Dal 28 gennaio al 3 febbraio 2024, oltre una sessantina di Pie Discepole del Divin Maestro si sono incontrate per celebrare i cento anni di fondazione, insieme a rappresentanti dei vari istituti della Famiglia Paolina. Si sono incontrati ad Ariccia (RM) presso la Casa Divin Maestro.
È significativo che si sia sentita l’urgenza di riflettere sul tema «La voce della donna nei ministeri della Chiesa. Un dialogo sinodale».
Parlando a braccio ai membri della Commissione teologica internazionale, papa Francesco diceva: «La Chiesa è donna. E se noi non sappiamo capire cos’è una donna, cos’è la teologia di una donna, mai capiremo cos’è la Chiesa. Uno dei grandi peccati che abbiamo avuto è “maschilizzare” la Chiesa» (30 novembre 2023). Proprio a partire da questa considerazione, Lidia Maggi ha messo in rilievo il valore della reciprocità.
Reciprocità: maschio e femmina li creò
L’umanità nasce plurale, «maschio e femmina Dio li creò» (Gen 1,27). La vita umana, creata fin dai primordi come plurale, differenziata, è fatta per la relazione. Non esiste umanità senza questa reciprocità.
La donna, creata in un secondo momento, è diversa dall’uomo maschio, ma ha la stessa dignità: è formata da Dio come l’uomo, è impastata con la stessa sostanza dell’uomo, perché possa camminargli a fianco e consentire così l’esperienza dell’«in-contro».
E, se l’incontro lo fa cantare, il canto non è rivolto direttamente alla donna. Canta di lei ma non con lei; parla di lei ma non con lei. Il riconoscimento è dimezzato: lui la riconosce come parte di sé senza riconoscerla altro da sé.
La reciprocità della relazione è ferita dall’agire maschile sulla scena primordiale: non basta la parzialità, che porta a sentire il bisogno dell’altra; occorre riconoscere e rispettarne l’alterità. Essa riguarda ogni relazione umana e persino le dinamiche ecclesiali.
La Chiesa, definita da papa Francesco come donna, si scopre maschile quando l’alterità delle donne non è riconosciuta. Quando si parla di loro senza parlare direttamente a loro. Quando le donne rimangono in silenzio, seppure esaltate e riconosciute come fondamentali. Quando la loro funzione, il loro carisma e gli ambiti della loro vocazione vengono delineati (o cantati) dallo sguardo maschile, per quanto autorevole ed esaltante. Anzi, spesso l’esaltazione femminile si rivela ancora più manipolativa della denigrazione.
La reciprocità nella Chiesa è malata fino a quando le donne non saranno in grado di dire sé stesse e l’altro a partire dal proprio sguardo, con la propria voce. Voci e sguardi parziali, ma indispensabili per l’in-contro, iniziando dalla Chiesa che dovrebbe essere quel laboratorio in grado di provare a dar forma al sogno di Dio.
Discepolato e diaconia femminile
Elena Bosetti, muovendo dal vangelo di Luca, ha messo il focus sulle discepole itineranti con Gesù e i Dodici per evangelizzare, annunciando la buona notizia del regno di Dio. Siamo a un punto della narrazione in cui si può vedere come il gruppo di Gesù sia andato crescendo e sia costituito ormai non solo dai Dodici ma anche da Maria di Magdala, da Giovanna moglie di Cusa, da Susanna e molte altre (Lc 8,1-3).
Non si tratta di un evento estemporaneo perché queste donne accompagneranno Gesù fino a Gerusalemme. Sono testimoni della morte e della sepoltura di Gesù (Lc 23,49.55-56) e, soprattutto, sono le prime annunciatrici della sua risurrezione (Lc 24,1-10).
Notiamo che il Gesù di Luca di ritorno in Galilea non chiama subito Simone e compagni a seguirlo, come invece racconta Marco in 1,16-20. Non ci sono ancora discepoli al suo seguito.
