Viviamo in una Chiesa gerarchica e ministeriale: significa che chi in essa ha il desiderio di impegnarsi in qualche servizio viene formato, autorizzato, incardinato nella struttura e gli viene affidato un ministero. Nulla da eccepire: un’organizzazione è così che funziona.
Il ministero è promosso dall’istituzione per un servizio. Il carisma è mosso dalla situazione per un servizio. Entrambi, ministero e carisma, si spendono per far crescere la Chiesa. I carismi nati nel corso della storia si sono per lo più strutturati in ordini religiosi o, più recentemente, in movimenti laicali.
Ma, al di là di queste forme, c’è spazio per una spontaneità che operi nella Chiesa senza essere clericalmente strutturata? C’è spazio per iniziative, per servizi che sorgono in persone che si sentono chiamate a dare risposta a un bisogno, ma sentono anche che questo servizio è tutto da inventare, da sperimentare cominciando intanto a farlo come si sa e come si può?
Ci si può aspettare dalla Chiesa incoraggiamento e fiducia e che il giudizio su queste iniziative sia espresso guardando ai frutti e non alle autorizzazioni ottenute? Potrebbe essere questa la strada attraverso la quale i cristiani laici possono assumere spazi di protagonismo nell’aiuto al prossimo e nell’evangelizzazione?
Non autorità, ma autorevolezza
Si può pensare che un laico, per mancanza di «professionalità», sia meno adatto a parlare di Dio. L’esperienza mostra che le persone sentono se puoi essere un luogo d’incontro con il loro Signore, a questo abilitato da una relazione vissuta, per cui alla loro ricerca di esperienza di Dio risponde un’esperienza di Dio vissuta.
Una specifica preparazione non è sufficiente? È necessaria, ma a darle incisività è avere un’esperienza di ciò di cui stai parlando. La parola di chi sta vivendo la realtà dei laici a cui si rivolge, con i problemi legati alla coppia, ai figli, al lavoro, alla situazione economica, all’inserimento sociale magari è la stessa, ma è il fatto di averla vissuta che fa la differenza.
Il contenuto può essere identico, ma diverso è lo spessore esistenziale; ed è questo a renderla autorevole. Il laico impegnato diventa per i laici la cartina al tornasole della possibilità e dell’attrattività dell’essere cristiani. Quando lui parla, nessuno può contrapporgli un «Sì, belle cose, ma nella realtà non è possibile viverle», o un «Dici così perché tu questi problemi non li hai».
La specificità del laico si radica dunque nell’esperienza delle realtà del mondo, da lui vissuta in prima persona assieme al proprio Signore. Il primo requisito per il suo apostolato è un’esperienza personale di Dio, nutrita in una relazione intensa a partire dalla vita e dalle Scritture, vissuta come esperienza permanente di salvezza. È come se Dio gli dicesse: «Sii per gli altri a partire da quel che tu vivi con me. Non un ripetitore, ma uno che vive con me; e da qui aiuta gli altri a vivere con me».
Quale abilitazione
A livello esistenziale, battezzato è chi ha fatto l’esperienza di essere immerso nell’amore di Dio e da esso è riemerso nuova creatura, reso figlio di Dio dall’aver incontrato in Lui un Padre e in Cristo la via per camminare nella vita. È da questa esperienza di salvezza che nasce in ogni battezzato l’interiore spinta a incarnare questo amore nelle situazioni che si trova a vivere.
Nell’assecondare questa spinta interiore, il laico si trova a percorre la via della debolezza: non è da lui legittimare il proprio operato per un curriculum di studi o per il riconoscimento ufficiale da parte della gerarchia: questo farebbe assumere al suo operato una configurazione ordinata, una clericalizzazione; una ministerializzazione, cioè, contraria all’indole carismatica che l’agire laicale deve mantenere.
L’unica validazione che il laico può dare e ha il diritto di veder riconosciuta per il suo agire sono i frutti dello Spirito che nascono da ciò che fa. Il laico non chiede dunque un mandato, ma un riconoscimento di ciò che in lui c’è già; o la fiducia in ciò che comincia a farsi vedere e che, curato, può crescere.
La sfida di una specifica identità
Il laico cristiano è chiamato a vivere l’apostolato valorizzando quelle differenze che gli danno identità: quello che non gli è proprio non deve considerarlo un limite, ma un’indicazione che la direzione giusta per lui è diversa. Spesso la connotazione specifica che è chiamato a dare al suo operare gli deriva da una situazione di vita che è solo sua. Connotazione che si esprime in alcune caratteristiche specifiche.
- L’incarnazione
La caratteristica peculiare della laicità è l’immersione nella realtà del mondo.
