Sono trascorsi 33 anni – era il 30 dicembre festa della Santa Famiglia – da quando nell’esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici, Giovanni Paolo II scriveva al n. 23: «Ora i Padri sinodali hanno espresso il desiderio che il “motu proprio Ministeria quaedam sia rivisto, tenendo conto dell’uso delle Chiese locali e soprattutto indicando i criteri secondo cui debbano essere scelti i destinatari di ciascun ministero” (78).
In tal senso è stata costituita un’apposita Commissione non solo per rispondere a questo desiderio espresso dai Padri sinodali, ma anche e ancor più per studiare in modo approfondito i diversi problemi teologici, liturgici, giuridici e pastorali sollevati dall’attuale grande fioritura di ministeri affidati ai fedeli laici».
Oggi papa Francesco con il motu proprio Spiritus Domini apre i ministeri istituiti alle donne, ribadendo un principio frutto del magistero conciliare: «Lo Spirito del Signore Gesù, sorgente perenne della vita e della missione della Chiesa, distribuisce ai membri del popolo di Dio i doni che permettono a ciascuno, in modo diverso, di contribuire all’edificazione della Chiesa e all’annuncio del Vangelo. Questi carismi, chiamati ministeri in quanto sono pubblicamente riconosciuti e istituiti dalla Chiesa, sono messi a disposizione della comunità e della sua missione in forma stabile».
Inoltre, per evitare impennate reazionarie e scatti di omofobia ecclesiale ammantate di teologia, il pontefice ha voluto essere subito chiaro e deciso: «Ordino che abbia fermo e stabile vigore, nonostante qualsiasi cosa contraria anche se degna di speciale menzione».
Un segno dei tempi
Quindi, di cosa si tratta? Siamo di fronte ad una novità? Sicuramente la ricuperata consapevolezza dell’indole ministeriale della comunità cristiana è stato uno dei segni dei tempi più significativi del post-concilio. Ciò ha portato alla riscoperta della realtà pasquale e battesimale della Chiesa che si traduce così, anche a livello operativo, per meglio configurare la struttura ecclesiale e i suoi rapporti interni, secondo la volontà del Signore.
La ministerialità qualifica la Chiesa nella sua realtà interna e nei confronti delle dinamiche esterne: Gesù, il Signore e il Maestro, si dichiara servo; la Chiesa, sua sposa, è “a servizio” della salvezza e della liberazione del mondo; e ogni “partecipazione” alla vita della Chiesa – come vocazione di ogni battezzato – è chiamata “a servire” o non è evangelica.
Il discorso sui ministeri tocca l’“oggi” della Chiesa. La Chiesa, quindi, segno e memoria viva, corpo del Cristo: questo definisce la sua grandezza e la sua umiltà; definisce il protagonismo dello Spirito – è Lui che ci costruisce come “corpo di Cristo” – e la vocazione alla santità di tutti i battezzati; definisce la vita cristiana come sequela e come evangelizzazione in atto. Il discorso della ministerialità e dei ministeri traduce, quindi, la dimensione cristologica del mistero ecclesiale.
Parlando della funzione profetica che Cristo, “il grande profeta”, continua ad esercitare anche mediante i laici, la Lumen gentium afferma: «Cristo… adempie il suo ufficio profetico fino alla piena manifestazione della gloria, non solo per mezzo della gerarchia, ma anche per mezzo dei laici» (n. 5). A proposito dei laici, il Concilio scrive: «Inseriti nel corpo mistico di Cristo per mezzo del battesimo, fortificati dalla virtù dello Spirito Santo per mezzo della cresima, sono deputati dal Signore stesso all’apostolato… Inoltre con i sacramenti, soprattutto con quello dell’eucaristia, viene comunicata e alimentata quella carità che è come l’anima di tutto l’apostolato» (AA, 3).
La radice, il fondamento della piena partecipazione al mistero cristiano e alla diaconia della Chiesa, sta nei sacramenti dell’iniziazione cristiana (battesimo, confermazione, eucaristia). Attraverso questi sacramenti si viene inseriti nel corpo mistico di Cristo, deputati del Signore stesso all’apostolato, e si riceve il dono della carità, anima di ogni apostolato (AA, n. 3).
