Vi scrivo con cuore aperto e fraterno, consapevole della delicatezza e della profondità del tema che mi accingo a trattare, ma con la fiducia che queste riflessioni possano essere accolte con lo spirito di comunione e di discernimento che caratterizza la nostra chiamata al ministero presbiterale.
Desidero condividere alcune riflessioni che possano aiutarci a vivere con autenticità e piena consapevolezza la nostra vocazione.
La Chiesa, pur riconoscendo e rispettando profondamente la dignità di ogni persona, ci ricorda che il cammino verso il presbiterato richiede una maturità affettiva che permetta una corretta relazione con uomini e donne, e che possa rendere ciascuno di noi capaci di una paternità spirituale piena e generosa. È un cammino che esige una libertà interiore radicale, perché siamo chiamati a donare tutta la nostra vita a Cristo e alla Chiesa.
In questo contesto, è importante non cadere nella subdola convinzione che, avendo un orientamento omosessuale, si possa mantenere comunque la promessa del celibato anche se ci si lega affettivamente a qualche compagno. Questa è una vana illusione.
L’essere celibi per il Regno di Dio significa legare il cuore solo a Dio e ai fratelli per Dio. Qualsiasi legame esclusivo con un’altra persona, pur senza atti sessuali, minerebbe la nostra vocazione a essere completamente donati a Dio e a vivere una paternità spirituale universale.
Il celibato presbiterale non è solo assenza di relazioni sessuali, ma una totale consacrazione che coinvolge il cuore, le emozioni e gli affetti. Si tratta di vivere una logica di inclusività, non di esclusività, dove il presbitero è chiamato ad amare tutti senza riserve o parzialità.
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Il servizio radicale per il Regno di Dio, che ci è affidato nel ministero presbiterale, richiede un cuore libero da ogni legame esclusivo. Vivere la castità comporta, infatti, una logica di inclusività e non di esclusività: il presbitero è chiamato ad essere padre e pastore per ogni persona che incontra, senza riserve e senza parzialità. La castità, vissuta come segno di consacrazione totale a Dio, ci invita a un amore universale, che abbraccia tutti con la stessa intensità e dedizione.
Va anche detto, con onestà e chiarezza, che il governo delle pulsioni sessuali in un presbitero con orientamento omosessuale può risultare più arduo rispetto a quello di un presbitero eterosessuale. Questo rende la custodia della castità, già impegnativa di per sé, ancora più difficile. La natura esclusiva dei legami che possono svilupparsi tra persone dello stesso sesso, unite alla particolare debolezza emotiva che può derivarne, può creare dinamiche più complesse da gestire, mettendo a dura prova l’integrità della vocazione celibataria. Se si è consapevoli di questa difficoltà, è necessario prenderne atto con umiltà e discernere con onestà se accedere o meno al ministero presbiterale.
La Chiesa non chiede perfezione, ma richiede un sincero impegno verso la disciplina interiore e la fedeltà agli impegni presbiterali. Se questa consapevolezza non viene accompagnata da una reale capacità di controllo e di governo delle pulsioni, l’accesso al ministero non sarebbe una scelta prudente né conforme alla chiamata al ministero presbiterale.
È necessario, inoltre, vigilare su un pericolo concreto che a volte si manifesta nei nostri presbiteri: tra coloro che condividono il medesimo orientamento omosessuale, si nota spesso la tendenza a formare, un gruppo chiuso che, alla lunga, finisce per escludere o evitare relazioni con il resto del presbiterio.
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Questo fenomeno può sfociare in una forma di “lobby”, che non solo crea divisioni all’interno della comunità presbiterale, ma mina la comunione fraterna e l’unità necessaria per il nostro servizio. Tale chiusura non solo contraddice la nostra vocazione, che richiede di essere pastori di tutti e in piena comunione con i nostri confratelli, ma può anche compromettere la nostra capacità di vivere una paternità spirituale universale, che abbracci senza pregiudizi o esclusioni tutti coloro che ci sono affidati.
Ogni pulsione sessuale, come parte della nostra natura umana, richiede un cammino di disciplina dei sensi e delle pulsioni. Questo non è un percorso semplice, ma è essenziale per vivere con integrità la nostra vocazione.
Il sacrificio personale che ne deriva non è una negazione della nostra umanità, ma un’offerta che ci rende sempre più conformi a Cristo, che ha dato tutto sé stesso per l’amore della Chiesa.
