Ripensare le nuove ministerialità laicali

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Il Centro Studi “Missione Emmaus” con sede a Verona ha organizzato, il 15 febbraio scorso presso il centro diocesano di spiritualità “San Fidenzio” (VR), una giornata di studio e di confronto sulle “Nuove ministerialità laicali” per vescovi e vicari di dieci diocesi italiane. L’articolo non è un semplice resoconto dell’incontro ma evidenzia alcuni contenuti emersi e propone alcune  piste di lavoro.

“Nuove ministerialità laicali”

Centro diocesano di spiritualità “San Fidenzio” della diocesi di Verona. 15 febbraio 2019

Pensare la Chiesa. Giornata di studio per vescovi e vicari. Il primo “Think Tank” – letteralmente “serbatoio di pensiero” – vissuto in ambito ecclesiale è stato fatto il 15 febbraio presso il Centro diocesano di spiritualità “San Fidenzio” della diocesi di Verona. Il focus di questa giornata ha attivato una riflessione pastorale sul tema delle “Nuove ministerialità laicali”, coinvolgendo vescovi e vicari di dieci diocesi.[1]

La giornata è stata promossa e guidata dal Centro Studi Missione Emmaus.[2] Si tratta di un team di formatori che operano in ambito ecclesiale da diversi anni e che, recentemente, hanno dato vita ad un servizio di accompagnamento di chi opera nella Chiesa a vivere i cambiamenti attuali in modo efficace, cogliendo nelle diverse forme di crisi delle nuove opportunità per il Vangelo.

Tre sessioni di studio hanno scandito i lavori e strutturato la giornata del “Think Tank”. Di seguito vengono riportate le relative introduzioni e le domande guida che hanno avviato il confronto. A partire da esse sono stati elaborati nuovi criteri pastorali e sono state condivise nuove prassi che, dopo una fase di approfondimento, troveranno una forma editoriale propria.

Elementi fondativi delle “Nuove ministerialità laicali”

Il termine “laico” non è presente nelle Scritture. In esse sono preferite espressioni come “santi”, “discepoli”, “fratelli”.

Nel contesto delle comunità delle origini, ciò che sembra essenziale per la missione della Chiesa non è primariamente una distinzione gerarchica o carismatica, ma la comune vocazione battesimale alla fede e alla testimonianza del Vangelo.

Papa Francesco recepisce questa prospettiva e, in Evangelii gaudium, sceglie di non trattare nello specifico il tema dei laici nella Chiesa, ma di privilegiare temi “trasversali” utili a tutti i battezzati, nella consapevolezza che l’evangelizzazione è un compito di tutta la Chiesa. Infatti, c’è una sinergia fondamentale tra la tematica delle cosiddette “Nuove ministerialità laicali” e la riflessione ecclesiologica, richiamata anche nei documenti del concilio Vaticano II.

Tuttavia, insieme a questa prospettiva unificante, si specifica che ci sono diverse forme di servizio (o ministero) per l’edificazione del regno di Dio. Così sembra esprimersi l’apostolo Paolo: «Da [Gesù Cristo] tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef 4,16).

In altre parole, per non correre il rischio di ridurre la riflessione sulle “Nuove ministerialità laicali” ad una semplice prospettiva funzionale, occorre considerare in primo luogo quale sia il fondamento teologico pastorale delle “Nuove ministerialità laicali”, per comprendere dentro quale visione di Chiesa esse divengano significative e possano dare un apporto che supera le esigenze puramente organizzative/funzionali.

Se dunque il discepolato e l’apostolato – cioè la dimensione unitiva a Cristo e quella oblativa del battezzato verso i fratelli – sono temi presenti nella Scrittura e nella Tradizione della Chiesa, perché parlare di “nuove” ministerialità laicali? Cosa c’è di nuovo?

A questo proposito, sembra utile ricordare come la fedeltà alla Tradizione non consista nella semplice ripetizione ma in una continuità vitale. Cambiare, perciò, vuol dire ricercare una fedeltà evangelica che sia, allo stesso tempo, all’altezza della Rivelazione e all’altezza dell’umano. Si potrebbe affermare, riprendendo un adagio evangelico, che di fronte ai cambiamenti attuali non occorre fare cose nuove, ma fare nuove tutte le cose (Mc 2,22; Ap 21,5).

