Nella teologia italiana è raro che vi siano veri e propri dibattiti su qauestiones disputatae, che sarebbero segno di vitalità in cerca della migliore intelligenza della fede possibile. L’intenzione di questa risposta di Massimo Nardello alle critiche rivolte al suo articolo Diaconato femminile: due cautele da Andrea Grillo (cf. SettimanaNews, qui) va proprio nella direzione di ampliare il confronto all’interno della teologia di casa nostra. Il tema chiama in causa direttamente le donne e il loro ruolo ministeriale nella Chiesa, come redazione auspichiamo anche interventi da parte delle teologhe per dare forma a una vera e propria alleanza di pensiero.
Caro Andrea,
ti ringrazio della lunga lettera con cui hai espresso in modo articolato le tue forti riserve sul mio articolo relativo alle cautele da avere nell’introduzione del diaconato femminile. Al di là del fatto che in diversi passaggi non mi sono sentito capito, ho apprezzato il tuo stile schietto e il desiderio di promuovere un dialogo trasparente su questioni così importanti come quelle in esame. Mi pare sia questo il modo giusto di affrontare le divergenze, soprattutto nel nostro ambiente teologico.
Venendo alle tue osservazioni, ti garantisco che non ho affatto paura dei cambiamenti che possono intervenire all’interno della Chiesa cattolica. Al di là dei miei lavori sul Vaticano II che hai citato, ho scritto un libro nel 2018 per mostrare, forse in modo troppo complicato, come di fatto la Tradizione evolva anche in modo discontinuo, come questo sviluppo sia del tutto legittimo sul piano teologico e come apra alla Chiesa possibilità di cambiamento piuttosto rilevanti. Inoltre, come ho scritto nell’articolo che hai commentato, sono favorevole all’ordinazione diaconale delle donne. Ciò che mi preoccupa non sono questi cambiamenti, ma le motivazioni che mi pare li stiano supportando, almeno in certi settori della Chiesa. Tali motivazioni hanno a che fare con il peso delle istanze culturali nella riforma ecclesiale e, alla radice, nella teologia.
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È ovvio che l’esperienza cristiana è sempre culturalmente connotata, e che le sfide culturali ci aiutano a comprendere più pienamente l’evento cristologico che è l’autocomunicazione del Dio trinitario. Mi sembra però di intravedere in diversi orientamenti teologici attuali la tendenza a riconoscere una sorta di normatività alle istanze culturali, e quindi a decostruire la Scrittura e la Tradizione quando difformi da tali istanze. Mi pare invece che i cambiamenti dottrinali e strutturali nella Chiesa vadano legittimati non semplicemente per il fatto che sono richiesti dalla cultura, ma a partire da un approccio ermeneutico alla Tradizione.
Sono favorevole all’ordinazione diaconale delle donne perché penso che questo sia un modo legittimo di leggere la Tradizione, e non primariamente o semplicemente perché questa opzione è espressione della parità tra uomo e donna, che oggi è giustamente invocata nelle nostre società occidentali. Ovviamente non nego questo valore fondamentale, ma non credo che debba essere anzitutto questo a muoverci verso l’ordinazione delle donne al diaconato.
Ora, il problema dell’ermeneutica della Tradizione non è banale, visto che, a mio parere, è la vera causa della non piena comunione tra le Chiese cristiane. L’Ortodossia ritiene che la Tradizione evolva in modo omogeneo, senza discontinuità, e possa essere attestata solamente dalla Scrittura e dai Concili ecumenici quali sono quelli del I millennio. Il mondo protestante riconosce un carattere strettamente normativo alla sola Scrittura, e quindi si sente libero di legittimare cambiamenti anche strutturali all’interno della Chiesa, purché non in contrasto con il dato biblico.
E poi ci siamo noi cattolici, che riteniamo che siano possibili evoluzioni nella dottrina e nella struttura della Chiesa rispetto al Nuovo Testamento, che alcuni di questi sviluppi diventino Tradizione e abbiano una loro normatività, e che altri siano da rifiutare. Non ci possiamo esimere dallo spiegare, anche in un contesto ecumenico, come facciamo a capire se uno sviluppo della Tradizione è legittimo e quindi la alimenta, o se va contro alla Tradizione e quindi va scartato. La soluzione che la teologia cattolica ha sempre invocato, quella di affidarsi al magistero, non è in discussione, ma oggi possiamo riconoscere che anche il papa e i vescovi hanno bisogno di capire meglio come operare il discernimento su ciò che è realmente normativo nella Tradizione.