A livello personale, i laici hanno, innanzitutto, il compito di capire la Parola di Dio vivendola e di riannunciarla con la propria vita a un mondo che, in continuo cambiamento, più non la comprende. E possono farlo vivendo nello Spirito di Cristo le situazioni in cui vengono a trovarsi, costituendo così una riserva di senso e di speranza a cui il mondo può attingere quando arrivi a incontrarsi con il fallimento delle proprie prospettive.
A livello collettivo, l’immersione nella realtà del mondo assegna ai laici il compito di interpretare i fenomeni sociali e culturali e individuare i modi per inserirsi in essi vivendoli cristianamente. Al suo fianco, il magistero deve ispirare il laicato nella sua azione e aiutarlo a discernerla, ma non è suo compito dirigerla: la Parola deve farsi azione politica, sociale e culturale attraverso il laicato.
- La carismaticità
Poiché è dello Spirito, il carisma è dato per un tempo e per uno scopo. Accolto e vissuto, determina un ministero di fatto, da vivere in comunione con il ministero ordinato, che struttura stabilmente la Chiesa, per il bene comune. Se, in un primo tempo, solo tu oscuramente lo senti agire in te, saranno poi i suoi frutti a manifestarlo e a dirlo autentico.
Non dunque a nome della Chiesa agisce chi esercita un carisma, ma in forza dello Spirito; comunque in comunione con la Chiesa.
- L’apertura alla libertà dello Spirito
Caratteristica della laicità è la libertà di seguire lo Spirito senza essere vincolati dall’incardinamento in una struttura organizzativa. Diventa, così, tipica della natura del laico una libertà di pensiero e di movimento che rende possibile l’azione dello Spirito, che su esso «soffia dove vuole», creando la novità che dice nell’oggi la Parola.
Il laico, inserito esistenzialmente nella molteplicità delle situazioni della vita concreta, può allora pensare e sperimentare nuove forme di vita in Cristo. I frutti poi mostreranno la verità di ciò che sta vivendo, e di questa verità il magistero è chiamato a prendere atto per arricchire la Tradizione.
Anche l’annuncio evangelico del laico è fatto a partire dalla propria esperienza di vita vissuta con Dio, nell’ascolto e nella disponibilità alle chiamate che Dio gli rivolge all’interno delle situazioni che si trova a vivere, talora chiedendogli di rompere vecchi schemi, culturali più che di fede.
- La validazione della vita
Nel deposito della fede c’è una verità da trasmettere intatta e una verità da far emergere confrontandolo con la vita; una verità, quest’ultima, che dalla prima è generata e a sua volta l’arricchisce. Il laico, immerso nella vita in tutte le sue sfaccettature, è nelle condizioni migliori per impiegare e far fruttare il talento della Parola, facendogli esprimere nuova verità a contatto con nuove situazioni e realtà.
E, viceversa, per leggere nella Parola la verità alla luce dell’esperienza della vita. In una coscienza che si rende retta per poter agire moralmente, lo Spirito Santo agisce donando creatività per sperimentare nuove soluzioni e coraggio per attuarle. E le conseguenze diranno la verità di tali scelte.
- Un nuovo modo di evangelizzare
Non solo le Scritture diventano Parola di Dio quando lo Spirito Santo le congiunge alla vita delle persone, ma la vita stessa delle persone diventa Parola di Dio quando vissuta nello Spirito di Cristo. Ogni situazione diventa così, per il laico, luogo in cui incontrare il Signore, che lo aiuta a viverla nel suo Spirito: nella fede, nella speranza, nell’amore. E si trasforma così in storia di salvezza. È con le storie che nascono dal vivere con Dio il suo quotidiano che il laico può farsi compagno di strada delle persone con cui cammina.
La strada si apre
Alle domande che ci siamo poste all’inizio – se per il laico possa esserci uno spazio da protagonista all’interno della Chiesa nel servizio che si sente chiamato a fare – credo sia sbagliato consigliare di attendere di ricevere una risposta prima di cominciare a fare: sarebbe, ancora una volta, un atteggiamento clericale. Come laici siamo nella Chiesa, non nella gerarchia ecclesiale. Cercando la sintonia, non un ministero.
Chi si sente chiamato dallo Spirito inizi senza indugio a camminare sulla strada che assieme a Lui andrà costruendo, scorgendo nella nebbia solo il passo successivo e mettendo in conto difficoltà, sospetti e resistenze.
Solo i frutti gli diranno se sta camminando sulla strada giusta. Certamente, assieme a questa strada, si troverà a dare il suo tocco personale al volto della Chiesa che si sta costruendo nella storia.
