Prima di vedere in che consiste, però, c’è una stranezza da considerare: il termine “lungimirante” è attestato solo nel 1918. Il suo profilo pare latino, e se qualcuno squadernasse un’ascendenza che ci portasse in epoca imperiale o classica, chi potrebbe d’acchito sospettare l’errore?
Eppure, per quanto gli elementi che lo compongono siano antichi, la loro composizione in questa veste è recente – e insomma, la delineazione di questa porzione di accortezza non è frutto della saggezza degli antichi, ma di quella dei bisnonni coi baffi a manubrio.
Com’è elegante quel “lungi”: oggi lo viviamo solo in espressioni sostenute tipo «lungi da me» o «lungi dall’essere», ma richiamando il longe latino ha una figura molto meno sbavata del “lontano”, passato da longiter (comparativo di longus), e poi da un ipotetico longitanus. Paradossalmente, nella sua brevità sa sospendere la lunghezza in modo profondo, indefinito.
Su questo modo di intendere la lunghezza, che sulla linea del tempo diventa il futuro, si installa il “mirare”, un guardare attentamente che parimenti, da sé, oggi è davvero desueto (se non si parla di armi e bersagli). Magnifico come due pezzi d’antiquariato, insieme, costruiscono un termine rimasto molto più comune e fresco.
Il lungimirante, nella sua azione da participio presente, guarda concentrato in lungo i futuri sviluppi di un fatto o di una situazione: non si fa distrarre od offuscare dagli strepiti urgenti dell’adesso, si tiene con la mente limpida su ciò che – lo intuisce, anzi lo vede – deve o può accadere sulla distanza temporale che importa sul lungo periodo, sul periodo maturo per i risultati pieni. E quindi provvede in pieno anticipo.
Una virtù decisiva
Sono convinto che il presbitero in quanto guida di comunità debba possedere le tre qualità decisive che Max Weber ritiene decisive di un uomo politico: la passione, il senso di responsabilità e la lungimiranza[1].
Scrive in proposito Weber: «Passione nel senso di dedizione appassionata a una “causa”», ma, aggiunge, «la semplice passione, per quanto autenticamente vissuta, non è ancora sufficiente. Essa non crea l’uomo politico se, in quanto servizio per una “causa”, non fa anche della responsabilità nei confronti di questa causa la stella polare decisiva dell’agire. Da ciò deriva la necessità – e questa è la qualità psicologica fondamentale dell’uomo politico – della lungimiranza, vale a dire della capacità di far agire su di sé la realtà con calma e raccoglimento interiore»[2].
In questo mio contributo mi soffermerò in modo particolare sulla lungimiranza. La responsabilità senza passione e lungimiranza diventa vuota di prospettiva, assume connotati egoistici o particolaristici, si lega inevitabilmente a forme di potere autoreferenziale e, in definitiva, irresponsabile.
Che cos’è la lungimiranza
La lungimiranza consiste nella capacità di esaminare le cose in prospettiva, supportata da una notevole ampiezza di vedute. È la capacità di essere prospettici[3]. È altresì indicata come saggezza, in quanto il modo di elaborare le informazioni si distingue per la maturità dei ragionamenti e per la capacità di gestire gli interessi in gioco.
Avere lungimiranza significa soprattutto essere in grado di guardare lontano, caratteristica agevolata dall’esperienza, ma senza che l’esperienza diventi una condicio sine qua non per essere lungimiranti. È capacità di ragionamento. È guardare dentro alle cose e coglierne il senso più profondo. Non mette a disagio le persone, ma le eleva, grazie alla possibilità di ampliare le proprie vedute tramite chi riesce a farlo con naturalezza.
Guardare oltre, essere lungimiranti; spesso manca la capacità di leggere il reale oltre il semplice accadere. Questo capita soprattutto quando il presente si consegna a noi nel suo versante drammatico di buio, di assurdo, di negativo, ed è allora che non ci è dato scorgere oltre la pura concretezza dei fatti.
Volendo schematizzare, si può dire che chi possiede la lungimiranza ha consapevolezza di se stesso; denota una certa intelligenza; ha una capacità di giudizio maggiore rispetto alla media; sa ascoltare e comunicare (non solo ascoltare!) con gli altri, trasmettendo le proprie conoscenze senza prevaricare e senza mortificare le capacità di giudizio e di pensiero degli astanti; dimostra una distintiva profondità di pensiero su questioni astratte; usa questa potenzialità per stare bene e per fare stare bene gli altri.