Anche in relazione al tema delle “Nuove ministerialità laicali” sono presenti elementi di continuità e di discontinuità, rispetto alle precedenti forme ministeriali, che concorrono a favorire un ripensamento profondo dell’identità delle stesse e che ne definiscono il profilo e la loro specifica differenza rispetto agli incarichi pastorali già svolti dai laici.

Identità e soggetti delle  “Nuove ministerialità laicali”

Il sacerdozio battesimale di tutti i fedeli si esprime in una molteplicità di forme riconosciute dalla comunità ecclesiale, per il bene di tutto il popolo di Dio e in reciproca relazione con il sacerdozio ministeriale. Questo riconoscimento, però, non implica l’istituzione di una realtà statica e immutabile. Lo dimostra il motu proprio di Paolo VI Ministeria quaedam nel quale si legge espressamente che, «oltre questi uffici comuni della Chiesa latina, nulla impedisce che le Conferenze episcopali ne chiedano altri alla Sede Apostolica, se ne giudicheranno, per particolari motivi, l’istituzione necessaria o molto utile nella propria regione».[3]

Il cambiamento d’epoca attuale sembra orientare – almeno la Chiesa europea – a ripensare al tema delle “Nuove ministerialità laicali”. Ma come farlo? Quali principi e criteri scegliere per attivare un cambiamento evangelicamente fondato ed efficace?

Un riferimento importante è costituito dai cosiddetti munus. Il termine, in origine, si riferiva alle prestazioni imposte a singoli cittadini dallo Stato romano. In forza di un’appartenenza, dunque, era richiesta una prestazione per il bene comune. Ciò ha assunto per la Chiesa un significato peculiare in relazione ai tria munera riferiti a Cristo profeta, sacerdote e re (Parola, liturgia, carità).

Ma questi connotati ecclesiali, in realtà, non sono tanto compiti della Chiesa, quanto piuttosto elementi del suo DNA. Forse questo riferimento costringe in qualche modo l’azione ecclesiale a ripiegarsi su se stessa. Al contrario, un riferimento esclusivo alla dimensione antropologica – si pensi agli ambiti del convegno di Verona – può portare all’estremo opposto, a rinchiudersi cioè in un umanesimo estraneo o lontano da Cristo.

Ci si chiede allora quali “Nuove ministerialità laicali” siano pensabili non soltanto alla luce delle esigenze della comunità cristiana, ma anche in relazione ad uno specifico riferimento teologico-pastorale. Ciò potrà aiutare a delimitarne lo stile e il campo di azione coadiuvando il discernimento circa le persone chiamate a vivere queste nuove forme di servizio ecclesiale.

L’identità della persona è profondamente plasmata dalle sue relazioni. Anche la sua azione e il suo servizio sono determinati dalle dinamiche relazionali. È a partire dalle relazioni che diviene possibile comprendere a fondo l’identità di una tematica come quella delle “Nuove ministerialità laicali”. Perciò, è sembrato utile ripensare ai rapporti comunitari che dovranno essere riconfigurati in ordine al tema delle “nuove ministerialità”, con particolare attenzione ad alcuni soggetti della pastorale e alle forme di “mandato” (diocesano, parrocchiale…), oggi quanto mai necessarie per favorire la comunione e la missione, affinché questi servizi siano rilevanti sia agli occhi della comunità cristiana sia della società.

Proposte formative e buone prassi delle “Nuove ministerialità laicali”

Dal concilio Vaticano II in poi c’è stata una presa di coscienza progressiva della necessità di valorizzare i carismi legati alla vocazione battesimale, come doni specifici che il Signore fa perché si possa rispondere a situazioni nuove.