Partecipazione e ministerialità
In questa prospettiva, nessuno può mettere in dubbio la legittimità della partecipazione e la responsabilità di tutti, uomini e donne, nella Chiesa: la “partecipazione” è legittima però solo se è “ministeriale” (nella Chiesa non si spartisce il potere, ma solo il servizio) e la “responsabilità” è legittima se intesa come capacità, creata in noi dallo Spirito di Cristo, di rispondere a Dio nell’obbedienza fedele e ai fratelli nell’amore-servizio.
Pertanto, parlare dei ministeri non tocca solo l’aspetto teologico ma anche la prassi pastorale e spirituale; significa esprimere un’immagine di Chiesa ed esige un’autentica conversione dei moduli personali e comunitari di comportamento. E questo non si improvvisa, esige una rinnovata mentalità, metodica e motivata. Il rischio di perdere, con frettolose improvvisazioni, una provvidenziale occasione di crescita è grande. I ministeri, per crescere e maturare, hanno bisogno di un terreno di cultura: e questo va adeguatamente preparato.
I ministeri vanno coltivati in un ambito comunitario ecclesiologicamente corretto. Vanno ricuperati nella loro radice carismatica e perciò spirituale e fondante un serio impegno di vita, nella sequela di Cristo servo. Esigono una forte presenza del ministero della paternità e del discernimento propri del vescovo. Tutto questo ci conferma con quale serietà il discorso va condotto a livello di riflessione teologica e, ancor più, a livello di prassi pastorale.
È richiesta soprattutto una coscienza ecclesiale più matura del laicato, che deve trarre da questa opportunità una decisiva chiarificazione del ruolo dei laici e uno statuto della loro presenza nella vita della Chiesa.
Lo “status” ministeriale laicale nei piani pastorali della Chiesa italiana
Il tema dei ministeri è salito alla ribalta dell’opinione pubblica ecclesiale italiana negli anni subito dopo il concilio Vaticano II. Anche se da alcuni anni nei diversi documenti dell’episcopato, nella sua collegialità o singolarmente, ricorre sempre più frequentemente il termine ministeri laicali, mancava però un’esplicita e chiara tematizzazione di questi ministeri. Inoltre, l’orizzonte il più delle volte è stato ristretto solo ai ministeri istituiti o al ministero straordinario dell’eucaristia.
Va subito detto che negli anni post-conciliari si trattava di un contesto nuovo caratterizzato da esigenze legittime in cui, soprattutto partendo «dalla riforma liturgica, i laici attingono un forte aiuto a sentirsi ed essere comunità. Ognuno ha avuto la comprensione del proprio ruolo nello svolgimento della liturgia». Di fronte a questo quadro, «è certo che la riforma liturgica ha favorito la collaborazione fra clero e laici, anche se ciò non si è allargato a tutto il popolo di Dio, ma si è fermato al gruppo dei laici animatori». Inoltre, «la riforma, con il suo richiamo alla partecipazione attiva e al principio della pluralità degli attori liturgici, ha spinto il clero ad accettare la collaborazione dei laici», in forme più concrete e specifiche. È quanto afferma la Commissione episcopale per la liturgia nel ’67.
La attiva partecipazione dei laici
I vescovi dedicano al tema del laicato la loro 3ª Assemblea (19-24 febbraio 1968) «allo scopo di approfondire gli insegnamenti del concilio Vaticano II». Infatti – affermano – «non si può avere un rinnovamento nella vita pastorale della Chiesa senza l’attiva partecipazione del laicato». Il testo ora citato è da collegarsi al tema della partecipazione, che emerge come il fondamento stesso della missione: quest’ultima appare come lo scopo e l’aspetto dinamico della partecipazione e della corresponsabilità stessa.
Pertanto, ai laici viene riconosciuto un posto preciso nella Chiesa ed essi possono finalmente essere definiti non più per quello che “non sono”, ma per il loro dono e la loro missione. Venivano allora affermate le prospettive aperte dalla Lumen gentium (n. 30) e ribadita la vocazione sacramentale dei laici come il fondamento dell’appartenenza ecclesiale. Ciò significa che appartenere alla Chiesa ed esservi corresponsabili costituisce un’unica e medesima realtà.