La disciplina e l’ascesi che il nostro stato di vita comporta non sono fine a sé stesse, ma ci rendono capaci di un amore più grande, di una disponibilità più totale, di una fedeltà più profonda.
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Un’altra riflessione importante riguarda una tentazione perfida che, purtroppo, può affacciarsi nella mente di alcuni. Si potrebbe essere indotti a pensare che, diversamente da quei presbiteri che incappano in relazioni eterosessuali, con il rischio di causare gravidanze, i rapporti tra persone dello stesso sesso non hanno questa conseguenza. Ciò potrebbe portare a una falsa e pericolosa sensazione di “sicurezza”, inducendo a credere che si possa “sguazzare” più facilmente nelle relazioni affettive senza le stesse conseguenze visibili o immediate. Ma tale pensiero è un inganno profondo, poiché tradisce la natura stessa del celibato per il Regno di Dio.
Il vero problema non risiede nelle possibili conseguenze fisiche di una relazione, ma nel fatto che ogni forma di legame affettivo esclusivo sottrae il nostro cuore alla sua consacrazione totale a Dio. È un’illusione pensare che la mancanza di conseguenze tangibili come una gravidanza giustifichi o renda meno grave il coinvolgimento affettivo; anzi, questa sicurezza apparente rende ancor più subdolo e pericoloso il rischio di tradire la promessa fatta a Dio.
A questo proposito, è utile riflettere anche sul fatto che, sebbene l’orientamento sessuale non influisca minimamente sulla dignità della persona, potrebbe non essere indifferente dal punto di vista delle dinamiche spirituali e pastorali che si determinano nel cuore e nella vita di un presbitero.
Al di là di ogni possibile consapevolezza e autodominio, l’orientamento sessuale potrebbe influire in modo più profondo sulle relazioni che instauriamo con gli altri, sulle nostre modalità di vivere la fraternità presbiterale e il ministero pastorale. È necessario considerare con attenzione questi aspetti, riconoscendo che la nostra vocazione richiede una trasparenza totale e una disponibilità a lasciarci guidare dallo Spirito Santo in ogni aspetto della nostra vita, comprese le nostre inclinazioni affettive.
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Cedere alla tentazione dell’omologo è facile. Cercare il simile, chi ci rispecchia, chi ci comprende nelle nostre fragilità, appare a volte un rifugio rassicurante. Ma accettare la sfida della diversità è impegnativo, e, al contempo, arricchente. È proprio nella differenza che scopriamo nuove forme di relazione, di comunione, e di crescita spirituale e umana. Uscire dalla logica dell’omologo ci permette di vivere relazioni autentiche, che ci spingono a superare noi stessi, ad aprirci a orizzonti nuovi e a servire il Regno con una maggiore libertà.
In questo contesto, è fondamentale non cedere alla tentazione di adescare confratelli nel ministero, o ancor peggio, persone che sarebbero affidate al tuo ministero. La responsabilità che abbiamo nei confronti di chi ci viene affidato è sacra.
Ogni tentativo di utilizzare la nostra posizione di potere o di influenza per soddisfare desideri personali compromette non solo la nostra integrità, ma anche il bene delle anime che ci sono affidate. La vera paternità spirituale richiede un amore disinteressato, pronto a servire e a proteggere.
Inoltre, sii sobrio nell’abbigliamento; non essere troppo raffinato nei modi e nei gusti; evita stravaganze nell’espressione esteriore. Non essere eccentrico da sembrare narciso. La sobrietà e la discrezione sono segni di un cuore libero e centrato su Dio. Esse rivelano una scelta consapevole di non attirare l’attenzione su di sé, ma di essere un segno autentico della presenza di Cristo nel mondo.
Non lasciarti lusingare dalla voglia di fare outing a tutti i costi. Sappi custodire con dignità il tuo orientamento sessuale. Noi valiamo non per atti di ostentazione, ma per la qualità della nostra vita, del nostro servizio, della nostra capacità di amare e di donarci.
Mi piace sentirmi compagno di viaggio e di lotta insieme a voi, nel comune e affascinante servizio per il Regno di Dio. Questa lotta non è mai solitaria, ma condivisa in fraternità e sostenuta dalla grazia. È un percorso che ci chiama ogni giorno a rinnovare la nostra fedeltà e a consegnarci con fiducia nelle mani del Signore, certi che è Lui che ci ha chiamati.
