Un colloquio e un libro della Chiesa protestante unita di Francia (luglio 2015) rilancia la nuova attenzione della Riforma alla testimonianza cristiana della vita comune e consacrata. Le nuove domande spirituali.
A 500 anni dalla Riforma di Lutero le Chiese protestanti tornano a riflettere sul monachesimo e la vita consacrata. Essi costituiscono «un laboratorio per la Chiesa. Le comunità monastiche sono delle parabole dell’amore fraterno donate alla Chiesa. Le parabole sono dei racconti che cercano di raggiungere il lettore nella sua vita quotidiana, ma con una dimensione di eccesso o anche di stravaganza che tenta di far esplodere le consuetudini e i limiti, per aprirsi all’inatteso del Vangelo. E ancora, le comunità monastiche sono offerte ai cristiani e alle parrocchie come una sorta di appello, ignorato per lungo tempo e, d’improvviso, come qualcosa che tocca i cuori». Sono le parole introduttive al volume Protestantisme e vie monastique: vers une nouvelle rencontre? (Ed. Olivetan, Lione 2016), scritte da Laurent Schlumberger, presidente del Consiglio nazionale della Chiesa protestante unita di Francia. Vi è consapevolezza della crisi del monachesimo cattolico nel mondo occidentale e della sua crescita in Asia e in Africa, come anche dell’esplosione del monachesimo orientale in Russia e della “necessità” spirituale dei consacrati per il cristianesimo del domani.
Lutero svuota i conventi
La distanza della Riforma dalla vita consacrata e monastica rimonta allo stesso Martin Lutero e alla “confessioni di fede” della varie Chiese protestanti. Nel 1522 viene pubblicato il libello Il giudizio di Lutero sui voti monastici che rimane ancora oggi la critica più radicale alla consacrazione religiosa.
I voti non si fondano sulla Parola di Dio, anzi le sono opposti perché i loro sostenitori si appoggiano da una parte sul fatto che il Vangelo distinguerebbe tra consigli e comandamenti (mentre tutto è comandamento), dall’altra parte essi dividono la vita cristiana fra stato di imperfezione (il popolo) e stato di perfezione (i religiosi).
Così il monachesimo pone la sua fiducia nelle opere e non nel Vangelo. La perpetuità e la necessità in ordine alla salvezza è della fede e non dei voti. La fiducia nelle opere svilisce la fede e la libertà evangelica. Sono quindi contro il Vangelo (che non parla di monaci), contro la fede (che salva, non le opere), contro la libertà del credente (la coscienza è più grande del voto), contro i comandamenti (perché Dio risulta secondario rispetto al voto), contro la ragione e il senso comune (che prevedono l’eccezione di impossibilità rispetto alla promessa della consacrazione).
Un impianto accusatorio che fra il 1500 e il 1540 ha motivato la scomparsa dai paesi dell’Europa di 800 delle 1.500 abbazie benedettine. L’articolo 27 della Confessione di Augsburg (1530) ripete la denuncia di abusi e scandali, l’insopportabile equazione fra voti e battesimo e la pretesa antievangelica di uno stato di perfezione. La vita consacrata turba il popolo cristiano, svalutando il matrimonio, colpevolizzando il possesso dei beni e giustificando la vendetta (perché essendo condannata nei voti non risulta impegnativa per il credente comune).
Nell’Apologia della confessione di Augsburg, Melantone ricorda che il monaco non è più “perfetto” rispetto a un contadino o a un artigiano. Si tratta per tutti di acquisire la perfezione nel timore di Dio. Calvino nelle Istituzioni della religione cristiana nega l’antichità del monachesimo, la sua pretesa di stato di perfezione, la distinzione fra consigli e comandamenti e, come Lutero e Melantone, apprezza e appoggia l’immediato abbandono della vita conventuale di quanti l’avevano scelta. Le successive “confessioni di fede” locali come quella della Chiese riformate di Francia (1559) o della Svizzera (1566) stabilizzano una distanza del protestantesimo dalla vita monastica e consacrata che sembra diventare incolmabile.
