Quando si parla di vocazione sacerdotale, il pensiero corre subito alla figura del prete, alla sua importanza, al suo prestigio, al suo potere. Ma è veramente questa l’immagine della vocazione sacerdotale o è piuttosto un’altra, forse più sconosciuta e misteriosa ma da scoprire nella sua essenza, per arrivare a chiedersi: chi è un prete? Se, all’immagine del prete accostiamo l’immagine di un uomo che detiene un potere, possiamo dire di avere veramente capito chi è il sacerdote?
Il concilio Vaticano II, nel definire il ruolo del sacerdote nella comunità, usa queste precise parole: «I presbiteri, nello svolgimento della propria funzione di presiedere la comunità, devono agire in modo tale che, non mirando ai propri interessi, ma solo a servizio di Gesù Cristo, uniscano i loro sforzi a quelli dei fedeli laici, comportandosi in mezzo a loro come il Maestro, il quale fra gli uomini non venne ad essere servito ma per servire e a dare la propria vita per la redenzione di molti». (Decreto sul ministero e la vita sacerdotale, cap. 2, n. 53).
Da qui possiamo capire che la vocazione sacerdotale, oltre ad essere una chiamata di Dio, è, nello stesso tempo, una chiamata al servizio degli altri e, in forma privilegiata, al servizio dei più deboli. Perciò, il prete è colui che assume su di sé i dolori e le speranze del suo popolo.
Preti per il nostro tempo
Ma nel nostro mondo del Duemila, in cui molta gente pensa che il cristianesimo sia un ordine sociale e il sacerdote solo un uomo di culto, dobbiamo riconoscere che non riusciamo a percepire la grandezza del suo ministero. A che serve infatti ad un uomo rinnovare il sacrificio di Cristo tutti i giorni se poi non lo assume nella vita? A che serve prendere in mano la Bibbia se poi non la si applica alle situazioni concrete dei nostri giorni?
Il prete, seguendo l’esempio di Cristo, deve essere un profeta che annuncia una Parola di salvezza; un sacerdote che amministra i sacramenti; un re che non si stanca mai di edificare il popolo di Dio.
Leggiamo nella Scrittura che Dio ha chiamato uomini di ogni ceto sociale e di ogni provenienza, ma la loro testimonianza era sconvolgente in quanto, sovvertendo tutti i parametri sociali, proclamavano la grandezza della dignità umana che riconoscevano nella stessa misura in cui era calpestata. Al giorno d’oggi, in cui i rapporti sociali sono profondamente segnati dall’individualismo, diventa difficile per il prete annunciare l’amore e il perdono, dal momento che la concorrenza e la distruzione dell’altro si presentano come l’unica strada del successo professionale.
La vocazione sacerdotale diventa sconvolgente in quanto porta il prete ad essere solidale e a confondersi con gli uomini sprovvisti di ogni avere, potere e sapere, ma che hanno, per predilezione divina, la possibilità di rendere tutti gli altri uomini liberi e uguali.
Sempre nella Scrittura, noi troviamo che Dio ha una particolare predilezione per i peccatori, e chiama al difficile compito di essere suoi annunciatori persone con le quali noi, nel nostro perbenismo, non vorremmo nemmeno avere a che fare.
Molti di loro hanno lottato contro questa chiamata che li voleva in un posto piuttosto che in un altro: Isaia infatti si nascondeva, Mosè diceva che non sapeva parlare, Giona fuggiva e Geremia addirittura si ribellava apertamente…, ma poi non ce la facevano più a resistere e annunciavano la grandezza della dignità umana, cioè il regno di Dio!
La vocazione sacerdotale non è un privilegio di chi è più bravo o migliore degli altri, ma è una chiamata che Dio fa ad un uomo debole e peccatore affinché si sporchi le mani con gli emarginati, i dissenzienti, i discriminati, in parole povere, con i dannati della terra, perché è in loro che si trova la salvezza, in coloro che nascono in una stalla, vivono poveri, e muoiono in croce oggi come duemila anni fa!
Vocazione sacerdotale è anche vocazione a vivere con la gente e per la gente.
Dalla parte dei poveri
Un prete non nasce per caso in un determinato posto, egli è il frutto di un seme che i suoi genitori e la sua comunità hanno piantato, perciò egli è indissolubilmente legato al suo popolo e i tradimenti che può arrivare a compiere nei confronti della gente sono pagati a caro prezzo. L’attaccamento alle cose materiali e lo sfoggio di grandezza che molti preti, talvolta in buona fede, hanno mostrato, sono stati motivo di allontanamento dalla Chiesa da parte di numerosi fedeli. Diventa quindi importante, per un prete che voglia vivere a fondo la sua chiamata, vivere a contatto diretto, giorno per giorno, con gli altri uomini per assimilare la loro vita, partecipare alle loro speranze e sottoporsi alle loro critiche, che devono essere sempre costruttive, per un maggior servizio che egli può e deve rendere.
La vocazione sacerdotale diventa quindi, sull’esempio di Cristo, un impegno costante per la difesa di chi non ha nessun potere contro chi ne ha molto e lo usa per interessi non sempre chiari. È una vocazione a schierarsi apertamente e coraggiosamente da una parte, dalla parte dei poveri, degli ultimi e dei bisognosi, i quali chiedono molto al sacerdote ed esigono che egli sia, anche visibilmente, dalla loro parte.
Il prete diventa così l’uomo che è in continuo ascolto della parola di Dio e, allo stesso tempo, ha gli occhi sempre aperti sulla realtà in cui è immerso e in cui è punto di riferimento costante per tutti coloro che autenticamente sono alla ricerca della verità.
La vocazione sacerdotale, lungi dall’essere una chiamata al prestigio umano e al potere sociale, è una chiamata a ripetere giorno per giorno, con molti sforzi e con parecchie sofferenze, il cammino di Cristo Gesù, annunciando instancabilmente non un messaggio di mite rassegnazione, ma la Buona Novella di quel Dio di amore e di bontà che «abbatte i potenti dai troni e innalza gli umili».
Un comune parroco possiede quanto giustamente dice d. Mario