Con giusta attenzione, in un recente articolo pubblicato su SettimanaNews dal titolo «Il sacro e il potere» (che si può leggere qui), il prof. G. Lorizio interviene sul dibattito sollevato dalle dichiarazioni di Zollner in una intervista a Domani e dalle considerazioni di Ferrario sul tema della «struttura gerarchica» del ministero cattolico. La frase di Zollner da cui parte l’analisi di Lorizio è la seguente: gli abusi troverebbero il loro humus in
«una struttura gerarchica investita di potere sacro, che fa sì che sacerdoti, religiosi e vescovi vengano considerati esseri superiori, non grazie a competenze personali o professionali, ma semplicemente perché ricoprono un ruolo. Questo è aggravato dal fatto che questo privilegio viene ricondotto alla sfera divina, quindi a qualcosa che sta al di là di qualsiasi giustizia terrena. Noi siamo considerati un mondo a parte e questo teologicamente è molto pericoloso perché non rispetta il pilastro del cristianesimo, cioè che Gesù Cristo si è fatto uomo accettando di sottoporsi alla giustizia terrena».
Di fronte a queste affermazioni, in qualche modo rafforzate dal commento di Ferrario, che vi identificherebbe il cuore stesso della «ecclesiologia cattolica», Lorizio introduce due distinzioni preziose, anche se, come dirò, limitate:
- la dottrina cattolica deve essere identificata a partire dal Vaticano II, e non può essere schiacciata sulla concezione del «potere sacro»;
- nondimeno una «mentalità diffusa» continua a coltivare l’immaginario preconciliare e a rendere poco efficaci le svolte e le aperture del Vaticano II.
Una «apologetica cattolica» ha certo le sue ragioni e può essere condotta correttamente sulla base di questa iniziale distinzione. Tuttavia, a me pare che la denuncia di Zollner e la considerazione fondamentale di Ferrario non siano facilmente contestabili sulla base della distinzione proposta. Cerco di spiegare il perché.
a) Il Concilio e il post-concilio
Una «dottrina cattolica» sul ministero ha certamente trovato nel concilio vaticano II un vero e proprio «nuovo inizio». Come tante volte ha sottolineato il p. Lafont, essere usciti dalla prospettiva delle due potestates (di ordine e di giurisdizione) e aver riletto l’intera ministerialità sulla base dei tria munera Christi è una operazione davvero capace di rileggere in modo nuovo la tradizione. Ma una dottrina cattolica sul ministero non si può costruire oggi soltanto saltando ai testi di 60 anni fa, ma esaminando accuratamente come quei testi sono stati recepiti (o non recepiti) nei 60 anni successivi. E qui, purtroppo, dobbiamo riconoscere, pur restando cattolici, che il magistero cattolico ha largamente ostacolato o contraddetto le indicazioni conciliari.
Vorrei citare solo 3 passaggi problematici, che non si possono riferire alla «mentalità diffusa», ma che contribuiscono a costruire una «dottrina» che Zollner e Ferrario possono/debbono giustamente contestare. Vorrei presentarli come «tre immunità» del potere sacro.
b) La immunità del ministero dalla teologia
Nel codice del 1983, con un canone costruito ex novo, il 752, si stabilisce che il ruolo del teologo, di fronte al magistero, è puramente accessorio: può solo confermare il magistero (autentico, definitivo o infallibile) ma deve tacere ogni critica. Un tale canone, scritto 20 anni dopo il Concilio, è il primo segno di «ostinazione magisteriale» nella visione in termini di «potere» e non di «sacramento».
c) La immunità del ministero dalla donna
Nel 1994, con Ordinatio Sacerdotalis, il magistero, al suo grado più alto, conferma la lettura in termini di potestas in un modo assolutamente paradossale. Affermando di «non avere la facoltà di ordinare le donne», afferma, in modo capovolto, di conservare (senza vere ragioni teologiche) la potestas di escludere le donne dal ministero sacerdotale. Anche qui, la lettura in termini di potestas è lampante, per quanto cerchi di presentarsi sub contraria specie, come «mancanza di potestà».
d) La immunità del ministero rispetto alla riforma liturgica
Un terzo passaggio rilevante è il motu proprio Summorum pontificum, che nel 2007, 45 anni dopo il Concilio, prevedeva che il prete, nel celebrare, potesse scegliere indifferentemente la forma nuova o la forma vecchia del rito romano, senza risponderne a nessuno. La immunità del ministro rispetto alla riforma liturgica è qui affermata con tutta la forza possibile.
e) Dottrina cattolica come «potere sacro immunizzato»
Alla luce di questi piccoli esempi, ai quali molti altri potrebbero essere aggiunti, non sorprende che si possa identificare la «dottrina cattolica» con una lettura dell’ordine come «potere sacro immunizzato».