Una inspiegabile resistenza
Nonostante ciò, fin dall’inizio della Riforma, vi fu una sorprendente resistenza di alcune comunità monastiche – come quella dell’abbadessa Pinkheimer a Regensburg – all’imperativo della dispersione. Uno dei primi riformatori, Martin Bucero, fondò nel 1546 una comunità di vita comune. Non sorprende che le successive correnti spirituali protestanti del ’600 attingano di nuovo all’esperienza della vita consacrata. Le tendenze più generose e radicali vanno oltre la società di cristianità: alla parrocchia sostituiscono la comunità, alla Chiesa di Stato la fraternità dei convertiti, alla tradizione la conversione, al potere la comunione. E in questo operano una sorta di “monachesimo di sostituzione”: la de-clericalizzazione (anti-istituzionale), l’azione intramondana come nuova regola, la comunità come cenobio, l’adorazione e la mistica come spiritualità carismatica.
Le successive ondate del pietismo, del metodismo, del protestantesimo evangelico ne portano tracce significative. Al momento della rivoluzione industriale in Germania come in Gran Bretagna esplode l’esperienza cenobitica, comunità di diaconesse che si mettono a disposizione dei poveri. È del 1841 la fondazione delle diaconesse di Reuilly, di Strasburgo e di Saint Loup, in Francia. In un contesto di risveglio spirituale e di rinnovato incontro personale con Cristo nascono comunità che trovano accesi consensi e dissensi e che costituiscono un permanente riferimento per una parte delle comunità protestanti del paese transalpino.
Eventi in sintonia con quanto succedeva in altre Chiese d’Europa, come le diaconesse in Olanda e in Germania e le “suore protestanti della carità” in Inghilterra. Dopo la prima e la seconda guerra mondiale si registrano alcune tendenze di interesse per la vita comune. Basti pensare alla Bruderhaus di Bonhöffer e alla comunità di Taizé.
La coscienza delle Chiese oggi
Cambia nel frattempo anche il giudizio sull’intenzionalità autentica degli scritti di Lutero. «La situazione spirituale disastrosa dei conventi, la loro intollerabile ricchezza materiale, il loro statuto canonico e i voti trasformati in molte parti in costrizioni imprigionanti giustificano lo scritto (del riformatore). La questione che si pone è se questa critica valga per gli ordini monastici di tutti i tempi o si tratti piuttosto di uno scritto di circostanza».
Come succede per molti altri temi polemici di Lutero, il rifiuto dei voti monastici va compreso come «critica delle pratiche della sua epoca, senza diventare una rimessa in questione delle ricchezze autentiche della vita monastica, anche quando esse escono dai conventi per essere condivise da tutta la comunità credente» (A. Birmelé, op. cit. 149-150).
La coscienza ecclesiale cattolica attuale relativa alla vita consacrata è espressa dall’esortazione apostolica postsinodale Vita consecrata e dai documenti relativi all’anno della vita consacrata (2014-2016). «L’amore rende uguali gli amanti; è la visibilità propria dell’incarnazione del Verbo che è in gioco nella capacità negata (da parte protestante) e affermata (da parte cattolica) alla libertà umana di rendere a Dio grazia per grazia. Uno dei luoghi dove si attesta ancora oggi la manifestazione del Cristo nella carne sembra giustamente essere, oltre all’ambito sacramentale … il rapporto della vita consacrata con i consigli evangelici» (N. Hausman, Ou va la vie consacrée?, Lessius, Bruxelles, 2004, p. 90).
Essi ci appaiono come una sorta di istituzione della vita evangelica (non sulle sponde del ministero, ma del carisma e del dono). La vita consacrata è un’ermeneutica ecclesiale degli acta et passa (atti e sentimenti) di Cristo in particolare nel rapporto con la forma di vita che egli ha scelto per se stesso e che la vergine Madre ha abbracciato.
La rinnovata coscienza ecclesiale cattolica (Vaticano II) ha facilitato il percorso delle Chiese protestanti. Nel 2007 è uscito un documento delle Chiese evangeliche tedesche (EKD) di verifica e pieno apprezzamento per le esperienze di vita comunitaria presenti nel contesto del protestantesimo tedesco. Esse sono 234: 56 sono comunità con voti di stabile vita comune, 33 sono fraternità di vario tipo con la presenza simultanea di maschi e femmine, 28 sono comunità di famiglie, 105 sono fraternità che rimandano all’esperienza delle diaconesse, 12 sono di indirizzo ecumenico.