Michele Bortignon è da oltre trent’anni accompagnatore spirituale laico. Formatosi con i padri gesuiti, ha proseguito adattando gli esercizi spirituali ignaziani a una spiritualità laicale: il “Kaire!” (kaire-tameion.blogspot.com)
Qualche pensiero:
a) Don Paolo parla di “desiderio di protagonismo laicale”. Siamo alle solite. “Coinvolgimento” laici a parole ma se sono “pensanti” e non “deferenti” ecco che bisogna subito stroncarli (come peraltro commenta Gigi).
b) Faccio parte dell’altra metà del cielo. Ho alle spalle 20 anni da catechista, tutt’ora animazione liturgica, ex consiglio pastorale, ecc.). Era più inclusivo coi laici il vecchio parroco fino ad un decennio fa. Quello nuovo ha limitato a poche persone, quasi solo ministri istituiti. Donne quasi azzerate…. Poi si lamenta che mancano gli aiuti…
c) Condivido in pieno quanto scrive Salvo Coco.
Il dibattito qui proposto resta su un livello umano e intellettuale ( magari anche alto…) ma non supera le nubi e non approda allo spirituale. San Giovanni della Croce sorriderebbe a questo desiderio di protagonismo laicale…
Francamente e con tutto il rispetto per san Giovanni della croce, a me ciò che sembra risibile questo voler ignorare il problema del clericalismo. Suggerisco al nostro don Paolo Andrea di andarsi a leggere la lettera al Popolo di Dio che Francesco ha scritto il 20 agosto del 2018. Ne trascrivo un passo: “E’ impossibile immaginare una conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del Popolo di Dio. Di più: ogni volta che abbiamo cercato di soppiantare, mettere a tacere, ignorare, ridurre a piccole élites il Popolo di Dio abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita. Ciò si manifesta con chiarezza in un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa – molto comune in numerose comunità nelle quali si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza – quale è il clericalismo, quell’atteggiamento che non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente». Il clericalismo, favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo. Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo.”
Solo le anime belle credono nella sincerità dei propositi della Chiesa istituzionale per le aperture verso i laici.
Stante l’organizzazione attuale della società clericale, questa è solo una pia utopia. in primis perché chi detiene il potere cosiddetto spirituale (che è il più insidioso e letale) non lo mollerà mai, in secundis perché i laici non sono stati preparati alla bisogna e quelli che oggi “collaborano” con l’istituzione clericale lo fanno in modo subalterno, ininfluente e insignificante, quando addirittura non corrivo con chi esercita il vero potere sia spirituale sia gestionale.
I proclami ufficiali male odorano di retorica e di gattopardismo, e fanno pensare alle concessioni molto superficiali che concedevano un tempo i padroni fondiari per tenere a bada i coloni e sfruttarli ancor di più.
L’inserimento dei laici nella conduzione della Chiesa sarà una vera e propria rivoluzione teologica e non un semplice inserimento di qualche esperto nei dicasteri vaticani. Avete mai raccolto le impressioni dei laici che siedono nei vari consigli pastorali? Ebbene, fatene un’antologia e ci sarà da divertirsi. Avete mai sentito di laici ammessi a pieno titolo nelle assise dove si prendono le vere decisioni?
Per favore, non tenete bordone a chi gioca con gli specchietti per acchiappare le allodole!
Non tormentateci più con queste “segationes mentales”!
Ringrazio tutti per le intelligenti osservazioni, che evidenziano però un approccio alla riflessione teologica diverso dal mio: non guardo a quel che la Chiesa dovrebbe fare, ma faccio e, dai risultati che ne ricavo, capisco ciò che si può fare. E così, semplicemente, lo espongo. Opero da accompagnatore spirituale laico, in sintonia ma in autonomia, con questa Chiesa così com’è. E così chi condivide con me questa avventura. Ogni riga che scrivo è stata vissuta, per cui prendetela per quel che è: non un’indagine teologica, ma condivisione di un’esperienza. Anche questo è essere laico.
