La questione della possibilità che candidati all’Ordine Sacro possano procedere ed essere ordinati sacerdoti, «nonostante» l’orientamento omosessuale, è ancora critica ai giorni nostri.
I casi drammatici di abuso nella Chiesa, numerose uscite dal ministero, scandali vari su presbiteri con comportamenti incongrui alla loro vocazione hanno curiosamente agganciato il tema dell’omosessualità creando un connubio diretto omosessualità-incapacità di tenuta, di serietà di vita, di relazionalità sana, e questo legame dovrebbe stupire, non poco, chiunque si fermi a ragionare.
Basta, infatti, superare il sentito dire, la patina di grande superficialità che alimenta i luoghi comuni, e una serie di associazioni non solo indebite, ma completamente errate e violente per i diretti interessati, per capire che non è così.
Malessere psicoevolutivo
Utilizzo a ragion veduta il termine forte di «violenza» perché è tale ogni affermazione priva di fondamento scientifico, o almeno ragionevole, che colpisce altri – ovviamente non solo gli omosessuali – caratterizzandoli negativamente, in quanto soggetti con problematiche, che sarebbero come bombe a orologeria.
Precludere o porsi il punto interrogativo verso l’accesso di persone omoaffettive all’ordinazione presbiterale o alla consacrazione religiosa (allargo la riflessione alla vita consacrata) è legato a questa convinzione tacita, profonda e radicata: l’attrazione emotiva, romantica e sessuale di un uomo verso un altro uomo, di una donna verso un’altra donna, è indice di malessere psicoevolutivo. Punto.
E allora il malessere, nel tempo – con questa premessa di disfunzionalità – si ritorce sulla qualità di vita della persona, a meno che ella non ammetta di avere un problema e se ne stia buona, in disparte, cercando di non fare danni e limitando al massimo impegni che abbiano a che fare col sociale.
Chi vuole veramente bene alla Chiesa e frequenta preti e religiosi/e vede diverse incongruenze, e viceversa i sacerdoti vedono di noi laici una serie non da poco di cose che non vanno.
Ma davvero l’analisi delle incongruenze porta all’orientamento omosessuale? Davvero la capacità di amare, di donare il cuore e la vita, di credere e perseguire un ideale si inceppano nel tipo di attrazione che si vive?
Nessuna differenza
Gli sposi faticano e tradiscono, si lasciano, fanno percorsi per risanare le ferite e talvolta la Provvidenza consente loro di riformare nuove coppie.
Chi non affianca le storie reali, anche in questo caso procede per luoghi comuni, giudicando i fallimenti o lamentando che la Chiesa conceda nullità e nuove unioni, come se dare una seconda chance fosse segno di debolezza e di corruzione.
Invece basterebbe seguire da vicino persone che hanno vissuto delusioni matrimoniali e poi, con una nuova consapevolezza, incontrano la persona «giusta» con cui riuscire a condividere la vita, per smontare i pregiudizi, abbassare i toni, e rendersi conto che non tutte le storie sono uguali e che non si può procedere solo per schemi teorici e con vedute in bianco e nero.
Non sto a richiamare l’Amoris laetitia che anche su questi punti è grande!
Porto l’esempio delle coppie nei processi di nullità matrimoniale perché mi sembra che alcune letture distorte vengano similmente proposte anche quando si parla di omosessualità che intercetta la vocazione.
Mancano studio, conoscenza reale, incontro personale.
La persona con orientamento omoaffettivo certamente avrà le sue tensioni in ambienti omogenei quanto a genere sessuale. Il seminarista negli anni di seminario a stretto contatto con altri giovani, una donna che viva in comunità con altre donne dovranno imparare a conoscere la propria potenzialità attrattiva come soggetti e oggetti di attrazione.
Ma non è forse quanto ciascun prete o ciascuna religiosa o laico e laica deve imparare a conoscere e gestire nel quotidiano contatto con altri?
