Dai dati dell’Istituto centrale di sostentamento del clero, emerge che l’età media del clero in Italia è pari a 60,6 anni (+3,2% dal 2000).
L’età media dei sacerdoti italiani è di 61,8 anni ed è aumentata del 4,1% nell’arco degli ultimi 20 anni, mentre quella dei sacerdoti stranieri è pari a 46,7 anni. In calo sono, in particolare, i preti fino ai 30 anni di età, passati dai 1.708 nel 2000 ai 599 nel 2020 (-60%).
Nel 2020, su 25.595 parrocchie, i parroci sono 15.133, ovvero poco più della metà, con una media di 1,7 parrocchie per ogni parroco e di un parroco ogni 4.160 abitanti.
L’incremento dei sacerdoti stranieri in trent’anni è stato di oltre dieci volte: si è passati da 204 nel 1990 a 2.631 nel 2020. Se, nel 2000, il 3,4% dei preti era straniero, nel 2010 la percentuale è salita al 6,6% e nel 2020 è arrivata all’8,3%. Tra i soli sacerdoti italiani, dunque, si è registrato un calo del 19,8% (da 36.350 unità nel 2000 a 29.162 nel 2020). Per i sacerdoti “in uscita”, il valore assoluto non è paragonabile con quello “in entrata”: se in Italia oggi prestano servizio 2.631 sacerdoti stranieri, quelli italiani fidei donum che operano all’estero sono 348.
La parcellizzazione delle parrocchie, con il calo demografico generale e il più grave calo della frequenza dei battezzati ai sacramenti, la solitudine e l’inconsistenza della missione nelle parrocchie sparse sul territorio (ma anche nelle città), stringe il cuore tra l’inutilità e le speranze del futuro.
Un’assemblea universale dei “parroci di campagna”?
La vita comunitaria, nonostante l’invenzione delle Unità Pastorali, non allevia, perché nessuno è in grado di suggerire che cosa e come comportarsi. Gli slogan non riescono a colmare la pochezza delle proposte. Si vive appellando al passato, dovendo mitigarlo o addirittura trasgredirlo.
Le convivenze tra fidanzati e coppie di fatto, l’idoneità a far da padrini, la scomparsa del sacramento della confessione, la sovrabbondanza di Chiese, oratori e cappelle suggeriscono precarietà e pochezza.
Sopravvivono, dove sono radicati, gli eventi che hanno un lontano appello al santo o alla Madonna: cavalcate, torri, quintane, cerchi, cavalli e frecce.
L’unica consolazione sono i funerali: improvvisamente siamo diventati i “preti dei morti”; non ti telefonano più nemmeno i familiari; l’azienda funebre pensa a tutto. Hai però la Chiesa piena, con fedeli che non vedevi dall’ultimo funerale.
L’olio del sacramento dell’unzione degli infermi diventa rancido, perché inutilizzato.
Non aiutano gli studi pastorali, biblici, liturgici: fermi agli anni ’50. Gli aggiornamenti sono verbali, con parole altisonanti, ma sostanzialmente vuote. È tornato di moda lo Spirito Santo; quando non sai che dire, lo invochi, quasi fosse distratto o assente; in più ricorre la “conversione dei cuori”, che nessuno potrà mai controllare.
I superiori vivono lo stesso clima, con il vantaggio di trovare un po’ più di fedeli, perché, quando c’è il vescovo, le persone sono più numerose.
Eppure se la fede – non sappiamo quanto intensa – è testimoniata, si deve proprio al basso clero che vive nei territori. Resiste in condizioni difficili, ma anche oneste e propositive.
Sarebbe bella un’assemblea universale di “parroci di campagna”, gestito da loro, con i vescovi e i fedeli in ascolto: sarebbero più sinceri e meno paludati. Fornirebbero un Instrumentum laboris meno sociologico, ma più consistente. Riuscirebbero, magari con forti contrasti, a rendere pratici gli appelli di papa Francesco.
Nonostante i dati generali non esaltanti, guardando il futuro, non c’è scoraggiamento. La missione ricevuta è vissuta con tenacia e fedeltà. Pensando al parroco (giovane o anziano) che celebra, a fine settimana, tra il sabato e la domenica, cinque messe, per non lasciare soli i fedeli sparsi in parrocchie oramai spopolate, si percepisce la fede dei pastori che non lasciano indietro nessuno. Così per i missionari sparsi nel mondo, i religiosi e le religiose il cui carisma sembra inappropriato. Uno sterminato popolo di chierici e di religiose che non sono stati mai soggetti di attenzione, ma semplici partecipanti. Spesso addirittura spettatori.
Nonostante tutto, non avere paura
Viviamo un periodo di transizione: l’antico sta svanendo, il nuovo non è ancora apparso.
La presenza umana e di fede al proprio popolo è la strada lunga che ci attende. D’altra parte, ci sono tutti i sintomi delle solitudini, non solo clericali. Gli adolescenti cercano di crescere, le famiglie di mantenersi unite, gli anziani di sopravvivere dignitosamente.
Essere vicini, umanamente e spiritualmente è prezioso, in una cultura che ha mercificato persino la consolazione. Viene in mente il pezzo della vita del Signore, chiamato kenosi, di nascondimento. Sperimentarlo, aiuta ad essere umili, ad affidarsi a Dio, a scoprire in fondo ai cuori ciò che è importante. Soprattutto, a non aver paura. La salvezza è una grazia donata: a chi l’ha ricevuta spetta solo il compito di testimoniarla, senza la pretesa di esserne padroni.
