Il prete e il presbiterio

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In preparazione alla giornata di studio organizzata per il 6 maggio 2019 a Roma (Augustinianum, via Paolo VI 25) dalla rivista “Presbyteri” sul tema “Il presbiterio nell’esperienza della formazione del clero”, padre Fabrizio Valletti motiva nell’ultimo editoriale dal titolo “Camminare insieme” la scelta di questo argomento. Non è più tempo di battitori liberi. Oggi l’azione del prete, per essere efficace, non può prescindere dalla comunione/collaborazione con la comunità presbiterale di appartenenza in ascolto delle quotidiane esperienze vissute dal popolo di Dio.

Se la maggior parte dei numeri della rivista Presbyteri hanno cercato di approfondire le condizioni di vita, la formazione, come anche l’efficacia pastorale del prete come singola persona, oltre alle molte altre problematiche inerenti la sua vita personale, il coraggioso tentativo dell’attuale appuntamento è di considerare come il prete sia parte anche di una comunità sua propria, il presbiterio. La stessa esperienza interessa i religiosi che sommano alla vita propria delle comunità a cui sono legati, l’appartenenza alla Chiesa diocesana.

Il riferimento all’unico vescovo a cui devono obbedienza, oltre che al relativo superiore religioso, offre loro anche la possibilità di accrescere quella comune esigenza di esprimere fraternità e comunione.

I contributi che la rivista offre rispondono alla ricerca di quegli elementi che possono presentare il servizio del prete non solo come impegno personale e individuale, ma come auspicabile frutto di una intesa, di una comunione e collaborazione fra membri di una comunità presbiterale. Sono varie le riflessioni e i suggerimenti proposti, tendenti a facilitare percorsi comunitari, come anche ad analizzare le dovute attitudini personali perché il servizio al popolo di Dio non abbia carattere personalistico, ma sia espressione di Chiesa, di unità. Se emerge la figura del prete nell’ordinaria azione pastorale, viene sottolineato che appartenenti al medesimo segno sacramentale sono anche i vescovi e i diaconi.

Quello che nella rivista sembra essere un problema esclusivo del prete, in effetti interessa anche il rapporto all’interno della Chiesa locale con il vescovo e con i diaconi. È una problematica che ha carattere trasversale e, come tale, dovrebbe rifuggire da tentazioni di subalternità che possono generare forme di gerarchia e di potere non evangeliche. È su questa linea che va spostato l’asse dell’interesse pastorale, dai cosiddetti ministri ordinati all’insieme del popolo di Dio, che è il vero depositario della missione di annuncio e di evangelizzazione.

Comunità e realtà sociale

Il percorso che il singolo prete compie nel proprio servizio non è scindibile da quello che la comunità di cui è al servizio vive nel mondo. Una certezza che oggi sperimentiamo è che, a parte situazioni locali di piccoli centri e di comunità isolate, la realtà sociale è mobile e circolare, non propriamente identificabile con un particolare territorio. Parrocchie di periferia o al centro di paesi o di città vivono comunque forme aggregative che non sono definite o stabili. Che significato ha questa condizione per la vita del prete e per la possibile sinergia fra confratelli nel ministero?

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Una simile considerazione sposta necessariamente l’attenzione dalla cura di una comunione fraterna, finalizzata alla virtuosa esperienza di condivisione, di fraternità, di sostegno reciproco, ad una dinamica ricerca di obiettivi comuni nel servizio del popolo di Dio.

La capacità di consultarsi, di studiare insieme, di cercare esperienze condivise, diviene oggi più che mai una necessità legata alle mutate condizioni culturali e sociali. Non è più lo status individuale a caratterizzare una presenza di servizio, né una tonalità sacrale che tende a separarsi dal laicato… immergersi nel popolo vuol dire camminare con la gente e cercare insieme una visione ampia di ascolto e di ricerca. Un clima di queste proporzioni può interessare l’intera diocesi. Il vescovo per primo, attraverso il suo servizio di ascolto, di accoglienza e di attenta accettazione delle differenze, sarà il perno di una circolarità che interessa l’intero popolo di Dio, sollecitando i preti ad esserne interpreti e comunicatori.

Un’esperienza di comunione fra preti non avrà come obiettivo primario l’armonia esemplare di una comunità che ha ricevuto un mandato particolare di servizio e di testimonianza, ma ha anche una ricchezza funzionale nel prendere su di sé spiritualmente e affettivamente il vissuto della gente con cui si condividono gioie e dolori.