Quando da Nazaret scende a Cafarnao, prima di chiamare Simone al suo seguito per diventare pescatore di uomini, entra come ospite nella sua casa, ascolta, si china sulla suocera di lui, la risana e la trasforma in diacona. Infatti, lei prontamente si alza e si mette a servire.
È molto probabile che, per secoli, non si sia prestata attenzione a questa precisazione dell’evangelista perché si dava per scontato che l’unico ruolo delle madri, sorelle, nonne e suocere fosse quello di garantire le faccende domestiche. Ma, quando un evangelista utilizza il verbo «servire» non pensa alle faccende domestiche. La diaconia rappresenta una precisa responsabilità all’interno della missione di Gesù e, più tardi, di quella dei suoi apostoli.
Ritornando a Lc 8,1-3, notiamo che, all’origine della sequela e della diaconia, c’è un’esplicita chiamata. Ciò che invece Luca esplicita è che queste donne hanno tutte fatto esperienza dell’amore gratuito e sanante di Gesù. Sono state da lui guarite nel corpo e nella psiche.
L’amore ricevuto le ha rese audaci, capaci di un’avventura nuova e impensabile: hanno abbandonato il passato per servire il Maestro che faceva rifiorire la vita.
I tratti caratteristici del discepolato femminile sono bene espressi da due verbi essenziali sui quali concordano anche Marco e Matteo: «seguire» e «servire», ovvero sequela in chiave di diaconia. È davvero significativo il fatto che nei vangeli la diaconia sia prerogativa di Gesù e delle donne.
Gli annunci della passione non dovettero essere esclusivamente riservati ai Dodici (come generalmente si ritiene), perché, quando Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo, si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato, si sentono dire da due uomini in abito sfolgorante: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno». Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri (Lc 24,5-9).
La prima a risorgere è la memoria delle donne che, per prime, ricordano le parole che Gesù aveva detto circa la sua morte e risurrezione, mentre salivano insieme verso Gerusalemme.
La narrazione di Luca prosegue dicendo che le donne annunciarono che Gesù era risorto. Questa è la grande diaconia affidata alle donne: la predicazione del Risorto. Proprio loro hanno evangelizzato gli apostoli con l’annuncio della risurrezione!
Ministerialità nella Chiesa
Il percorso fatto dalla Chiesa in riferimento alla ministerialità, a grandi linee lo conosciamo, quanto meno ne vediamo i risultati. Gli interventi di suor Elena Massimi, suor Annamaria Sgaramella e Serena Noceti hanno evidenziato il fatto che, negli ultimi anni, papa Francesco ha riacceso nella Chiesa la curiosità teologica e pastorale sul tema dei ministeri non ordinati.
Per secoli, il modello celebrativo dell’amministrazione è stato segnato da un’azione liturgica minimalista e funzionalista. Oggi la Chiesa sinodale, che nasce dall’eucaristia, non si autoreferenzia in un solo ministro, ma nell’azione di tutti in una comunità intesa come assemblea pluriministeriale.
La liturgia non dice «io» ma «noi», e ogni limitazione all’ampiezza di quel «noi» è sempre grande.
Il clericalismo è cresciuto nel corso della storia della Chiesa, sempre accanto a una liturgia monoministeriale, incentrata solo sulla figura del ministro ordinato. Alla luce di ciò, si avverte l’urgenza di una celebrazione liturgica autentica al punto da dare forma alla comunità di fede e al suo modello ministeriale a partire dal rito celebrato. Papa Francesco getta un po’ di luce in Querida Amazonia dove indica l’urgenza di un’inculturazione della ministerialità.
Il paragrafo QA 94 è molto audace. Tre considerazioni:
– la prima riguarda l’affermazione che «per l’inculturazione della Chiesa» è necessaria la presenza stabile di leader laici
– la seconda è legata a un’apertura all’azione dello Spirito per permettere una cultura ecclesiale «marcatamente secolare», cioè che valorizzi i nuovi ministeri e il protagonismo dei battezzati e delle battezzate.
– la terza si riferisce alla comprensione della presenza stabile di laici, uomini e donne.