Dal 1978 è attiva una conferenza delle comunità evangeliche e dal 2003 si rinnovano gli incontri delle società di vita spirituale. Esperienze simili sono vive anche in Olanda (a Zeiss) o in Inghilterra. In Francia sono 13 le comunità che aderiscono alla Federazione protestante unita del paese. Dagli anni ’60 esse hanno un loro dipartimento a cui riferirsi e dagli anni ’70 è in atto un collegamento con le comunità familiari (come Caulmont, Moria, Ichthus, Recontre). Tutti sono convocati a un grande incontro annuale. Già nel 1961, rispondendo a fr. Roger (Taizé), il pastore Lagny de Reuilly diceva: «Le comunità, movimenti e opere sono parte integrante della Chiesa, non semplici emanazioni, satelliti o strumenti d’azione».
La conquista, l’ecumenismo, la spiritualità
Se nell’Ottocento, soprattutto francese, il monachesimo (con due nomi emblematici di riferimento come Dom Guéranger di Solesmes e Jean-Baptiste Muard de la Pierre-qui-Vire) persegue la riconquista cattolica della società moderna in una neo-cristianità, a partire dalla metà del ’900 l’attenzione si sposta alla dimensione escatologica ed ecclesiale, in particolare al compito ecumenico, declinato nella forma del “ritorno a Roma” nelle comunità monastiche tradizionaliste e nelle forme dell’“incontro” nelle altre.
Le cinque esperienze che vengono presentate nel volume Protestantisme e vie monastique sono tutte su questo versante. Si tratta della fraternità ecumenica di Lomme, della comunità di Pomeyrol, della comunità di Taizé, della comunità Christustraeger, della missione di Pomeyrol a Alencon. È indicativa la storia di Lomme. La comunità nasce dall’azione comune delle Oblate dell’eucaristia (cattoliche) con le diaconesse di Reuilly sulle cure palliative. Unendo le forze delle Oblate, della comunità svizzera di Grandchamp (protestante), del Carmelo di Saint Joseph (cattolico) e delle diaconesse di Reuilly nasce nel 2010 una piccola comunità di testimonianza che rende visibile il poter vivere assieme una consacrazione fra confessioni diverse, il pregare assieme, il condividere la stessa Parola.
Ma all’orizzonte si profila una nuova domanda. Essa viene non tanto dall’interno della Chiesa, ma dall’esterno, dalla società civile post-moderna, come mostra il successo del film sul silenzio delle Certose o la testimonianza dei monaci martiri di Tibhirine. È una domanda di spiritualità, di un diverso stile di vita, di un nuovo contatto con la natura, di una nuova apertura al trascendente, di un rinnovato dialogo fra le religioni. Essa si esprime in particolare nella richiesta di ospitalità. Ecologia della lentezza, etica della frugalità, riconciliazione con se stessi, nuovi legami comunitari, alleanza con la natura: sono alcuni degli elementi che rendono suggestivo un soggiorno nel monastero.
Sono domande nuove, poco confessionali, che minacciano una folclorizzazione del cristianesimo e della vita consacrata, ma che vanno ascoltate con attenzione, sia quando all’ospite si riconosce un nome e una partecipazione alla vita comune, sia quando l’ospitalità è “incondizionata” (non se ne richiede neppure il nome).
Un nuovo contesto che domanda di leggere di nuovo la lunga storia del monachesimo e della vita consacrata, un ritorno creativo alle fonti, una nuova capacità di proporre un impegno coraggioso nel tempo, di rinnovare la scuola alla preghiera, di raffinare e lavorare sulla domanda di Dio, sull’esigenza di fraternità e sulla distanza-appartenenza al mondo quotidiano. In tutto questo vi è anche il recupero di una dimensione antropologica comune alle varie forme di monachesimo attive nelle diverse religioni. Perseguire cioè il massimo dell’identità carismatica e confessionale con il massimo dell’apertura all’umano comune.