Gaetano Greco 14 settembre 2024
Come osservatore esterno per miei interessi professionali e civili di studio sulla storia della Chiesa in Italia, non posso che concordare in pieno con le osservazioni critiche di Salvo Coco all’intervento di Bortignon. Un intervento che, oltre a ribadire un «paradigma gerarchico-clericalista» fondato sulla superiorità autoreferenziale del clero sul laicato, presenta pure un ulteriore limite strutturale, insopportabile nel XXI secolo. Mi riferisco al silenzio sulla totale e, direi proprio, scontata esclusione maschilista dell’altra metà del cielo dalle pratiche del sacro: quelle vere e importanti, ovviamente, come gli uffici sacramentali, il governo dei fedeli, la definizione della dottrina, la codificazione giuridica, e così via (non certo la recita del rosario o la pulizia delle chiese). Anzi, ogni tanto persino la Chiesa di Papa Francesco invia ai suoi fedeli parole di ammonimento nei confronti dei gravissimi pericoli per la fede, che sarebbero prodotti dagli «studi di genere» nelle scienze umane (Storia, Filosofia, Linguistica, Antropologia, Demografia ecc.). Se anche nella Chiesa Cattolica non sarà frantumato questo doppio «tetto di cristallo» (chierici-»laici; maschi-»femmine), come potranno (come potremo…) vivere e dialogare serenamente insieme nella concreta società civile donne e uomini «di buona volontà», a prescindere dalle religioni o dalle filosofie nelle quali si riconoscono (ci riconosciamo…)??
Nel concordare con Salvo Coco – il testo mostra davvero un linguaggio poco “laico”, per certi versi altri tempi – domando pro-vocatoriamente: quali laici? Non a tutti è concesso, non a tutti è permesso, anzi … talvolta sembrano esserci laici di seria a, serie b, serie c. Occorre dirlo con onestà: i laici “allineati” trovano spazio nella Chiesa. Gli altri rimangono fuori, ai margini. Quando si trattano questi temi mi viene in mente la figura straordinaria di Francesco d’Assisi che, da laico, avvio un movimento che ha inciso profondamente nella storia della Chiesa. Abbiamo bisogno di laici profeti come Francesco d’Assisi!!!
La caratteristica peculiare di essere laico non è semplicemente “l’immersione nella realtà del mondo” ma quello di essere ponte tra la comunità cristiana e la società civile. Il laico è intrinsecamente missionario nella misura in cui nella communità cristiana fa esperienza di Dio. I preti e i vescovi chiedono con insistenza ai laici di essere evangelizzatori, perchè, avendo ricevuto il Battesimo e la Cresima, sono pieni di Spirito Santo, ma non vogliono che i laici parlino allinterno della Chiesa. Questa è la fatica di considerare la Chiesa sinodale, perchè se la Chiesa è missionaria deve essere anche sinodale e se è sinodale deve essere missionaria, chiaramente ciascuno in modo diverso secondo i doni dello Spirito Santo. La sinodalità e la missionarietà nella Chiesa sono inscidibili e sono due aspetti di una stessa realtà.
Dissento dal contenuto dell’articolo. Per una ragione di fondo: le posizioni espresse non riescono a liberarsi dl paradigma gerarchico-clericalista, si muovono all’interno di una prospettiva tradizionale che vede la chiesa composta da “duo sunt genera christianorum”, il clero ed i laici, dove i secondi cercano di ricavarsi uno spazio per poter svolgere i loro compiti battesimali. Spazio che (nella migliore delle ipotesi) gli viene “concesso” dal clero. Ecco quindi che i laici sono quelli addetti alle cose del mondo, giacchè le cose di Dio sono prerogative esclusiva dei funzionari del sacro. E’ un’ecclesiologia che non accoglie la moderna riflessione esegetica e teologica. Nella chiesa non deve sussistere una separazione in due stati di vita, clero da una parte e laicato dall’altra. La chiesa è tutta laica, senza alcun regime di separatezza sacrale. Nessun dualismo chiesa-mondo, e pertanto nessuna differenza ontologica tra clero e laicato. il clero non esisteva nei primi secoli laddove ogni ministero era laico. Tutti i ministeri hanno una radice carismatica ed ogni battezzato partecipa a suo modo ai tria munera cristologici. Siamo tutti re. sacerdoti e profeti. Vige una uguaglianza ed una dignità fondamentali. Le differenze sono solo funzionali e sono date dai diversi doni che lo Spirito offre alle comunità. Quando si cerca uno spazio da assegnare all’azione dei laici, si tradisce tutto ciò e si perpetua la divisione tra clero e laici. Con tutti gli abusi che il clericalismo ha generato.
Concordo pienamente col commento di Salvo Coco.
Purtroppo oggi molti di quelli che scrivono sul laicato ignorano come stessero le cose tra I e II secolo. Molti ignorano persino che nel N.T. non c’è traccia di un gruppo di “sacerdoti cristiani” (tutti i battezzati sono rivestiti di dignità sacerdotale). Nessuno restringeva a sé stesso o a un gruppo circoscritto il titolo di “sacerdote”. Ma molti lo ignorano, così come ignorano l’epoca a partire dalla quale in ambito latino (ahinoi: prima in ambito latino) e poi in ambito greco la qualifica di sacerdote è stata riservata a “funzionari del sacro”.