La strada della misericordia è la migliore: è ottimistica, recupera il recuperabile, fa rinascere stimoli spirituali sopiti o confusi. Chiudersi in cerchi privilegiati rassicura solo chi vi partecipa.
Un po’ più di coraggio da chi è chiamato all’unità della Chiesa locale non guasterebbe. Peccato che, per molti di loro, i curricula dicono che sono “moderati e prudenti” e per questo scelti a presiedere. Si invoca profezia, ma sembra una missione scomparsa, forse perché è scomoda: ricordare i profeti del passato consola, ma è insufficiente.
Da condividere al 100% Ma perché non si tirano le conseguenze?
Sì, attenzione ai diaconi, i quali, tra l’altro, devono prima badare al proprio lavoro, alla moglie e ai figli. E alle consacrate? Che donano l’intera vita a Dio e alla Chiesa, che sono oggi molto più preparate sul piano teologico e pastorale, che possono venire inserite nella vita pastorale attiva e con responsabilità? Di queste continua il silenzio e l’oblio! Quante paure, ancora!!
Quando s’inverte la piramide, ottieni un solido instabile… Labile, collassa, e subito si forma un’altra piramide…. Forse conviene pensare alla sfera… Cristo al centro.
… per non parlare dei preti che hanno lasciato il ministero. Non ci sono dati ufficiali, non ci è dato saperlo. Io sono tra quelli che a un certo punto, dopo 15 anni di formazione in seminario, ho preferito crearmi una famiglia. Ad oggi non avrei nessun problema a rimettermi in gioco con mia moglie. Ma forse siamo ancora troppo lontani dal considerare alla possibilità di un sacerdozio più universale? Ho sempre detestato il clericalismo provando però tanta compassione per il clero. Ho tanti amici preti che nonostante tutto “si fanno il culo” e ammettono (come ben detto in questo articolo) di ricorrere ai rituali bigotti per attirare un po’ di gente in chiesa. Grazie per questi spunti di riflessione
Faccio notare che nessuno, nelle discussioni o relazioni, prende in considerazione i diaconi che vengono relegati come chierichetti. Ci sono naturalmente delle eccezioni in parroci illuminati e costretti a utilizzarli nella liturgia della parola o altro (poco a prescindere). Tutto questo porta quella solitudine e incomprensione generale anche in un diacono pur avendo quasi sempre una famiglia.
Personalmente, come detesto il clericalismo, così ho una grande compassione per i presbiteri. Alcuni l’hanno data per persa, altri sono travolti da compiti NON SPIRITUALI. Globalmente è un grande fallimento, di cui l’episcopato non vuole vedere la gravità. Quando i nostri seminari si vuoteranno del tutto, bisognerà invertire la piramide: prima le comunità dei credenti, poi i ministeri dalla comunità. E bando all’ipocrisia del celibato obbligatorio
Quando s’inverte la piramide, ottieni un solido instabile… Labile, collasa e subito si forma un’altra piramide…. Forse conviene pensare alla sfera con Cristo al centro.
Parole sante da sottoscrivere una per una.
Se mi potessi concedere una piccola aggiunta parlerei anche della ricattabilità.
Quanti parroci non allineati tengono per sé e per pochi intimi i propri pensieri?
Quanti parroci sono stati mandati “a Roma a studiare” oppure “in ritiro spirituale” perché non in sintonia con i superiori? Io ne conosco almeno uno.
E non allineato è oggi il prete che prega troppo, che pretende che le persone si mettono in ginocchio durante la consacrazione, che non è moderno e che magari indossa la talare.
E tutto questo malgrado la carenza di vocazioni.
Mancano i preti e quei pochi che ci sono devono pure stare in campana.
I cosiddetti laicilrendetannl il posto dei preti. Allora si vedra’ se davvero tali “laici” sono piu’ bravi , oppure si vedra’ esattamente il contrario. Che la figura del parroco, benche’ ognuno abbia o suoi difetti, sara’ enormemente rimpianta dai fedeli, quando si troveranno davanti dei laici so-tutto-io stile amministratori di condominio a guidare le parrocchia. Gia’ me le vedo certe laiche perfettibe e fanatiche a comandare a bacchetta, a predicare dal pulpito,
I parrocchiani rimpiangernno amaramente il vecchio,imperfetto, umano, parroco d’ altri tempi. Ma probabilmente le laiche fanatiche predicheranno a panche vuote, perché: i fedeli saranno fuggiti tutti.
Comprendo il discorso svolto con lucidità da don Vinicio, che apprezzo molto, ma è pur vero che la situazione attuale è il frutto di scelte pastorali sbagliate (https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2020/11/cattolicesimo-borghese5.html). Sono rimasto sorpreso nel leggere che nella diocesi di Bressanone – non so se anche altrove -, dopo anni di formazione, riceveranno il mandato del vescovo diverse laiche e laici per guidare nelle parrocchie dove il prete non c’è la liturgia della Parola. Ecco questo lo trovo un segno dove la solitudine del parroco è smorzata dalla corresponsabilità. Nelle Marche una cosa del genere per ora è impensabile … si pensa alle unità pastorali. Sono scelte, di cui anche il clero ha la responsabilità: dove è la parresia verso il vescovo? Ovviamente non lo dico contro di te, don Vinicio, ma a tuo favore. Tanti tuoi confratelli hanno taciuto in questi anni, per comodità o per ignoranza.
Bello, grazie.