Si evidenzia in tal modo, per la prima volta, la fisionomia di questo ministero, anche se non istituito, che sarà oggetto di tanti altri documenti episcopali.
Sarebbe interessante esaminare in proposito a lungo gli orientamenti pastorali nel documento La formazione dei catechisti. La catechesi – è detto – è una responsabilità di tutti. «Accanto ai ministeri e stati di vita strettamente legati, per loro natura o per tradizionale impegno, al servizio della Parola e, in specie, della catechesi, va sempre più aumentando il numero dei laici che lavorano nel campo della catechesi sistematica e partecipano in maniera più esplicita alla missione evangelizzatrice della Chiesa. Pertanto il “ministero dei catechisti” va collocato fra i cosiddetti “ministeri di fatto”, quei ministeri “che, senza titoli ufficiali, compiono, nella prassi pastorale, consistenti e costanti servizi pubblici alla Chiesa” (Evangelizzazione e ministeri), a sostegno e sviluppo della ministerialità di tutta la Chiesa».
Inoltre, più avanti, nella parte riguardante “l’identità del catechista”, viene esplicitato e approfondito questo ministero «come specifica attuazione della vocazione battesimale». Non mancano riferimenti alla ministerialità del catechista, quando i vescovi parlano della promozione delle vocazioni presbiterali. Essi affermano che «l’esercizio dei vari ministeri nella comunità, soprattutto quello del catechista e dell’educatore, può essere fecondo vivaio di vocazioni al presbiterato».
Il rapporto fra ministero ordinato e ministeri non ordinati è sottolineato nel documento per il decennio degli anni ’80, Comunione e comunità, dove viene riaffermata la corresponsabilità di tutti nella Chiesa in quanto «tutti esercitano il medesimo e unico sacerdozio di Cristo». Tale ministerialità «non è di ostacolo bensì di aiuto al ministero specifico dei ministeri ordinati» (n. 65).
Il tema della ministerialità dei laici appare chiaramente per la prima volta nel documento pastorale per gli anni ’70 Evangelizzazione e sacramenti. In esso viene posto in rilievo che una Chiesa che fa la scelta dell’evangelizzazione, che vuole cioè essere missionaria, deve essere una Chiesa dei ministeri, una Chiesa che fa spazio ai laici. La prospettiva da cui partono i vescovi è quella del Sinodo del 1971 e del motu proprio di Paolo VI Ministeria quaedam del 1972. In questo documento «si auspica l’estensione ai laici di ministeri non ordinati da esercitare come compito e missione all’interno della comunità della Chiesa; il motu proprio ne ha autorizzata e aperta l’attuazione» (n. 105).
Non solo accoliti e lettori
Nella sua specificità, invece, la pista dei ministeri laicali emerge nel documento I ministeri nella Chiesa del 1973. Il documento dei vescovi riprende, da un lato, le norme fissate dal motu proprio Ministeria quaedam riguardo ai due ministeri laicali istituiti: il lettorato e l’accolitato (nn. 7-8). Si distinguono anzitutto con chiarezza «ministeri radicati nel battesimo e ministeri provenienti dalla partecipazione all’ordine sacro» (n. 2).
Inoltre si riafferma con determinazione, con riferimento alla Sacrosanctum concilium n. 10, che non vi è distinzione nell’esercizio di questi ministeri tra liturgia e vita, in quanto il lettore deve essere anche catechista, evangelizzatore, testimone della parola di Dio che deve trasmettere; l’accolito, oltre a compiere il servizio all’altare, deve essere strumento dell’amore di Cristo nella Chiesa verso i «deboli e gli infermi».
Dall’altro lato, il documento non si ferma soltanto ai due ministeri istituiti, ma coraggiosamente prospetta una varietà di altri ministeri laicali che, secondo i vescovi, «è opportuno chiedere la facoltà di poter istituire». Essi sono: a) il catechista; b) il cantore salmista; c) il sacrista; d) altri ministeri che si aprono all’organizzazione caritativa (assistenza ai malati, soccorso ai più poveri, aiuto alle famiglie disadattate ecc.).