Non è possibile che un singolo prete, pur attrezzato culturalmente e spiritualmente, possa leggere e interpretare quello che le varie componenti della società sperimentano nel quotidiano. Sarà sempre più necessario che l’energia dettata dalla fede possa immedesimarsi sulla condizione culturale vissuta dalla gente. C’è sempre una maggiore varietà di culture che si intrecciano nel territorio, sia per la presenza di stranieri, sia per la diversità di formazione e di esperienze lavorative.

L’inculturazione necessaria perché il messaggio evangelico possa trovare espressione adeguata per essere compreso e condiviso non può essere impresa di un solo individuo.

Il confronto, la messa in discussione, lo spirito di ricerca, sono elementi essenziali che possono trovare buona prospettiva operativa solo se diventa un’azione comune. Sempre più le migliori mete di ricerca scientifica, di azione sociale e di impegno politico sono raggiunte se si lavora in gruppo. Perché non si sperimenta analoga sinergia fra preti?

Pastorale, una preoccupazione condivisa

Non solo fra preti, ma sempre di più il consiglio, la partecipazione e la responsabilità dei laici devono entrare in una analisi, in una ipotesi di lavoro, in una azione comune che sia culturale e di presenza sociale insieme. Sono tante le esperienze che avvalorano una simile prospettiva. Viene così messa in pratica la sollecitazione che il Concilio aveva indicato come nuovo indirizzo pastorale e spirituale.

Come è prezioso il contributo che i laici offrono quando si entra nelle problematiche del territorio in cui si vive! Solo una spiritualità disincarnata va oltre le condizioni oggettive di chi vive la casa, la famiglia, il lavoro, la scuola. Non si può esaurire la preoccupazione pastorale nel curare le celebrazioni, nel moltiplicare le ricorrenze e nel chiamare il popolo di Dio a difendersi dalla presunta aggressione che la società oggi rivolge nei confronti della Chiesa.

Nel formulare un progetto apostolico si deve e si può partire dalla condizione reale di vita delle persone. È così prezioso incontrare le maestre degli asili nido, delle scuole materne, per condividere una riflessione su come realisticamente i bambini vivono la loro famiglia. Come è necessario cogliere le sofferenze delle mamme che, per lavoro, stanno sempre meno con i figlioli. Come è importante che i genitori possano trovare spazio e tempo di confronto e di condivisione nell’azione educativa.

Esemplare per me è stata l’esperienza vissuta in collaborazione di parroci che si sono uniti per affrontare, anche nella preparazione di laici al matrimonio, una capacità di portare insieme pesi e speranze. Preziosa è l’offerta di competenza e sensibilità anche diverse nell’azione pastorale.

Il recente sinodo sui giovani ha rilevato come prioritaria l’urgenza del loro ascolto e accompagnamento. Il singolo prete è sempre più isolato di fronte ad una simile problematica, specie se anziano e quindi in difficoltà per vivere in mezzo ai giovani… Il pensiero va anche alla scuola, terreno in cui i giovani vivono la maggior parte del loro tempo…

Per un Concordato ancora in atto e sempre meno accettabile per la presenza nelle scuole di varie espressioni religiose, quanti sono i laici impegnati nell’insegnamento della religione cattolica? C’è ancora qualche prete? Esemplari sono le occasioni di una ricerca comune e di esperienze alternative.

È un’altra occasione di confronto, di condivisione e di ricerca, sperimentata fra preti… Non basta raccogliere i giovani in appuntamenti globali dove sale in modo esemplare l’entusiasmo e la febbre anche spirituale, quando nel quotidiano sono abbandonati alle loro abitudini anche inquietanti.

Simili interrogativi è necessario porsi di fronte a tutti gli ambiti che la società diversificata vive: la questione abitativa, le condizioni lavorative o la mancanza di occupazione, le necessità di assistenza sanitaria, anche per la minore abilità mentale o per gli anziani…

Crescere insieme nella fede

Per ogni ambito il prete è chiamato a innestare la speranza, la fiducia, ma anche un’azione di supporto e di presenza, perché non venga a mancare una crescita personale e comunitaria nell’esperienza di fede. Come è auspicabile che, fra preti, ci si incontri e ci si confronti su tali problematiche anziché ergersi a giudici e spesso a critici verso altri confratelli impegnati in azioni innovative e singolari.

La Buona Notizia di cui è stato portatore Gesù ha visto i ciechi riprendere la vista, gli invalidi camminare, i forestieri essere accolti… Ciascun prete che vive in mezzo alla gente sente che la liberazione offerta dallo Spirito, attraverso anche le azioni culturali e sociali, oltre che liturgiche e rituali, richiedono oggi interventi articolati sempre meno assistenziali, ma capaci di cambiare le condizioni di degrado, di povertà e di emarginazione.

Una azione solitaria è sempre meno possibile… una visione e una ricerca condivisa offrono vere opportunità di Buone Notizie!

 

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