Mi impegno altresì a tenere lontano ogni pensiero omofobo. L’omofobia è un atteggiamento di esclusione e di pregiudizio che, purtroppo, può insinuarsi anche negli ambiti religiosi. Vescovi e presbiteri, come guide spirituali, hanno una responsabilità fondamentale: quella di testimoniare l’amore di Dio, che è inclusivo e misericordioso verso tutti. Ogni forma di discriminazione, inclusa l’omofobia, tradisce il messaggio del Vangelo, che invita a rispettare la dignità di ogni persona, creata a immagine di Dio.
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Tenere lontana l’omofobia dal pensiero e dall’azione pastorale significa abbracciare pienamente il comandamento dell’amore, mettendo al centro l’accoglienza e la comprensione. Cristo stesso ha offerto amore senza condizioni, invitando a costruire una comunità fondata sulla compassione e sulla giustizia, non sul giudizio e sulla condanna. Noi ecclesiastici dovremmo essere fari di speranza e di accoglienza per tutti, senza eccezioni, perché solo così il messaggio cristiano potrà essere autentico e trasformativo.
Se ti è capitato di legarti a un compagno, sperimenta la libertà di “tagliare” e purificare questa relazione, così come potrebbe essere accaduto a un presbitero di orientamento eterosessuale. Vivere la libertà per il Regno con cuore integro è bello. Questa libertà non è un’imposizione esteriore, ma un dono che ci permette di vivere il nostro ministero con cuore indiviso, orientato unicamente all’amore di Dio e al servizio dei fratelli.
La vocazione presbiterale, come ci ricorda la Chiesa, è un dono, non un diritto. Siamo invitati a rispondere a questo dono con trasparenza, onestà e disponibilità.
Il discernimento della nostra idoneità al ministero presbiterale non è solo un compito che la Chiesa compie nei nostri confronti, ma una responsabilità che ognuno di noi è chiamato ad assumere con serietà. Sarebbe gravemente disonesto, ci viene ricordato, occultare aspetti della nostra vita che potrebbero ostacolare questo cammino.
Il Signore ci chiama alla verità e alla fedeltà, non solo nel nostro ministero, ma anche nella nostra interiorità. È in questo spirito che ciascuno di noi è invitato a porsi con fiducia e umiltà dinanzi a Dio, alla Chiesa e alla propria coscienza, per discernere se il cammino intrapreso sia conforme alla volontà di Dio e alle esigenze del ministero presbiterale.
Abbi consapevolezza di non scandalizzare la comunità mostrandoti troppo sicuro e spavaldo, quasi con aria di sfida, affinché tutti accolgano il tuo orientamento. Siamo chiamati a proporre Cristo e non noi stessi. La nostra vita deve essere segno di una presenza autentica e caritativa, che unisce e non divide, che abbraccia e non esclude.
In conclusione, nelle conversazioni tra omologhi, evita di usare linguaggi sempre al femminile e cerca di mantenere una comunicazione che non ricada in stereotipi o modalità affettate e civettuole.
Concludo esortandovi a perseverare nella preghiera, a cercare il sostegno di guide spirituali sagge e prudenti, e a non perdere mai di vista la grandezza della missione che ci è stata affidata. Il Signore, che ci ha chiamati, è fedele e ci sosterrà lungo il cammino, rendendoci sempre più capaci di essere strumenti del suo amore nel mondo.
Con affetto fraterno e in comunione di preghiera.
Trovo molta verità nell’articolo, lo apprezzo e lo condivido. Tra l’altro l’autire fa una analisi con molto rispetto e delicatezza. Mi meravigliano molto invece i commenti irrispettosi e superficiali dei lettori. Certo è molto più facile seguire i luoghi comuni imposti dal mainstream. È evidente che il modernismo avanza ma purtroppo è la stessa corrente dalla quale Papa Paolo VI aveva messo in guardia la Chiesa. Il fumo di Satana che lui percepiva negli anni ’70, è ormai un incendio apparentemente indomabile. Ma sappiamo che la Chiesa è di Dio e Lui saprà come spengere l’incendio a tempo opportuno.
Nutro un profondo rispetto per l’opinione di ogni donna. Sono molto vecchio e conosco le piaghe morali dei maschi. Credo che il modernismo sia una deriva socio culturale che ignora l’etica e il bisogno di imporre un freno all’incontinenza di ogni apparato, compreso quello clericale. Purtroppo credo che Dio e la chiesa siano due dimensioni incompatibili. La chiesa, da come la conosco io, ha smarrito da tempo la sua coerenza pastorale. E’ smarrita e nel suo interno si agitano più i peccatori alla Sodoma e Gomorra che figure angeliche. Me ne dolgo molto ma non vedo come negare evidenze inconfutabili
Ah ecco. Ci mancava un riferimento a Sodoma e Gomorra e al fumo di Satana. Avanguardia pura!
