Un dato condiviso intorno alla nostra epoca è ormai la crisi in cui versa la democrazia, che secondo alcuni è diventata “invisibile” (J.R. Hibbing – E. Theiss-Morse, Stealth democracy, Cambridge 2002).
Questo disagio democratico è più profondamente partecipativo e relazionale: i valori fondamentali dei sistemi democratici si sgretolano cedendo il posto a derive autoritarie e individualistiche.
Nel cambiamento d’epoca: valori invisibili e possibilità relazionale
Al centro del cristianesimo la scelta vocazionale è quella di ricercare segnali carichi di futuro per l’umanità viandante. Il cambiamento d’epoca evoca risposte nuove a domande inedite, non è sufficiente limitarsi a ripetere contenuti certi con un linguaggio ortodosso se manca la capacità di annunciare il Vangelo all’umanità di oggi.
Non basta non scadere nell’eresia, ma occorre annunciare l’originalità e l’attualità di Gesù Cristo nei crocevia delle sfide più cocenti di questa storia: “Con la santa intenzione di comunicare [alle persone] la verità su Dio e sull’essere umano, in alcune occasioni diamo loro un falso dio o un ideale umano che non è veramente cristiano” (EG 41).
In un recente Convegno internazionale per la formazione permanente dei sacerdoti organizzato dal Dicastero per il Clero a Roma, il Card. F. Bustillo nel suo intervento sul prete nel cambiamento d’epoca ha affermato: “I tempi nuovi esigono nuove risposte ai tanti cambiamenti del nostro tempo. I nostri contemporanei meritano risposte di qualità sulla fede e sulla spiritualità”.
Questo cambiamento d’epoca richiede nuove e diverse capacità relazionali anche dalla Chiesa, soprattutto da coloro che vivono la ministerialità.
Nella Chiesa preti meno soli: la sfida della sinodalità
Il legame tra società, Chiesa e preti è profondo: soprattutto se il cambiamento d’epoca esige da essi una risposta audace. In questo senso, la sfida della sinodalità si colloca nel cuore di questo cambiamento d’epoca come alternativa al vuoto dell’individualismo galoppante.
La forma sinodale della Chiesa costituisce un riverbero di cambiamento al suo interno. Non solo nelle strutture ma anche nei soggetti che la compongono: presbiteri compresi. Sinodalità vuol dire la forma che la Chiesa è chiamata ad assumere in questa realtà complessa e contraddittoria: possibilità di camminare, dialogare e scegliere insieme e non come individui isolati e autosufficienti.
Astenersi non vuol dire disumanizzarsi: preti di domani
Pertanto “la nostra visione del sacerdote deve cambiare” continua Bustillo nella sua relazione. Per una Chiesa che cambia anche il ministro ordinato cambia. Non poche voci del mondo teologico invocano da tempo una relativizzazione della teologia del ministero ordinato secondo la formulazione “in persona Christi”, dal momento che tenderebbe ad esasperare l’identità sacrale e infallibile del presbitero (si consiglia la lettura del primo numero di Credere Oggi dell’anno 2024, qui).
Nel medesimo Convegno organizzato dal Dicastero per il Clero, la dott.ssa C. D’Urbano ha riconosciuto come, negli ultimi decenni, ha preso sempre più piede la dimensione umana del prete: egli è prima di tutto un uomo. Ma questa scoperta non è sufficiente se non viene accompagnata dalla possibilità di crescere e maturare in uno sviluppo sereno della propria umanità che – continua la D’Urbano – coincide con un equilibrio integrale e trasparente della personalità. Più il prete diventa umano, più è capace di tessere profonde relazioni. L’umanità, dunque, diventa sinonimo di relazionalità: da solo non può esercitare il ministero!
Infatti, il card. Bustillo individua la chiave di volta del cambiamento del prete nella capacità di amare. Spesso p. Timoty Radcliffe racconta quello che Bede Jarrett, il provinciale della Provincia di Inghilterra, scrisse nel 1932: “Oh, che dono di Dio è una cara amicizia! Non parlarne male. Loda, piuttosto, il suo Fattore e Modello, il Santo Tre-in-Uno”.
Queste parole riecheggiano un’espressione sintetica ma efficace pronunciata dal card. Bustillo: “Se il sacerdote si astiene dall’amare, corre il pericolo di perdere la capacità di amare”. Astenersi dall’amare equivale a smarrire le motivazioni più profonde di un ministero che è espressione di relazionalità, fiducia ed empatia.
Se avete paura dell’amore…
In un’epoca in cui si tende a mercificare e a banalizzare la dimensione affettiva, il prete è chiamato a riscoprirsi costruttore di amicizie, legami e comunità accoglienti. Sono evidenti i rischi a cui viene esposto, ma l’alternativa mediocre di un prete rifugiato nel suo individualismo (talora sorretto dal celibato) risulta inaccettabile ad un discepolo di Gesù.
“Se avete paura dell’Amore… non dite mai messa. La messa farà riversare sulle vostre anime un torrente di sofferenza interiore che ha un’unica funzione: di spaccarvi in due, affinché tutta la gente del mondo possa entrare nel vostro cuore. Se avete paura della gente, non dite mai messa. Perché, quando cominciate a dir messa, lo Spirito di Dio si sveglia come un gigante dentro di voi e infrange le serrature del vostro santuario privato e chiama tutta la gente del mondo affinché entri nel vostro cuore. Se dite messa, condannate la vostra anima al tormento di un Amore che è così vasto e così insaziabile che non riuscirete mai a sopportarlo da soli. Quell’amore è l’Amore del cuore di Gesù che arde dentro il vostro miserabile cuore e fa cadere su di voi l’immenso peso della sua pietà per tutti i peccati del mondo” (T. Merton).
Grazie! Si può dire da dove viene la citazione di T Merton, per favore? Grazie!
Se avete amore per Dio dite Messa bene , non sciattamente, noiosamente e tanto per adempiere a un trito dovere, a Dio della vostra bruttezza ,sciatteria e noia , fatte per dovere, non importa nulla. Mentre bellezza, armonia, adorazione perfetta ,sono gradite a Dio. Andate a vedere Perfect Days ,il film di Wenders, dove si narra che fare bene anzi alla perfezione il proprio lavoro, con umilta’, amore e attenzione, e’ la via della santita’ .
Conosco messe in cui nemmeno Dio regge alla predica.