Essere lungimiranti non è diretta conseguenza di un notevole quoziente intellettivo, ma sicuramente avere una bella testa, che sa fare ragionamenti critici, obiettivi e distinguere le ragioni personali dal senso autentico delle cose, aiuta a raggiungere un certo grado di lungimiranza.
Potremo dire che è quella virtù che permette all’uomo di vedere, nel tempo, gli eventi in relazione alle azioni degli uomini, significa nello specifico vedere lontano, mirare a distanza; prevedere è una sorta di chiaroveggenza o di veggenza in qualche modo, è ed portata certamente dalla saggezza e dalla sapienza.
Una virtù da coltivare
È lecito pensare che contesti che favoriscono il confronto, magari caratterizzati da una più vivace vita collettiva, con un’interazione maggiore e, ovviamente, rispettosa delle diversità, agevolino la realizzazione di un modo di essere in cui la lungimiranza diventa un tratto distintivo o creino un terreno fertile per il suo sviluppo.
Come coltivare la lungimiranza, dunque? Come coltivare quell’attitudine a individuare i possibili sviluppi di una situazione, e di adeguarvi con saggezza l’agire? Il lungimirante intuisce il probabile andamento delle cose grazie alla propria acutezza e saggezza; è una persona accorta, avveduta, oculata, previdente.
La lungimiranza è anche “larghimiranza”: la vera saggezza non consiste nel guardare solo davanti a sé, ma anche attorno a sé, specialmente là dove pochi hanno il coraggio di farlo. È lo sguardo che include tutti e non tralascia nessuno. Il “larghimirante” è colui che sa guardare avanti senza dimenticarsi di nessuno, non escludendo alcuno dal proprio raggio visivo[4].
Come si misura la lungimiranza? È un quesito a cui rispondiamo precisando che trattasi di una virtù di pochi capaci di disegnare in anticipo un futuro senza tener conto delle evoluzioni banali del presente.
In ogni fase storica possiamo essere lungimiranti non in modo casuale o perché possessori di rare virtù previsionali ma perché capaci di analizzare e capire davvero le esigenze e le tendenze evolutive di tali esigenze da parte di coloro che giornalmente partecipano nella costruzione della crescita delle diverse realtà in cui vivono. In realtà tutti potremmo essere lungimiranti nella definizione degli scenari strategici di medio e lungo periodo se affrontassimo con la massima umiltà e con una adeguata professionalità l’analisi delle domande che giungono dalla realtà in cui viviamo.
La lungimiranza rende capaci di valutare il singolo caso alla luce del bene comune, distinguendo tra la previdenza e la preoccupazione per il futuro. A ciascun tempo, infatti, appartiene la propria sollecitudine o preoccupazione: all’estate si addice la cura del mietere, all’autunno quella della vendemmia.
Educare alla capacità di visione significa educare all’autodecisione cosciente, al senso della responsabilità personale, attraverso l’esercizio dei diversi momenti in cui si articola l’atto lungimirante: conoscenza, giudizio e leadership.
Il termine usato da Aristotele per indicare quella che noi chiamiamo lungimiranza è phronesis, che deriva da phren, mente, senno, e letteralmente significa azione della mente, prudenza. Forse sarebbe meglio, per abbracciare tutta l’ampiezza del suo significato, tradurlo con “saggezza”, piuttosto che con “prudenza”, termine che nel linguaggio moderno ha assunto un significato alquanto ristretto.
Aristotele, nel definire la prudenza nel libro VI dell’Etica Nicomachea, presenta il modello di quello che egli considera l’uomo saggio: questi non è un filosofo, o un poeta, o comunque uno scrittore, bensì un uomo d’azione, anzi quello che noi oggi chiameremmo un uomo di governo, un leader, ma che gli antichi chiamavano più precisamente un politico come l’ateniese Pericle.
Il sostantivo greco phrónesis già in Omero indicava un modo di pensare unito al sentimento. L’etimologia della parola (da phrén, “diaframma”, “cuore” e, successivamente, “cervello”) suggerisce, inoltre, la concezione di un’intelligenza “vitale”, cioè a diretto contatto con la vita, che costituisce uno degli aspetti più attuali della riflessione etica aristotelica.