Terminati gli anni più strutturati di formazione, il prete eterosessuale quanto avrà da fare su se stesso con tutte le donne che gravitano attorno alla parrocchia. Non vorrei proprio scendere in esempi simili perché sarebbe troppo avvilente. È lampante tutto questo, non occorrono approfondimenti.
Ritrovare l’essenziale
Se, invece, volessimo metterci seriamente a capire quello che stiamo vivendo nell’epoca presente, allora riusciremmo ad allargare la prospettiva e a uscire dall’imbuto dell’orientamento sessuale.
Osservando noi stessi e il tempo che viviamo dobbiamo riconoscere quanto la vita sia diventata complessa e articolata, per tanti versi molto più che fino a qualche decennio fa, e quanto sia un «lavoro» rimanere stabili e fedeli alle proprie scelte.
Che poi non basta sopravvivere nelle scelte fatte: qui il buon Padre Rulla, gesuita, direbbe che si può permanere e fare il nido in alcune situazioni di vita, il che non corrisponde al perseverare in senso progressivo.
L’analisi si allarga, quindi, ulteriormente al mondo dei valori in cui crediamo ancora, al bisogno che abbiamo di sentirci significativi per qualcuno, e quanto siamo capaci e insieme deboli nell’uscita da noi stessi. Abbiamo bisogno degli altri e della fraternità, ma poi siamo molto fiacchi nel viverla, concentrati sulle nostre rivendicazioni affettive e sui nostri bisogni irrisolti.
Essere sacerdoti o religiosi/e oggi intercetta tante domande di senso – che ruolo ha il prete, la religiosa. A che «serve» – e domande su come la comunità cristiana comprenda queste scelte vocazionali.
Credo che abbiamo bisogno di ritrovare l’essenziale su cui investire veramente la nostra vita, e abbiamo bisogno di essere aiutati a perseguirlo.
Preti e religiosi/e sostengono i giovani, le coppie, le famiglie. Le famiglie sostengono o dovrebbero sostenere preti e religiosi/e a non sentirsi soli, né caricati di oneri che non devono portare loro.
In modo magnifico
Come già dicevo nel precedente articolo, comportamenti rumorosi, istrionici, eccentrici, promiscui sono propri della persona e del suo funzionamento complessivo, ma non sono certo ad appannaggio del mondo gay. Mi dispiace doverlo ribadire, chiedo scusa a fratelli, sorelle, amici e amiche, ma lo faccio per chiarezza.
Gruppi chiusi, lobby, oltre ad essere presenti in ogni contesto umano, etnico, politico, sportivo, sono spesso favoriti da ambienti che non consentono un’espressione serena e autentica di sé e costringono al sottobosco.
L’orientamento omoaffettivo non dispone in se stesso a cercare i consimili, non più di quanto disponga quello eteroaffettivo.
Non dispone a scompensarsi, più di quanto non disponga quello eteroaffettivo.
Non rende incapaci di una sana relazionalità con uomini e donne (in base a cosa ci sarebbe questo deficit?).
Non vanifica o mina la vita comunitaria, la predicazione, il ministero, perché il sacerdote omosessuale assume il Magistero e sta nella Chiesa e nella vocazione come gli altri suoi confratelli.
L’elemento dirimente è quanto stia bene, al suo posto la persona, quanto riesca a sviluppare i suoi talenti in quel percorso di vita o quanto rattrappisca perché si sente cucita e non riesca a valorizzare chi è.
Ma è evidente che qui la questione è un’altra: la vocazione e non l’attrazione emotiva, romantica e sessuale.
La coscienza personale, che anche la scienza con parole sue riconosce tra i livelli motivazionali più evoluti, fa sì che, se ben sviluppata e accompagnata, possa orientare l’istinto e quindi far riflettere sulle emozioni, per decidere se e quali assecondare.
Fin dove portare un’amicizia, un legame di affetto forte perché non diventi troppo esclusivo e quindi si intrometta nella relazione d’Amore, sono riflessioni che i testi di scienza pongono all’attenzione della persona affettivamente adulta, sebbene io stia parafrasando i termini che questi testi utilizzano.