Oggi la ministerialità “laicale” non è più soltanto il risultato di un’acquisizione teologico-pastorale, ma una chiamata a ristrutturare la pastorale dando dignità a figure non solo competenti in uno specifico ambito pastorale, ma testimoni della vita buona del Vangelo. Il discepolo, infatti, è colui che accoglie il kerygma nella sua esistenza. E ciò fa scaturire una vocazione “apostolica” alla testimonianza del Vangelo.

Sostenere “Nuove ministerialità laicali” con una formazione adeguata, significa cercare di evitare le classiche frammentazioni che insidiano la dinamica di crescita della persona – ad esempio: contenuto e metodo, spiritualità e competenza, processi e obiettivi,,, –, per delineare invece proposte qualitativamente sapienziali e integrate.

La formazione delle persone che vivranno una “nuova ministerialità laicale” risulta determinante per l’efficacia evangelica del loro futuro servizio e sarà perciò decisivo delinearne uno stile paradigmatico in linea con le conseguenti aspettative.

Di fronte al cambiamento, è possibile sviluppare delle prassi secondo tre diverse prospettive:

  1. Adattivo (mettere una pezza, dare una mano di vernice)
  2. Reattivo (resistere in trincea, separarsi alzando barriere)
  3. Pro-attivo (ripensare profondamente nuove prassi pastorali)

Quest’ultima prospettiva sembra cogliere l’opportunità che ci viene offerta dal tempo presente, considerandolo come un tempo di grazia, un kairòs. Papa Francesco invita ad essere audaci e ad uscire dalle proprie sicurezze in modo pro-attivo e creativo, per favorire la dinamica evangelizzatrice. Ciò può essere fatto anche attraverso il ripensamento delle attuali prassi pastorali in vista delle “Nuove ministerialità laicali”, come a dire che l’avvio di un discernimento su questa tematica specifica potrà essere un’opportunità di rinnovamento delle attuali prassi pastorali per rendere più feconda l’azione di tutta la Chiesa.

“Nuove ministerialità laicali”

Un metodo… per accompagnare il cambiamento

Nel corso della giornata di studio del “Think Tank” c’è chi ha condiviso una valutazione relativa al metodo proposto, percepito come un «accompagnamento intelligente ed evangelico delle procedure dello Spirito».

Il Metodo Emmaus, pensato dal Centro Studi, si è posto l’obiettivo primario di favorire processi finalizzati a far emergere ciò che lo Spirito suggeriva ai presenti, senza la pretesa di entrare nei contenuti specifici. Ciò di cui si è fatto esperienza è stata una modalità concreta di operare un discernimento evangelico. Le sessioni di studio sono state affrontate con il medesimo metodo, che ora brevemente viene descritto.

Innanzitutto, è stato predisposto un setting che favorisse primariamente il confronto e non il conseguimento di un risultato predeterminato. La finalità del generare un pensiero innovativo, al fine di trovare soluzioni creative e sapienti, capaci di aprire opportunità nuove, è stata perseguita indirettamente, mettendo al centro un confronto aperto e trans-disciplinare, realizzato attraverso un raccordo effettivo tra un gruppo non troppo numeroso di esperti e persone impegnate concretamente nelle prassi legate alle  “Nuove ministerialità laicali” con originalità e profondità. Ogni sessione di studio è stata affrontata in tre fasi:

a) una prima fase di proiezione e inquadramento ha raccolto interventi (uno per ciascuna diocesi) che, a partire dalle introduzioni e dalle domande predisposte per le singole sessioni, hanno condiviso in un tempo limitato una prima serie di considerazioni;

b) dopo l’intervento di approfondimento e di rilancio effettuato dagli esperti, una seconda fase di confronto e approfondimento ha favorito un secondo giro di interventi (non più per diocesi, ma personali), che hanno sottolineato alcuni elementi emergenti o hanno posto altre domande specifiche. Anche questa fase è stata scandita da una tempistica determinata;

c) infine, un breve intervento di una persona del team del Centro Studi ha sintetizzato quanto emerso attraverso una modalità grafica, che ha fissato una sorta di mappa concettuale di riferimento. Questo processo è stato proposto per ogni sessione di studio.