Molto divertente. Nella chiesa nella quale mi sono formato io l’orientamento sessuale influiva molto sulla dignità della persona e l’omosessualità era un qualcosa contro natura di cui vergognarsi. Poi il partire dal celibato per arrivare a fare le capriole tra i tormenti della carne dei presbiteri mi provoca solo battutacce da osteria e dissacrazione di ogni sacralità sacerdotale. Tutte le contorsioni pseudo etiche dell’articolo mi lasciano nella convinzione che la mia religione sia finita in mano a degli immaturi, fatui, comici ominicchi. Mala tempora currunt
Mi considero discretamente anticlericale, ma a dispetto delle critiche rivolte a don Marrone, debbo spezzare una lancia a suo favore.
Anzitutto vorrei però chiedere al Santo Padre di chiarire il senso di tanti suoi interventi per liberare gli/le omosessuali dai pregiudizi e l’uso del termine “frociaggine” per indicare il clima che aleggerebbe nei seminari. Essi sono luoghi di innaturale segregazione come lo erano i collegi di un tempo, e, come indica Federico 10 novembre 2024, la contiguità con tanti (?) confratelli potrebbe ingenerare confusione d’orientamento o consolazioni occasionali, ma non credo che siano di per sé un semenzaio di “frociaggine”. Santo Padre, i suoi collaboratori linguistici le hanno detto che ne uccide più la parola che la spada?
Ritorniamo a don Marrone. Penso che la frase che possa racchiudere il senso del suo articolo sia la seguente:
“La disciplina e l’ascesi che il nostro stato di vita comporta non sono fine a sé stesse, ma ci rendono capaci di un amore più grande, di una disponibilità più totale, di una fedeltà più profonda.”
C’è qualche sacerdote, religioso che possa contestare tale affermazione? Oppure i voti religiosi e la promessa di celibato per il Regno sono “l’inutile fardello” di cui scrive Ortensio da Spinetoli in un suo omonimo saggio?
La castità (la purezza) sono impraticabili, sono un retaggio di certa devozione del passato, e allora diciamolo apertamente: trattenere, sublimare le pulsioni sessuali non è possibile, non solo: è insano, fa male alla salute fisica e mentale. Il padre Pino Piva SJ lo sa bene se ha seguito la vicenda tristissima della demissione del padre Federico Pelicon dalla Compagnia.
Infine, una breve considerazione. Tutti gli studi recenti, tutti gli orientamenti della moderna psicanalisi sono concordi nell’affermare che la fedeltà (ancorché sia riconosciuta come un valore, ma alla luce dei commenti all’intervento di don Marrone pare che nemmeno la fedeltà a Cristo sia più un valore) tra persone omosessuali sia infinitamente più impegnativa (e difficile) che non tra persone eterosessuali. Un momento, calma! Conosco molte coppie omosessuali fedeli da una vita, ma proprio da esse viene la conferma di quanto ho appena scritto. E con ciò?
E con ciò la fedeltà che il sacerdote, il religioso, deve professare verso la chiamata particolare è già di per sé una fatica di Sisifo, se si aggiunge anche la fatica della fedeltà a un partner credo che l’equilibrio psico-fisico del soggetto sia esposto a un logorio che non trova riscontro né nella vita coniugale né nella vita celibataria liberamente scelta.
Apprezzo molto che la redazione abbia pubblicato l’intervento di don Marrone. Esso contiene luoghi comuni? Discorsi fuori dal tempo? Quali sono i discorsi dans l’air du temps? Quelli dell’ex parroco di Carciano (VP) o del coadiutore di Rozzano (MI)? O di quel coadiutore che aveva talmente manipolato la coscienza di una povera adolescente da indurla al suicidio? Cordiali saluti!
Mi spiace vedere che questo sito sta diventando una fotocopia di Repubblica. Avvenire ha un taglio meno martellante, anche Civiltà Cattolica spazia con più fantasia. Qua gira e rigira sono sempre le stesse questioni e gli stessi autori dall’ego ipertrofico.