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In assenza di tali chiarimenti, potrebbero nascere difficoltà molto grosse nella Chiesa. Ad esempio, rendere possibile l’ordinazione delle donne al diaconato – cosa che io auspico, come ho detto – comporta anche lo spiegare perché esse non possano accedere al presbiterato e all’episcopato, e mi pare che sia difficile farlo in modo convincente senza una teologia della Tradizione un po’ più sofisticata dell’attuale. Le istanze culturali, almeno occidentali, orienterebbero sicuramente verso un loro pieno inserimento nel ministero ordinato.
Infine, riflettere sul tema che ho proposto non significa in alcun modo mettere in discussione o dilazionare a tempi indefiniti l’eventuale ordinazione delle donne al diaconato, almeno per quanto mi riguarda. Qualche mese di riflessione non farebbe la differenza.
Ovviamente si può pensare che queste mie considerazioni siano preoccupazioni indebite e che basti solo un po’ di buon senso per capire che l’ordinazione diaconale – e non solo – delle donne sia più che legittima e auspicabile. Mi sembra però che chi si occupa professionalmente di teologia debba affrontare le questioni in modo un po’ sofisticato, cercando di mettere in evidenza delle criticità che a prima vista non sono evidenti.
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A riguardo della seconda parte del mio articolo, non mi sono sentito capito. Cerco di essere più chiaro. Auspico l’ordinazione al diaconato delle donne, ma temo che sarà oggetto di forte resistenza in alcune aree della Chiesa cattolica. Il fatto che lo tema significa che questo possibile esito mi rattristerebbe molto e mi troverebbe in totale disaccordo. Tale resistenza potrebbe esprimersi o nel rifiuto dei presbiteri di presentare delle candidate al ministero diaconale – in alcuni casi, questo avviene già per il diaconato maschile –, o nell’assegnazione alle neo ordinate di compiti di modesta rilevanza, magari gli stessi che svolgevano prima dell’ordinazione.
Come fare per evitare questa deriva? La mia proposta è quella di riqualificare il ministero diaconale, in modo che se e quando le donne vi accederanno, abbiano maggiori garanzie di esercitare un ruolo di effettiva responsabilità. Lo possiamo fare? Io penso di sì, dal momento che il diaconato fa parte del sacramento dell’ordine, lo stesso ricevuto dal vescovo e dal presbitero (LG 28), il cui compito originario è quello di custodire la fede apostolica delle comunità cristiane. Dal mio punto di vista, tale custodia comporta inevitabilmente una certa leadership, dal momento che richiede di poter prendere la parola in modo autorevole all’interno della propria comunità cristiana. Ovviamente nel caso dei diaconi e delle diacone tale compito non sarebbe rivolto ad una comunità che celebra ordinariamente l’eucaristia in quanto porzione della Chiesa locale, cioè la parrocchia, ma a gruppi più piccoli, preferibilmente dediti al servizio dei poveri, all’evangelizzazione dei lontani e alla cura dell’ambiente.
Sono consapevole che questa mia proposta è un’ipotesi di lavoro, che però mi pare poter garantire un ruolo più solido alle future diacone e consentire anche agli attuali diaconi di essere maggiormente valorizzati all’interno delle loro comunità cristiane. Va da sé che un orientamento del genere richiederebbe una formazione teologica superiore rispetto a quella attualmente richiesta, ma questa è un’altra questione.
Dunque, io non ho scritto che occorre sospendere l’ordinazione delle donne al diaconato perché potrebbe compromettere ulteriormente la rilevanza del diaconato maschile, ma al contrario ho sostenuto che dobbiamo riqualificare il diaconato maschile perché le diacone possano avere a suo tempo un ruolo di responsabilità più tutelato. Attivare un processo del genere non mi pare richieda anni di lavoro, ma semplicemente un percorso che porti ad orientamento più definito sulla teologia del diaconato. Spero di essere stato più chiaro.