La convinzione di fondo che ha plasmato questo metodo nasce dal brano biblico di Emmaus (Lc 24,13-53). In esso si narra un episodio “iniziatico”. I cuori dei discepoli in crisi vengono riattivati da un accompagnamento che li porta a riprendere contatto con la realtà e a rileggerla in una nuova prospettiva di fede. Non sono risposte semplici o soluzioni facili a rinvigorire la vita interiore dei discepoli, quanto invece una serie di domande e di racconti. Così avviene ancora oggi in una pastorale in cerca di “ricette pronte”. La via evangelica del cambiamento non si intraprende con “passo funzionale”, ma abitando insieme il cambiamento stesso.

La via dello Spirito emerge con forza nel momento in cui un Altro si mette in ascolto della vita e pone domande profonde, riconnettendo il discepolo con la realtà. Questa via si può solo accogliere e chiama ad una conversione profonda e personale.

«Ap-punti Pastorali»: anteprima

Riscontrando un clima generale positivo, al termine della giornata di studio, i formatori del Centro Studi hanno chiesto ai presenti di condividere dei «punti di non ritorno», emersi nel confronto. In forma sintetica si anticipano qui alcuni feedback, rimandando per un approfondimento alla lettura della prossima pubblicazione degli Ap-punti Pastorali.

* L’impressione generale, condivisa dai presenti in fase conclusiva, è stata quella del non ritornare a casa con ricette pronte o soluzioni facili, ma con la gioia e la convinzione di avere preso parte ad un processo, in sintonia con l’azione dello Spirito. L’avere vissuto un’esperienza di Chiesa comunità educante, che dà consistenza e attuazione al concilio Vaticano II

* Ritrovare la motivazione del pensare la Chiesa, ripartendo dal «fuoco della base», cioè dal valore di un incontro e di un ascolto sinodale dei tanti vissuti di fede

* Riposizionare le prassi pastorali più sul fatto di “essere prima discepoli” poi “apostoli”

* Recuperare una visione vocazionale del laicato: “Laici chiamati più che impegnati”

* Preti, religiosi, laici: formarsi insieme, camminare insieme, decidere insieme

* Alla luce di quello che dobbiamo lasciare, in questa fase socio-pastorale della Chiesa, urge l’esigenza di discernere i tanti esodi ecclesiali, individuando in essi altrettanti nuovi processi formativi

* Le procedure sperimentate non sono state una semplice strategia, ma un’esperienza di accompagnamento nello Spirito, che stimola a pensare e ad accettare un punto di non ritorno riguardo alla metodologia da adottare nelle proposte formative ecclesiali

* Dovrebbero esserci più persone dedicate ad un compito di accompagnamento ecclesiale, cioè persone che si dedicano a facilitare le procedure dello Spirito. Rifacendosi al testo paolino di Ef 4,16 si potrebbe affermare che oggi nella Chiesa non c’è necessità di nuovi “organi” ma, affinché il corpo edifichi se stesso nella carità, occorre che ci siano sempre di più ministeri che fungono da “giunture”

* I ministeri, vecchi e nuovi, dovrebbero essere ripensati e promossi maggiormente in ordine alla cura delle relazioni interpersonali (comunione) e come fermento di vere interazioni di evangelica fraternità.

Già nel corso di questo anno il Centro Studi Missione Emmaus proporrà nuovi momenti per pensare la Chiesa. Seguiranno altri “Think Tank” su nuove tematiche ecclesiali attuali.[4]


[1] Hanno partecipato al Think Tank le diocesi di Cremona, Lugano, Mantova, Modena-Nonantola, Novara, Ravenna-Cervia, Sassari, Trieste, Verona, Vicenza. Inoltre, sono intervenuti un esperto in teologia biblica, un esperto in diritto canonico e una responsabile editoriale.
[2] L’autore di questo articolo è membro del Centro Studi Missione Emmaus (www.missione-emmaus.org).
[3] Paolo VI, Lettera apostolica in forma di motu proprio Ministeria quaedam, 15 agosto1972.
[4] Per restare in contatto con le proposte del Centro Studi: Facebook: @MissioneEmmaus – email: missioneemmaus@gmail.com Tel. 393/9843138

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