Vista la natura del blog non mi aspetto, certo, una «peer review» in senso stretto, ma almeno evitateci articoli infarciti di banalità, luoghi comuni, disinformazione e paternalismo come questo…
Sono laico! Credo che tutto quello che si poteva dire l’abbiamo detto le persone che hanno risposto a questo articolo che per lunghezza è contenuti tolga il fiato. Fa affiorare però la paura verso l’omosessuale, in questo articolo lo rende veramente un diverso. Scandaloso. Ma davvero è difficilmente accoglibile dalla chiesa? Mi sembra strano che si debba ricorrere ancora a certi illazioni come “i preti omosessuali hanno maggiori difficoltà rispetto agli eterosessuali”.
Ma veramente pensiamo che l’omosessualità sia fuori da certi schemi della chiesa? Quello che manca è la possibilità di vivere in copia all’interno della Chiesa. La castità penso che sia un miraggio che solo pochi, pochissimi riescono a raggiungere. La castità è un’antifisicità contro natura. Conosco preti etero e omo e sono sicuro che ambedue praticando la pastoralità della apertura e dell’accoglienza siano in linea con gli insegnamenti di Gesù Cristo che aveva Apostoli sposati e non. Ci rendiamo conto quanto la castità sia una forzatura mentale morale e umana? Ci rendiamo conto quanto mantenerla sia umanamente difficile e di conseguenza deviante all’apertura e all’accoglienza? Sono convinto che la sobrietà nell’abbigliamento sia fondamentale e che sia più credibile l’abbigliamento “umano” che quello fatto di lunghe talari con colletti bianchi, camici merlettati e incensi profumati, È ora che questa Chiesa in cui ancora credo cambi perché nei predicozzi che ha fatto l’autore dell’articolo non si identifica più nessuno.
Mi sono sforzato anche io per arrivare a leggere per intero l’articolo. Sconcertante è l’unico aggettivo che riesco ad esprimere. Mi consola che, per fortuna, diversi presbiteri stiano esprimendo quantomeno disagio nel leggere certe affermazioni.
Sinceramente, se fossi stato nella redazione del sito, mi sarei posto il problema circa la pubblicazione di questo articolo, che definire controverso è il minimo che si possa dire
Credo che la pubblicazione dell’articolo abbia come scopo quello di mettere l’autore a diretto contatto con l’uditorio – chiamiamolo così – formato dai lettori. Diversamente dalle prediche in chiesa in cui la gente non ha facoltà di parola e deve sorbirsi qualunque idiozia venga detta, qui per fortuna i vari interventi possono esplicitare il fatto che ci troviamo di fronte ad un articolo quantomeno controverso, per riprendere l’aggettivo da lei utilizzato.
Ma pure qua alla fine sei costretto a servirti sempre gli stessi argomenti, con la differenza che almeno in Chiesa partecipi ad un rito che può bilanciare la noia di un’omelia prevedibile. Qua ad un certo punto smetti di leggere e tanti saluti.
È disarmante pensare che esiste un credo così piccolo e omofobo. No, non è il mio Credo.
È stato arduo arrivare alla fine dell’articolo che ferisce fin dalle prime righe per la banalità di luoghi comuni e pregiudizi non più scusabili nel 2024. “Il presbitero è chiamato ad amare tutti senza riserve o parzialità…”, quindi amare tutti per non amare nessuno, nemmeno se stessi in una “inclusivitá” (come la chiama l’autore) che esclude l’umanità (e anche Dio)
Ieri sera avrei voluto commentare, ma ho voluto aspettare. Soltanto due riflessioni. La prima: che l’orientamento non incida di principio sulla funzionalità della persona e delle relazioni è cosa assodata dalle scienze e pure dalla esperienza ecclesiale osservata con restiamo. La seconda sulla castità: se questa virtù riguarda la capacità di donarsi senza altro interesse che il bene dell’altro questo non può riguardare solo la sfera sessuale! Quante personalità narcisiste e manipolatrici ci sono nei presbiteri! Quante persone egocentriche! Eppure ci si ostina a guardare esclusivamente l’aspetto genitale. Nella Ratio ripubblicata nel dicembre 2016 c’è scritto di una presunta incapacità delle persone omosessuali a vivere relazioni sane con uomini e donne per il solo motivo dell’orientamento: basta guardarsi attorno per vedere che la realtà non è così. Chi vive di manipolazioni e narcisismi (e non penso ai merletti ma a modalità pastorali e relazionali) è capace di relazioni sane per il solo fatto di essere etero? Nel caso lo sia! In più mi meraviglio che l’articolo ad un certo punto sembra rivolgersi a qualcuno di preciso, una persona in carne e ossa. Sarebbe stato giusto essere espliciti. Ah di lobby nella chiesa c’è ne sono ben altre!