Non è giusto identificare questa lettura con la dottrina cattolica tout-court. Ma non è solo una «mentalità diffusa» a frenare. Il freno è venuto, da 40 anni, da settori rilevanti del magistero centrale cattolico. Con una forza tale da poter influenzare anche le parole di papa Francesco, sui cui meriti in rapporto al tema della correlazione tra abusi e abuso di potere non c’è ragione di dubitare, ma che, in Querida Amazionia, dopo i bei sogni con cui costruisce il documento, cade nell’incubo di una presentazione del ministero ordinato in perfetto stile tridentino.
È giusto richiamare la rilettura del Vaticano II come faro di una rinnovata dottrina cattolica del ministero ordinato. Ma rischierà di essere intesa solo come una parola retorica se non identificherà tutti quei passi giuridici e dogmatici con cui, dopo il Concilio, si è cercato di fare come se il Concilio non ci fosse mai stato.
Su questo, io credo, le parole di Zollner e di Ferrario meritano un ascolto serio. E la risposta di Lorizio, con cui concordo nella sostanza, deve essere integrata da tutti quei riferimenti «dottrinali» non consonanti con il Concilio Vaticano II, sostenuti ai livelli più alti del magistero e che pertanto oggi, anche sinodalmente, meritano di essere apertamente superati.
- Pubblicato il 2 Agosto 2023 nel blog: Come se non
Grillo lamenta che papa Francesco in Querida Amazonia cada “nell’incubo di una presentazione del ministero ordinato in perfetto stile tridentino”, contraddicendo in sostanza i testi conciliari. Lamentela ingiustificata giacchè del Concilio occorre accogliere “tutti” i documenti del Vaticano II e non solo Lumen Gentium, come amano fare certi commentatori che selezionano i testi secondo le loro personali preferenze. Sacerdote, sacerdozio, sacerdotale: questi termini ricorrono centinaia di volte nei documenti del Vaticano II in riferimento al ministero ordinato. Con quel che ne consegue. Solo un nuovo Concilio può dirimere la questione.
Non credo sia solo, come qui mi pare di capire, un problema di carattere dottrinale, ma di come la “dottrina” (con Codice annesso) abbia strutturato una certa prassi che oggi è difficile da scardinare. È questo ciò che il padre Zollner (giustamente) denuncia. Mi pare che da parte di Grillo ci sia un ribadire cose già da lui scritte.
Concordo con l’analisi di Andrea Grillo. Quando approfondiamo alcuni snodi del Vaticano II (in questo caso la questione del prete) non possiamo non tenere conto della recezione dell’assise conciliare da parte dello stesso magistero ecclesiastico post-conciliare. A tal proposito, già a partire dalla Dichiarazione Mysterium Ecclesiae (1973), si registra un crescendo che porterà alla creazione del magistero “definitivo” (can. 750§2), che si inserisce tra quello autentico (can. 752) e quello infallibile (cann. 749 e 750§1). Questo magistero che verrà infatti canonizzato completamente dal motu proprio Ad tuendam fidem (1998) di Giovanni Paolo II. I margini della discussione sono diventati dunque sempre più ristretti, dato che l’infallibilità del magistero della Chiesa è stata estesa non solo al deposito della fede, ma anche a tutto ciò che – secondo il gergo in uso – è considerato “necessario” perché tale deposito possa esser custodito ed esposto fedelmente. E’ come dire: non solo accettare insindacabilmente alcune posizioni, ma anche il retroterra culturale e i presupposti epistemologici che reggono tali posizioni (le cosiddette “verità logiche o di ragione” e i cosiddetti “nessi storici”). Infine, sul ministero del prete, ritengo che si ragioni ancora (nonostante tutte gli aggiustamenti) come se fossimo in un regime di “cristianità”. Vedi, solo per fare un esempio, il pensare l’esercizio del suo ministero h24 senza ipotizzare altre professioni. In tale contesto, la critica ai seminari rischia, a mio avviso, di diventare una scorciatoia per raggirare le questioni di fondo.
Il prete part time?
Che magari fa l’avvocato o il barista nel resto della giornata.
Ferie pagate, cassa mutua, assegni familiari etc.
Questa si che è desacralizzazione.
Sembra evidente che la crisi del ministero ordinato e la sua mancata riforma nasca dalla mancata attuazione della Lumen gentium. La separazione del prete dal resto del popolo di Dio che nasce già nel periodo di formazione in seminario in un luogo separato dal resto della vita ecclesiale porta a creare un clima di abusi. E’ necessario ripensare il ministero del prete perché sappia camminare insieme al resto del popolo di Dio nell’unica sequela a Cristo e ciò deve incominciare dal periodo di formazione. Lo strumento del seminario così come è stato pensato dal Concilio di Trento non va più bene o va ripensato radicalmente o va tolto e sostituito con un sistema di formazione diverso, più aperto e più sinodale.