Più avanti, i vescovi però affermano che è necessario che «prima di prendere qualsiasi decisione in merito a nuovi ministeri… è opportuno attendere e valutare, nell’attuazione pratica, l’istituzione del lettorato e dell’accolitato». Inoltre, in questa prospettiva, ritengono necessario prima un chiarimento sulla «possibilità di conferimento dei ministeri alle donne» (nn. 39-40).
Bisogna dare atto che in quegli anni l’episcopato italiano aveva colto profeticamente la spinta ministeriale del Concilio, anche se la concentrazione dei ministeri è attorno alla celebrazione eucaristica. Questa ministerialità si esprime in termini massimamente significativi proprio nell’eucaristia, perché i ministeri sono finalizzati all’eucaristia e da essa traggono alimento per esprimersi più compiutamente nella realtà vasta del servizio alla Chiesa e al mondo. La messa deve essere partecipata con l’intervento di quei segni e di quei mezzi che esprimano la varietà dei ministeri (adeguati servizi liturgici, dall’accoglienza al servizio all’altare, letture, processioni, canti…).
Tutto ciò non è senza motivo. Questo orientamento è dovuto forse in parte ad un’eccessiva ritualizzazione della vita ecclesiale, ma soprattutto esprime l’esigenza di ogni carisma di ritrovarsi e di essere accolto nell’assemblea che celebra l’eucaristia.
Appare con chiarezza l’affermazione, da una parte, dei ministeri istituiti, dall’altra, di quei ministeri che nascono dall’assemblea liturgica adunata. Dunque, la celebrazione liturgica, in modo particolare l’eucaristia, è «la fonte ispiratrice e il primo campo di esercizio» dei carismi e dei ministeri. È proprio ciò che affermano i vescovi nel documento Eucaristia, comunione e comunità. Essi affermano che, «nella celebrazione, non tutti devono fare tutto, ma tutti hanno qualcosa da fare. Ognuno deve fare tutto quello che gli spetta. La partecipazione attiva esige una pluralità di interventi che vanno dal ministrante, al lettore, al salmista, al cantore…» (n. 31).
Nella nota pastorale Il rinnovamento liturgico in Italia, scaturita dall’inchiesta promossa dalla CEI sulla situazione liturgica nel nostro paese, si afferma «l’attenzione particolare che dovrà essere dedicata a quei fedeli che collaborano all’animazione e al servizio delle assemblee, consapevoli di svolgere “un vero ministero liturgico”». Più avanti, i vescovi rendono esplicita questa ministerialità nella molteplicità e armonia di servizi, «dalla guida del canto alla lettura, dalla raccolta delle offerte alla preparazione della mensa, dalla presentazione dei doni alla distribuzione dell’eucaristia». Infine, si dà particolare risalto a quei «segni di una disponibilità costante al servizio ecclesiale» che sono i ministeri istituiti del lettorato e dell’accolitato.
C’è chi ipotizzava per i ministeri laicali «grandi spazi che prendono ispirazione dai due ministeri istituiti del lettorato e dell’accolitato».
Dal «ministero del lettore» prendono ispirazione gli spazi relativi all’evangelizzazione: le attività catechistiche, l’insegnamento della religione a scuola, la redazione e la diffusione della stampa cattolica, l’animazione degli altri strumenti della comunicazione sociale, la formazione dei vari gruppi ecclesiali: dell’Azione cattolica, dell’impegno missionario, di quello familiare, scolastico, culturale, sociale».
Al “ministero dell’accolito” si riallacciano i ministranti, i cantori, i sagrestani, gli animatori del culto a qualsiasi titolo, come i commentatori delle varie fasi della liturgia della messa, gli addetti alla raccolta delle offerte, i deputati dal parroco alle feste popolari. Nell’ambito del ministero dell’accolito rientrano gli operatori della carità, della solidarietà, della giustizia… il servizio all’ammalato, al povero, all’handicappato, al vecchio, al bambino in stato di bisogno, all’emarginato singolo o in comunità, al perseguitato, al sofferente.