Per Aristotele esistono due tipi di virtù: virtù morali (“etiche”), che consistono nell’uso della ragione per dominare gli impulsi sensibili; virtù intellettive (“dianoetiche”), riguardanti l’esercizio della ragione. La phrónesis è appartenente a queste ultime e si colloca in una posizione intermedia tra due virtù: la sapienza e l’arte.
Si differenzia, dunque, sia dalla sapienza (sophìa), il grado più alto della razionalità, che si rivolge ai principi universali, sia dall’arte (téchne), quel sapere tecnico riguardante la capacità di produrre oggetti grazie all’aiuto del ragionamento.
La phrónesis, come l’arte, è volta all’azione, ma per scegliere il giusto comportamento da attuare in una determinata situazione. Per tale ragione, la phrónesis richiede sia la conoscenza dell’universale (come la sapienza), sia del particolare (come l’arte).
La lungimiranza è la capacità di prevedere per tempo ciò che potrebbe accadere in futuro e di adeguarvi con saggezza l’agire.
Lungimiranza e responsabilità
Chi ha responsabilità nella vita della città e di ogni comunità non può sottrarsi alla pressione dell’urgenza per le emergenze che talora scuotono il convivere degli uomini e delle donne. La saggezza richiede l’attitudine e la pratica della lungimiranza, per guardare oltre l’immediato e individuare le vie da percorrere[5].
Ma essere lungimiranti è una virtù seria e richiede esercizio dell’anima. Secondo Aristotele, la lungimiranza era di Pericle, che aveva saputo reggere Atene. Pericle non era un sapiente, come potevano esserlo Talete o Socrate: i sapienti descrivono ordinamenti perfetti per una polis ideale, i saggi costruiscono ordinamenti adatti alla concreta situazione culturale, sociale, politica di una concreta polis.
La mancanza di lungimiranza la si sperimenta, ritardata nel tempo, soprattutto nei momenti di crisi quasi come un rimpianto per ciò che in passato non fu deciso opportunamente.
Chi vuol guardare avanti con lungimiranza deve saper essere un po’ profeta, accettando anche le dure incomprensioni che ciò comporta, ed essere un po’ sapiente, il quale sapiente, pur vivendo nell’oscurità della realtà mondana, è illuminato dallo Spirito di Dio. La profezia è mitezza perseverante e lungimirante, impegnata a promuovere il passo in avanti di tutta la comunità.
Essere lungimiranti vuol dire essere sapientemente profeti e profeticamente sapienti. Significa guardare in profondità la realtà vedendola guidata in modo benevolo da Dio stesso; solo con questo sguardo il nostro operare potrà essere visto come risposta che prolunga l’azione divina superando la tentazione della superbia e dell’autorealizzazione.
La lungimiranza si caratterizza per tre dimensioni. Il lungimirante nel suo guardare avanti deve saper includere il passato, deve essere attento al presente, deve essere orientato al futuro.
Tutti coloro che ricoprono un ruolo di responsabilità sono invitati ad essere lungimiranti, perché da questa virtù dipende la sorte di molte persone. Chi ha responsabilità deve esercitare la propria funzione di comando (basta con la retorica del servizio! Chi serve esegue solitamente, non dà ordini! Si chiamino le cose col giusto nome!) con umiltà, senza presunzione e sapendo che può incorrere, non di rado, in momenti difficili di impopolarità. Non è il successo privato che si deve rincorrere ma il bene di chi si è chiamati a guidare.
Un buon antidoto per non essere autoritari ma autorevoli è di non dimenticare che ognuno è in qualche modo sottoposto a qualcuno fino a quel Qualcuno con la iniziale maiuscola che è Dio stesso.
Ebbene, ogni persona che si sente guidata da altri ha il dovere di ascoltare con serietà, profondità e oggettività quanto gli viene indicato; occorre un atteggiamento di fiducia ed eventualmente di critica intelligente e costruttiva.
La lungimiranza cerca di risolvere le urgenze presenti orientandole a un futuro remoto non dimenticandosi certo delle esperienze passate. Il discernimento possiamo sommariamente definirlo come quel processo nel quale la ragione umana, nel realizzare il bene, sceglie il momento e il mezzo migliore per agire.