Superamento del potere
È indubbio che l’accesso delle donne ai diversi ministeri della liturgia è legato al contesto storico e culturale, a come la donna viene considerata e come si autocomprende.
Il motu proprio di papa Francesco che autorizza l’istituzione di donne come accoliti, lettrici e catechiste, eredita una storia di pensieri e apre a prospettive che chiedono un discernimento. In gioco c’è il pensiero della Chiesa sulla Chiesa, sulla sua autocomprensione.
Questa attenzione ha riaperto questioni antiche, suscitando speranze e opposizioni che, ancora una volta, indicano come la posta in gioco sia il potere nella Chiesa. Se, infatti, il ministero fosse realmente inteso e vissuto come servizio, non ci sarebbe alcun ostacolo per consentirlo anche alle donne. Ma, evidentemente, non è così. Le donne rimangono «a servizio», ma non hanno alcun ruolo decisionale.
La scelta di conferire anche alle donne questi ministeri, che comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del vescovo, rende più effettiva nella Chiesa la partecipazione di tutti all’opera dell’evangelizzazione. Una migliore configurazione e un più preciso riferimento alla responsabilità che nasce, per ogni cristiano, dal battesimo e dalla confermazione, potrà aiutare la Chiesa a riscoprire il senso della comunione che la caratterizza e ad avviare un rinnovato impegno nella catechesi e nella celebrazione della fede. Quindi, è necessario un discernimento comunitario, sia da parte della comunità ecclesiale che della comunità religiosa per dare corso alla ministerialità.
Bisogna domandarsi se il luogo primario ove una religiosa possa esercitare il ministero istituito non sia proprio la comunità parrocchiale. La presenza di alcune religiose in essa potrebbe arricchirsi di questi ministeri, alla luce del discernimento di cui sopra, svolgendo tali servizi, sia nell’azione liturgica, sia fuori della stessa.
Ci sono alcune questioni di fondo su cui continuare a riflettere in merito alla relazione ministeri istituiti/vita consacrata. Tra queste: se, dopo anni di esercizio dei ministeri del lettorato e dell’accolitato nella modalità «di fatto», sia realmente necessaria una istituzione.
E, ancora, se i processi trasformativi che la pastorale ecclesiastica e il significato pubblico di Chiesa stanno vivendo in tutto il mondo consentono di esplorare nuove idee creative per permettere al Vangelo di raggiungere e trasformare tutti gli uomini. Tutto ciò presuppone un processo di conversione all’interno della Chiesa che porti al superamento del clericalismo e del maschilismo.
Un autentico processo di conversione renderebbe la Chiesa «polimorfa», come era del resto quella antica, nella quale erano presenti variegate esperienze ministeriali, al maschile e al femminile.
Il contributo della riflessione, tutta al femminile, può solo far bene al rinnovamento e all’individuazione dei percorsi più adatti per avviare scelte condivise e innovative.
Fra gli “Apostoli chiamati da Gesu’ non ci sono donne. Sono Apostoli perché scelti, chiamati direttamente da Lui. Non c’è nessun cenno nel Vangelo di chiamata di donne al Suo seguito. C’è solo un invito ad avvertire gli Apostoli del Suo prossimo incontro in Gallea. Non è certo un mandato apostolico. Mi sembra che si voglia far dire al Vangelo ciò che non dice.
La donna nella Chiesa deve essere immagine di Maria
La concentrazione dei ministeri nel sacerdozio ministeriale ha annullato i ministeri battesimali. Per secoli si è iperesaltatato il sacerdozio ministeriale e si è sottovalutato il Battesimo nelle sue conseguenze concrete. Il recupero del Battesimo, fonte di tutta la vita cristiana, permette e permetterà alle donne un maggiore spazio di servizio e agli uomini ordinati di vivere il potere, possibilità di compiere il bene e non di dominare. E’ il tempo del Vangelo finalmente.
Ringrazio suor Elena Bosetti per le Sue considerazioni basate sul Vangelo, sulla Parola di Dio. Di quante esplicitazioni sarebbero passibili!
Grazie vivissime!
suor Maria Paola