Preti per una Chiesa in uscita, pubblicato da Edizioni Messaggero Padova (2023), cerca di approfondire il «cambiamento d’epoca» fotografato ormai alcuni anni fa da papa Francesco.
Il saggio di don Enrico Brancozzi, attraverso un’analisi critica e audace, cerca di stimolare un’opportuna riflessione sul ripensamento del ministero ordinato e del suo esercizio a partire dalle intuizioni che papa Francesco ha esposto nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium. Altresì, propone un nuovo stile e nuove forme di missione per la Chiesa di oggi.
Il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, ricorda don Enrico, «impone alla Chiesa un ripensamento profondo delle sue prassi e delle sue strutture. Anche il ministero ordinato è chiamato a ridefinirsi in modo discontinuo rispetto al secolare modello tridentino, che pure aveva tracciato nel Cinquecento numerosi e importanti sentieri di riforma. Il prete del XXI secolo ha davanti a sé sfide nuove: la necessità di una presenza significativa in un mondo per lo più secolarizzato e indifferente, una nuova concezione del rapporto fra natura e cultura, un nuovo senso di appartenenza alla comunità cristiana fondato sulle relazioni e non più sul criterio geografico. Da questo scaturisce l’invito ad assumere quello della “Chiesa in uscita” come paradigma missionario per il nostro tempo».
Preti per una Chiesa in uscita si articola in sei capitoli: 1. Il ministero cattolico nella lunga tradizione e nelle sfide di oggi; 2. Sacramentalità della Chiesa come fondamento da cui ripartire; 3. Segni di speranza per un nuovo inizio; 4. Nuove figure ministeriali sul modello della comunità primitiva; 5. Formazione permanente dei preti − incoraggiare la vita comune − incentivare una presenza pastorale più collegiale e condivisa; 6. Unità pastorali − realtà in divenire.
La riflessione che viene proposta è veramente molto stimolante e aiuta a comprendere il cambiamento d’epoca e della crisi dei preti in modo concreto suggerendo la concretezza in stile evangelico all’interno di ogni comunità cristiana mediante il coinvolgimento di nuove ministerialità. A tal riguardo don Enrico scrive: «La crisi numerica dei preti non dovrebbe portare esclusivamente a ridurre le presenze con razionalità, ma dovrebbe invece spingere a favorire la creatività della gente, moltiplicando i responsabili, suscitando un nuovo protagonismo dei laici, soprattutto delle donne».
Don Enrico, con questo illuminante e pregiato testo, invita tutti nell’azione pastorale, così come nel nuovo contesto culturale in cui, come credenti, siamo chiamati ad annunciare il Vangelo, ad assumere quella efficacia evangelica lasciandoci provocare dal vissuto delle persone per avere il coraggio di cambiare quello che si è ritenuto superato e così dare linfa ad una comunità rinnovata dalla gioia di annunciare il Vangelo che sa di poter essere innovativa a patto di abbandonare il comodo criterio pastorale del «si è fatto sempre così».
Tutto questo richiede un vero coraggio nell’osare e mettere mano e cuore in un cambiamento di mentalità pastorale e ministeriale per meglio collegare il sacramento dell’ordine, in specie il presbiterato, al resto della comunità. Così come anche recuperare la dimensione della fraternità e del presbiterio all’interno della Chiesa locale in una dimensione missionaria e corresponsabile.
Molto interessante è il capitolo che don Enrico dedica all’importanza della formazione permanente del prete da vedersi come luogo per eccellenza in cui il prete possa esprimere la sua umanità, le sue ansie, le sue preoccupazioni, ma anche le sue gioire e soddisfazioni. Un luogo in cui potersi confrontare tra coetanei, ma anche tra generazioni diverse e anche con i laici per disinnescare il pericolo di una formazione settorializzata o giocata sul piano intellettuale e sganciata dalla realtà. In questa scia significativo è il tentativo offerto nel saggio di proporre delle prospettive (senza aver la pretesa di essere esaustivo) per creare nuove forme di integrazioni tra pastori e comunità battesimali e eucaristiche.
Il testo si conclude con il capitolo dedicato alle unità pastorali come tentativo di formare comunità presbiterali capaci di prendersi cura di un territorio più vasto e di farlo in un modo nuovo, percorrendo in tal senso un sentiero intrapreso da molte Chiese europee e, al tempo stesso, avviare un processo di revisione della Chiesa in senso più sinodale e ministeriale. Ovviamente, come precisa don Enrico, «l’unità pastorale, lungi dall’essere una formula magica risolutiva di ogni problema, richiede innanzitutto un cambio di mentalità, un comune cammino di collaborazione e di corresponsabilità, una nuova comunione tra presbiteri, diaconi, religiosi e laici…, essere un modo nuovo perché la comunità cristiana sia più incisiva ed evangelizzante nel proprio contesto».
In conclusione, mi permetto di evidenziare come in poche pagine don Brancozzi ha saputo offrire spunti di riflessione in cui con coraggio, pazienza e cuore ha offerto degli spunti di riflessione istruttivi e illuminanti per un nuova idea del presbitero in questo cambiamento d’epoca.
Dalla lettura di questo testo si comprende come oggi la Chiesa ha bisogno di preti adatti, disponibili a farsi modellare dalla Parola di Dio non paralizzati dal sacro, ma mossi dalla fede. Testimoni di un amore che sempre infiamma a trasforma. Di preti che non siano custodi di ceneri ma di un fuoco vivo che è la fede in Dio Padre che vuole renderli facilitatori di rapporti fraterni, capaci di generare e non intristiti nelle aspettative terrene. Capaci, insomma, di abitare questo mondo, questa Chiesa e di essere «artigiani di comunità missionarie, aperte che […] percorrono i sentieri del nostro tempo» (cf. papa Francesco, Discorso del 30 gennaio 2021). Capaci di riscoprire i tratti essenziali del nostro «essere Chiesa», di quella «Chiesa bella» sognata dal Concilio, capace di generare discepoli-missionari e di essere sacramento di luce e speranza per il mondo. Una Chiesa che «abitata dalla gioia, non dimentica l’amore che l’ha creata e, superando la tentazione dell’autoreferenzialità e della polarizzazione, è pazza di amore per il suo Signore e per tutti gli uomini, da Lui amati; una Chiesa che è ricca di Gesù e povera di mezzi; una Chiesa che è libera e liberante» (cf. papa Francesco, Omelia dell’11 ottobre 2022).
Avere il coraggio di cambiare quello che “si” è ritenuto superato… a quale autorità magisteriale fa riferimento questo asserto apodittico?
Idem dicasi per quello del mutato rapporto fra natura e cultura
Non mi risulta che il Concilio Vaticano II abbia abrogato quello che era stato deciso nei concili precedenti .
Apprezzo molto e conosco don Enrico e la sua onestà intellettuale. Tuttavia ho come l’impressione che egli pensi il rinnovamento del ministero ordinato dentro una Chiesa che è nella sua sostanza ancora tridentina e non conciliare. Perché diventi pienamente conciliare occorre fare a meno di tutte quelle strutture che sono il rimasuglio tridentino (https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2020/10/cattolicesimo-borghese3.html). Leggerò sicuramente il libro comunque perché quello che don Enrico scrive dà a pensare e non è mai banale.
Il “rimasuglio tridentino” . Quindi l’ unico concilio che va considerato valido è il Concilio Vaticano II ? E i concili precedenti sono quindi invalidi ? La nostra fede è nata nel 1962?