Fare “Outing”? Almeno conoscere i termini base…
Ringrazio la redazione per aver avuto il coraggio di pubblicare in un articolo solo, una raccolta così consistente, direi quasi completa, di banalità, luoghi comuni, idealismi stereotipati non solo sulle persone omosessuali, ma sui preti e i religiosi nel loro complesso.
Ma lei, chiederei all’autore, preti o religiosi li ha mai confessati? Quelli eterosessuali, dico. Le sembra davvero che la maturità affettiva sia un bene così diffuso? Come lo sarà mai se il livello dei consigli dei formatori, è questo? Non una riga sulla crescita, sulla pazienza, sull’accettare i propri limiti e le proprie debolezze, in vista di una evoluzione positiva. Davvero è ancora possibile presentare la figura del presbitero in modo così angelicato?
Riesce a far apparire anche l’amicizia, qualche cosa di aborrito da Dio. A parte la rozzezza di certe critiche (perché ovviamente è il consiglio di ogni confessore, di ogni formatore: omosessualità come prevenzione alla gravidanza. Via!) l’articolo grida: a casa tutti gli immaturi affettivi! Speriamo rimanga almeno l’autore!
Sono sincero: ho cercato di controllare la data di pubblicazione di questo articolo, visto che mi sembrava copiato da un testo di Mons. Tony Anatrella, dei primi anni 2000 – 2005. Non c’è bisogno di ricordare chi fosse Tony Anatrella… vero?
E invece pare sia un articolo attuale, proprio di questi giorni…
Beh, se l’accompagnamento dei consacrati, sacerdoti o seminaristi che siano, parte ancora da queste premesse pregiudiziali, senza tener conto della attuale conoscenza scientifica e psicologica del vissuto delle persone omosessuali, c’è da mettere in guardia eventuali lettori da questo plateale atteggiamento abusivo, spirituale e psicologico.
Basterebbe Amedeo Cencini a rispondere a don Marrone, con il suo articolo, qui su SettimanaNews del 31 Marzo 2023: “Formazione presbiterale e questione omosessuale”…
https://www.settimananews.it/ministeri-carismi/formazione-presbiterale-questione-omosessuale/
Caro Confratello, scritti come questi creano la persona omofoba. Tutti, sia omo che etero devono gestire la propria affettività, con l’aiuto Grazia ed entrambi a volte sbagliano. Non sono d’accordo che i preti omo abbiano più difficoltà degli altri. Può affermare questo solo chi molto probabilmente non ha mai incontrato preti omosessuali, il cui orientamento sessuale non interferisce negativamente nel loro servizio nella chiesa. Smettiamola, almeno tra di noi di ripetere i soliti luoghi comuni da bar, non facciamo un buon servizio alle persone e alla verità. Mi vien da ridere (bonariamente!!!) alla affermazione che due preti omo sono facilitati nelle loro relazioni intime, dal fatto che non possono generare figli!!!!
Solo i preti sono narcisi? Capisco l’intento dell’autore ma ahimè non mi pare esente da pregiudizi. È evidente che se la chiesa fosse davvero accogliente non ci sarebbero queste fantomatiche lobby gay di cui l’autore spiegherebbe così l’origine. Pregiudizio per pregiudizio, pur capendo l’intento dell’autore temo non si caverà un ragno dal buco così.
Mi pare di capire che l’autore sia lui stesso presbitero quindi conosce bene certe dinamiche che sono più o meno uguali in ogni presbiterio/seminario.
Questo per quanto riguarda le cosiddette lobby gay.
Dico cosiddette perchè il termine fa pensare a qualcosa di molto più grande di quello che spesso sono, ovvero semplicemente gruppi di amicizie esclusive dove ci si consola della proprie fragilità umiliando gli altri confratelli.
Non solo i preti sono narcisi, certo, ma la gran parte di altri uomini non vive una comunione così intima e spirituale con i colleghi di lavoro come si dovrebbe in un presbiterio, il problema del narcisismo è il condizionamento che esso comporta nel rapporto con gli altri.
Intendevo dire che non solo i preti gay sono narcisisti. Pizzi e gioielli mi pare spesso aumentino con la carriera. Conosco preti assai vanitosi ma non certo gay. Riconfermo quindi una nota che a me suona pregiudizievole in questo scritto.