Gli sposati e i consacrati
Nel contesto generale della riflessione e delle esperienze pastorali sui ministeri un capitolo a parte merita quello del ministero coniugale, ossia il riconoscimento e la riflessione specifica di una missione propria ed esclusiva dei coniugi nella e per la Chiesa secondo la categoria del “ministero”.
Indubbiamente si deve affermare che i vescovi italiani nel documento Evangelizzazione e sacramento del matrimonio usano esplicitamente e ripetutamente il termine di ministero coniugale, illustrandone il contenuto e le connotazioni essenziali.
Bisogna sottolineare che, nello stesso documento, i vescovi parlano del ministero dei consacrati come di un «nuovo cammino, in cui il battezzato può essere chiamato da Dio» a testimoniare con la vita «l’amore verginale di Cristo per la Chiesa e la fecondità di questo misericordioso connubio» (n. 29).
Il rapporto vocazione-consacrazione-ministeri viene poi espresso con chiarezza dal piano pastorale dei nostri vescovi su Vocazioni nella Chiesa in Italia. Si afferma il principio che nella Chiesa tutti sono chiamati. Essa «è costitutivamente e sempre in stato di vocazione e di missione, e ciò vuol dire che tutta la Chiesa è chiamata e inviata nel mondo per essere strumento della Redenzione». Dunque, «la vocazione battesimale conduce il cristiano a compiere la scelta del proprio stato di vita e a concretizzare, in una “Chiesa tutta ministeriale” e nella varietà dei ministeri, il suo specifico apporto alla Redenzione del mondo».
In coerenza con questa affermazione, «tutti i cristiani sono chiamati a collaborare per l’avvento del regno di Dio negli stati di vita propri dei laici e nell’assunzione dei ministeri propriamente laicali».
Successivamente si parla delle vocazioni di speciale consacrazione. Dimensione, questa, della «consacrazione secolare che, mediante la professione dei consigli evangelici, chiede ai laici… di donarsi totalmente a Dio e di vivere radicalmente il Vangelo nella vita ordinaria di questo mondo, assumendo le realtà temporali per santificarle e trasformarle» (nn. 6-7). L’attenzione alle «vocazioni consacrate», «accompagna la considerazione e la stima per le vocazioni dei laici e per i ministeri non ordinati» (n. 24).
È evidente che l’obiettivo prioritario, per i vescovi, di un’azione pastorale vocazionale sia la presa di coscienza, e quindi la riscoperta e la rivalorizzazione, di tutti i ministeri. In questo contesto si evidenzia la necessità di «tenere costantemente viva la coscienza e la responsabilità di tutta la comunità cristiana per le vocazioni». È un compito che sollecita una «conversione di mentalità» e, nello stesso tempo, si ravvisa l’opportunità di «riconoscere il ministero di fatto e curare la formazione dell’animatore vocazionale parrocchiale, come servizio stabile reso da un laico adulto nella fede» (n. 37).
I ministri straordinari dell’eucaristia
Il tema che ci interessa è ampiamente trattato dal documento del 1977 Evangelizzazione e ministeri (n. 72). Esso – secondo alcuni – avrebbe finito per riproporre la ministerialità della Chiesa in termini prevalentemente “clericali”, aprendo la prospettiva dei ministeri istituiti, aperti, sì, ai laici, ma limitati alle sole funzioni di lettorato e di accolitato e solo agli uomini.
L’episcopato pone, come «affine al ministero dell’accolitato, il servizio straordinario della distribuzione dell’eucaristia». Rifacendosi all’istruzione della Congregazione per la disciplina dei sacramenti Immensae caritatis del 1973, il documento Evangelizzazione e ministeri riserva una particolare attenzione al ministro straordinario della comunione eucaristica che «può essere tanto uomo quanto la donna». Si configura come «un incarico straordinario, non permanente, concesso in relazione a particolari e vere necessità di situazioni, di tempi e di persone».
