia con loro”» (Lc 15,2). Se permettiamo alla «libertà inafferrabile» dello Spirito Santo di agire nella nostra vita, saremo spinti a fare cose che verranno fraintese.
Mi sembra invece che potremmo raccogliere l’opportunità che ci viene data per riconoscere, che siamo un nulla che stranamente però confina con Dio (Henri de Lubac).
La Chiesa esiste esattamente perché Dio dinamicamente e ininterrottamente ci fa dono della Persona-dono che è lo Spirito. E noi consegniamo la nostra finitudine nelle mani benevole e sicure di Colui che è il Creatore, il Padre che dona lo Spirito.
Non si può pensare di «avere la fede», come se fosse qualcosa di statico, di acquisito una volta per tutte. Al dono ininterrotto dello Spirito corrisponde una fede ininterrotta, dinamica, che attraversa le stagioni, i momenti, le tappe, i drammi in maniera rinnovata. Ci sembra che una Chiesa che prende confidenza con questo, possa riscoprire e dare peso al cuore della sua vita.
Immaginare è un tentativo di lettura per guardare oltre i limiti per restituire i fondamenti del credere, costruire a partire dal resto, aiutare a ritornare a casa rivisitando la Parola, riattivare l’immaginazione. È importante rinnovarci per poter rinnovare, appropriarci di convinzioni che possono diventare azioni, valorizzare la ministerialità, immaginare per far accadere.[1]
[1] Cf. R. Paganelli (a cura), Immagina, puoi! “Una porta aperta nel cielo”, Edizioni la Meridiana, Molfetta 2021. Suggeriamo questo strumento, frutto di un lavoro compiuto con l’équipe della Scuola nazionale per formatori all’evangelizzazione (Siusi), per continuare a tener viva la possibilità di immaginare in ambito catechistico.