Facciamo tutti attenzione, quindi, a non semplificare le cose, riducendo il tutto a una filosofia sull’orientamento sessuale, perché saremmo davvero poco onesti.
Preti, religiosi, religiose omoaffettivi e omoaffettive possono amare in modo libero, incondizionato e corrispondere in modo magnifico alla loro vocazione.
Chiara D’Urbano è psicologa e psicoterapeuta; da molti anni accompagna in ambito clinico e formativo i processi vocazionali di seminaristi, sacerdoti, religiosi e religiose. È consultore del Dicastero per il Clero, perito della Rota Romana, del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, e del Vicariato di Roma. Collabora con Seminari e Istituti religiosi (cf. sito personale)
Quanto poi al legame di affetto forte , che non deve diventare troppo esclusivo, anche questa è una bella barzelletta: Martin Luther King per esempio aveva moglie e figli , ma questi rapporti affettivi non gli hanno impedito di fare mille volte quello che fanno tanti preti : combattere per le sue idee fini alla morte . Amare la Verità e vivere nella verità , che è sempre anche fedeltà a se stessi , questo è quello che conta.
Il problema non è l’orientamento omoaffettivo, tutto nasce dalla negazione della sessualità in seno alla chiesa cattolica e al fatto che questa negazione ha catalizzato gli omosessuali nei seminari .. è questo che ha creato la miscela esplosiva tra omosessualità e abuso . Nel mondo normale dove non c’è repressione della sessualità/ affettività, dove c’è rispetto e relazione nessuno pensa a certe correlazioni . Lo scandalo è il perdurante racconto del prete asessuato, cento anni dopo che Freud, la psicanalisi e il buon senso ci hanno dimostrato che la sessualità è una parte imprescindibile della nostra vita. Se i preti vogliono continuare a raccontarsele , liberi ! Ma in una società civile queste posizioni fanno ridere . Altro che “deeply rooted homosexual tendencies” come se si potesse essere omosessuali part time ..
Quindi la castità: predicata da duemila anni dalla Chiesa cattolica e da TUTTI I santi e’ una barzelletta? Quindi Freud, un ebreo ateo, deve dettare lo stile di vita anche ai cristiani ? Si puo’ vivere la castita’ anzi si deve vivere la castita’ perche’ l’ uomo e’ Spirito non solo materia ., come ha insegnato il Cristo. Dio e’ Spirito e chi lo adora lo deve adorare in spirito. Lasciamo ai materialisti come Freud l’ ossessione del sesso, come cosa piu’ importante della vita. Sono solo menzogne . L’ uomo spirituale puo’ felicemente vivere in castita’ ,il prete ,il monaco puo’ vivere in castita’ e non essere ossessionato dal sesso. Crediamo in Gesu’ Cristo invece che in Freud .
L’uomo è anche corpo, come ci ha insegnato nostro Signore che si è fatto uomo e non ha disdegnato niente della natura umana . Non è rimasto su nel cielo puro spirito . Fare i conti con una conoscenza della natura umana che progredisce nel tempo e può aiutarci a capire l’uomo è quanto di più profondamente cristiano esista al mondo . Avevo un parente prete , un uomo buono e mite , che è passato da un esaurimento nervoso all’altro ; lo ricordo ancora gli ultimi giorni della sua vita quando diceva “quando sono diventato prete non credevo che sarei stato tanto solo” . Bisognerebbe cominciare a vedere la solitudine che accompagna la vita di tanti preti , invece di continuare ad idealizzare castità farlocche che degenerano nel naufragio di se stessi .
Dottoressa,
grazie di questi chiarimenti. Ne ho una domanda. Il documento del 2005 parla di “deep rooted homosexual tendencies” (chiedo scusa, ma non so la traduzione italiana). Sarebbe il caso di fare un chiarimento particolare in quei casi? Oppure come deve intendersi la suddetta espressione? Grazie ancora.