Di fatto, in questi anni, tale ministero è stato oggetto di attenzione da parte di molti vescovi, per dare la possibilità a tutti i «fedeli di accostarsi senza difficoltà alla comunione»; inoltre, una tale disponibilità ha favorito una più attenta pastorale dei malati e degli anziani. Per questo è necessario che… le parrocchie siano maggiormente sensibilizzate all’attenzione da prestare ai luoghi di cura che si trovano nel loro territorio come anche ai malati che si trovano nelle case private: ci sono già gruppi di operatori, pastorali che si occupano di questo servizio (in modo particolare i ministri straordinari dell’eucaristia).
Il conferimento di tale ministero anche se, da una parte, ha “promosso” un certo “coinvolgimento” delle donne (soprattutto religiose), dall’altra, ha significato un fatto pastoralmente complesso data la sua straordinarietà che spesso diviene permanente, visto che già esisteva un ministro straordinario o permanente della comunione nella figura dell’accolito.
Un richiamo ai ministeri laicali da parte dei vescovi viene fatto in connessione con la riflessione su La formazione teologica nella Chiesa particolare che si ispira «alla visione di una Chiesa mistero, missionaria e ministeriale». Vengono, pertanto, elencate alcune categorie di servizi e ministeri presenti ormai in ogni Chiesa locale e ai quali deve essere rivolta una formazione «mirata»; oltre alle categorie «tradizionali» del lettore e dell’accolito, si parla dei «catechisti o animatori della catechesi, degli animatori di gruppi di preghiera e di altre attività apostoliche, specialmente nel campo della carità e della testimonianza; dei membri degli organismi pastorali, soprattutto quelli a carattere diocesano». «Il terreno di cultura dei ministeri», dunque, è la Chiesa locale, «organismo misterioso alla cui vita concorrono, in modo arcano ed essenziale, molteplici ministeri e carismi».
Non solo l’ambito liturgico-cultuale
Il discorso sinora sviluppato in parte raccoglie un insegnamento dell’episcopato, strettamente legato ad una ministerialità laicale rivolta quasi esclusivamente all’ambito liturgico-cultuale.
Sullo sfondo, però, di questa ministerialità si colloca il tema della corresponsabilità dei laici legata alla presenza della Chiesa nella società.
Nel documento La Chiesa italiana e le prospettive del paese i vescovi precisano il senso di questa disponibilità: essa «deve tradursi in una efficace presenza di cristiani consapevoli delle responsabilità che a ciascuno derivano dalla propria vocazione e dal proprio impegno ministeriale». Bisogna – scrivono i vescovi – «coltivare mature vocazioni laicali» per «abilitare sposi, famiglie, lavoratori, studenti, educatori, intellettuali, sindacalisti, operatori sociali, uomini politici, con un itinerario pedagogico che li renda capaci di impegnare la fede nella realtà temporale» (nn. 20-21).
Non si può far pesare tutto l’impegno di evangelizzazione e di promozione umana della Chiesa sulla sola persona del presbitero… Condizione previa indispensabile perché la comunità si senta e viva in stato di missione è lo sviluppo di una pastorale vocazionale aperta a tutti i doni di Dio, a tutti quei ministeri dei quali la nostra Chiesa ha bisogno… Giova ricordare che, se il Signore chiama alcuni laici ad esercitare un ministero nella Chiesa e per la Chiesa, il campo specifico del loro apostolato è il mondo… Non è possibile, né pensabile una pastorale di ambiente negli ospedali, nel mondo della scuola, nel mondo del lavoro, nella vita sindacale e politica senza i laici che, con competenza, con coerenza di vita, e con l’esercizio di una morale professionale ispirata al Vangelo, diventano soggetti attivi della missione della Chiesa.
Non manca anche nel documento Eucaristia, comunione e comunità un aggancio preciso tra liturgia e vita. La liturgia non viene considerata come qualcosa che estranei dalla partecipazione ai problemi della vita. «Fuori della liturgia, si apre ai ministeri il vasto campo del mondo. In tutti gli ambiti in cui si svolge la vicenda umana e si snoda la storia, sono necessarie testimonianze robuste» (n. 31).