La lungimiranza ingloba tutto questo e agisce o invita ad agire con un orizzonte lontano. Essa può essere inquadrata come il passo successivo al discernimento; da quest’ultimo deriva e grazie a lei ci è consentito di progredire in scelte o intuizioni che guardano molto in avanti.
Inoltre, la lungimiranza è un processo anche più lungo del discernimento. Una volta messa in campo una scelta lungimirante, essa va verificata per capire se stiamo operando in maniera autentica oppure se ci stiamo solamente illudendo di farlo.
Lungimiranza oggigiorno sembra una competenza sottovalutata. E’ una competenza raramente citata oggi. Negli anni ’80, gli anni della mia formazione, veniva citata molto più spesso fra le attitudini importanti che deve avere un leader, una guida. Saper immaginare, “annusare” possibili scenari futuri.
È quanto mai urgente saper coltivare la lungimiranza, un atteggiamento poco di moda, per la verità, in questi anni nelle nostre comunità parrocchiali e diocesane, alle prese con la gestione dell’esistente e con la retorica del post-pandemia. Si evoca il cambiamento con il mantra “non sarà più come prima”, ma al contempo non si sanno indicare e individuare nuove traiettorie di azione per il futuro.
La lungimiranza è sorella della speranza, zia della fiducia e cugina della profezia. La lungimiranza ci aiuta a coltivare uno sguardo ampio, profondo, a valutare “cosa fare” senza pensare solo all’immediato, a compiere scelte che prendono forma nel tempo e con pazienza, ma anche con l’audacia di chi sa rinunciare, ridurre e immaginare cose nuove.
Bisogna avere coraggio e lungimiranza. Il coraggio dell’autorità, del convogliare i diversi, del coniugare passato e futuro, dello scoprire non un mondo da costruire ex novo ma del contribuire a modificarlo. Lungimiranza è rendere il momento presente un frutto maturo del passato e un passaggio fondamentale del futuro. Lungimiranza è imparare a ospitare, articolarsi e vivere insieme da diversi, è sapere negoziare in un mondo complesso.
Credo che questo tempo sia uno straordinario kairos che la Provvidenza ci ha regalato. Lo stordimento rispetto a quello che è successo è globale ed è planetario. Questo significa che, oggi, la Chiesa ha la possibilità e al contempo un debito di saggezza, di lungimiranza e di capacità progettuale e profetica a cui difficilmente dovrà rinunciare, altrimenti è risucchiata in un’afasia inquietante. Urgono creatività, visione e lungimiranza per il futuro che vogliamo per la Chiesa e per il mondo. Affido la conclusione alle parole del vescovo-profeta, maestro di “visioni”, il venerabile don Tonino Bello.
Ecco quanto egli invoca per la Chiesa, per intercessione della Madre del Signore: «Donale, pertanto, l’ebbrezza delle alture, la misura dei tempi lunghi, la logica dei giudizi complessivi. Prestale la tua lungimiranza. Non le permettere di soffocare nei cortili della cronaca. Preservala dalla tristezza di impantanarsi, senza vie d’uscita, negli angusti perimetri del quotidiano. Falle guardare la storia dalle postazioni prospettiche del Regno. Perché, solo se saprà mettere l’occhio nelle feritoie più alte della torre, da dove i panorami si allargano, potrà divenire complice dello Spirito e rinnovare, così, la faccia della terra»[6].
[1] Weber M. (2010), La politica come professione, Armando Editore, Roma, p. 9.
[2] Weber M. (2010), La politica come professione, Armando Editore, Roma, pp. 94-95.
[3] Cf. M. Seligman – C. Peterson, Characters strengths, American Psychological Association e Oxford University Press, Oxfors, 2004.
[4] M. G. Portoso, La lungimiranza. Virtù per tutti, virtù di pochi, Messaggero, Padova 2020, pp. 65.
[5] Cf. M. Delpini,…Con gentilezza. Virtù e stile per il bene comune. Discorso alla città, Centro Ambrosiano, Milano 6 dicembre 2021.
[6] A. Bello, Scritti mariani. Lettere ai catechisti. Visite pastorali. Preghiere, Molfetta 1995, p. 114.