Nel già citato documento Evangelizzazione e ministeri, i vescovi, facendo proprie le indicazioni che Paolo VI aveva proposto nel documento Evangelii nuntiandi, scrivevano: «Il campo proprio dell’attività dei laici nell’evangelizzazione è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; e anche di altre realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione quali l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza» (n. 72).
Il senso di una svolta
Di fronte a questa sintetica panoramica, si coglie, da una parte, la consapevolezza del “senso” della svolta storica avvenuta in questo campo, dall’altra, la complessità, la frammentarietà e, talora, la poca chiarezza del discorso.
Si può constatare però l’avvenuta apertura ad una pluralità e molteplicità dei ministeri laicali, nel contesto del rinnovamento pastorale. Rinnovamento alcune volte confuso con metodi e forme esterne, per adeguarsi alle nuove esigenze, senza un profondo cambiamento di mentalità. Pertanto, non appare del tutto chiara la differenziazione tra i ministeri finora istituiti del lettorato e dell’accolitato e altri ministeri laicali, spesso esercitati con stabilità, come, ad esempio, quelli del catechista, dell’animatore liturgico, del responsabile di servizi di carità ecc.
Per questi ultimi, pur considerati ministeri di fatto, manca il più delle volte un “riconoscimento” esplicito ecclesialmente significativo che superi una concezione prevalentemente giuridica oppure organizzativa. Ciò favorisce il pericolo di vanificare l’elemento costitutivo su cui si fondano tutti i ministeri laicali, cioè i sacramenti da cui traggono origine: la grazia del battesimo e della cresima.
Oggi si fa pressante l’interrogativo sul senso dell’istituzione di alcuni ministeri nel vasto campo della ministerialità laicale. Solo per alcuni il mandato avviene mediante un atto liturgico, un rito che è espressione speciale della sacramentalità della Chiesa: «I ministeri sono una grazia, che viene conferita a colui che ne è istituito».
Una consapevolezza è andata delineandosi sempre più: che la diaconia della Chiesa si realizza in modo completo attraverso l’annuncio del Vangelo, la celebrazione del mistero di Cristo, la vita di carità. Questa triplice dimensione della comunità cristiana, oggi pacificamente accettata in linea di principio, è divenuta però spesso una realtà settorializzata che ha favorito, all’interno anche della ministerialità laicale, o l’uno o l’altro aspetto.
In particolare, la dimensione della carità è ecclesialmente scaduta: è talora confusa con il diretto impegno del cristiano nel sociale oppure è ritenuta una dimensione marginale e facoltativa della vita cristiana, riservata alla sfera di un “volontariato” non direttamente inserito nella comunità cristiana.
Forse è necessario dare una nuova attenzione e un nuovo ordine di rapporto ai tre aspetti della vita della Chiesa: Parola, eucaristia, carità; a farne pastoralmente delle realtà non più isolate o parallele, ma ugualmente necessarie alla crescita dell’intera comunità cristiana e alla sua presenza nel mondo.
Anche se molta strada c’è ancora da fare, diverse sono le provocazioni pastorali e le sollecitazioni concrete che emergono. È certo, in ogni caso, che le intuizioni di fondo che i vescovi italiani hanno avuto in questi anni si sono dimostrate essenziali e feconde nel quadro della fisionomia e della missione della Chiesa, anche se si richiede un ulteriore approfondimento teologico-pastorale, alla luce del motu proprio di Francesco.
Il primo ministero è la sequela di Gesù nella Eucaristia, nella lettura quotidiana della Parola e nella testimoninza di vita. I presbiteri come promuovono i laici nella Chiesa ? La promozione della persona passa attraverso un rapporto di amicizia e di stima, il presbiteri non sono formati per un rapporto umano di questo tipo ma la loro formazione li porta a una separazione dal popolo di Dio. Amare è un’arte scriveva Eric Fromm, i presbiteri sanno amare in modo sponsale?
Tutto vero, ma siamo sicuri che nella chiesa i ministri (ovvero servi…con una certa istruzione teologica seppur minima) siano veramente voluti?
Grazie Enzo per la tua lucidità, che permette di tenere insieme il lungo percorso post conciliare sul laicato e le prospettive per il futuro, che vanno oltre l’ambito liturgico-celebrativo.