Grazie dell’attenzione e delle critiche. Ben venga che questo nostro dialogo possa dar vita ad ulteriori riflessioni da parte dei nostri colleghi e colleghe.
Con amicizia, Massimo Nardello
Non si potrebbe riconoscere una normatività delle istanze culturali nel senso que sono proprio queste a provocare, a stimolare, nuove domande e nuove risposte da parte dell’intelligenza della fede? Senza questa pressione culturale la teologia quanti passi non avrebbe dato?
La parità tra uomo e donna, direi anche l’unità del genere umano, fatto a immagine e somiglianza di Dio, mi paiono motivi più che validi per non fare nessuna distinzione tra uomo e donna rispetto al sacerdozio, in tutti i suoi gradi. Mi pare una motivazione squistamente teologica. Dio non è maschio o femmina, oppure è entrambe le cose, così come è molte altre. Perciò anche il sacerdozio ministeriale, che io vedo non definitivo ma temporaneo e anche fluttuante tra gli appartenenti alla comunità cristina, deve essere di tutt* allo stesso modo, per esprimere meglio la realtà profonda di Dio, e dunque per essere più vero.
Cercherò di essere più politicamente corretto:” Il diaconato femminile non risponde a nessun mandato di Cristo e tanto meno apostolico. Ben due commissioni vaticane hanno detto no! Ripeto la Madonna è l unica vera icona vivente a cui le donne devono riferirsi. Grazie
Ma caro Mauro Maxzoldi lei e’ cosi’ ingenuo da credere che si cattolici moderni gliene importi nulla del mandato di Cristo o apostolico ? Quelli che vogliono il diaconato femminile ,soprattutto donne, lo vogliono per he’ a loro cosi’ piace .
Cosi’ e’ se vi pare. A loro pare giusto il diaconato femminile e dunque cosi’ ha da essere.
Una Chiesa e una teologia al rimorchio del relativismo e delle emozioni/desideri individuali.
Vorranno i preti ‘ negare a tante buone matrone l’ emozione di essere diacono ,tarpando cosi’ i loro desideri ? Cattivoni.
Personalmente non sono né buona , né matrona , né aspiro al diaconato. Fa schifo , a me come a tante altre donne , un altare come quello attuale . Che non ha nessun fondamento scritturale ed è solo espressione della limitazione intellettuale perpetrata nei secoli dalla gerarchia. Che , tra l’altro , tende ad esorcizzare anche l’uomo sposato e a mantenerlo subordinato . Insomma un altare di uomini celibi , o presunti tali , che hanno esorcizzato totalmente la donna . Nessuno vede quanta falsità c’è dietro questa posizione ?
Chissa’ perche’ a tanti santi invece ,uomini e donne ,non solo questo altare non faceva schifo ma da questo altare hanno tratto il nutrimento spirituale della loro santita’ . L’ elenco e’ lungo, sig. ra Chiara, magari per sua edificazione studi le loro testimonianze: Francesco e Chiara d’ Assisi, Sant’ Antonio da Padova, Santa Caterina da Siena, Sant’ Ignazio di Loyola, San Filippo Neti, Santa Teresa D’ Avila, eccetera eccetera .
Gent. Sig Giampiero, ha citato santi pionieri del loro tempo, tutti ispirazione per un cambiamento e un’evoluzione continua della chiesa. La ringrazio del suggerimento e invito anche lei a leggerli con occhio storico rivolto al futuro: sono stati VERI rivoluzionari, capaci di vedere i segni dei tempi e di comprenderli.
1) le commissioni vaticane non hanno detto di no, ma non sono riuscite ad essere d’accordo su cos’era il il diaconato femminile/diaconissato
2) dalle fonti storiche il diaconato femminile è stata un’istituzione nella Chiesa Antica, ed ha continuato ad esistere in alcune zone, per esempio fra gli armeni. ma vi è notevole discrepanza nella sua forma nello spazio e nel tempo, con alcuni casi che gli davano ruoli molto limitati ed altri con status pari a quelli del diacono maschio
3) amplio il suo ragionamento: se la Madonna ha generato per Cristo il suo Corpo fisico, allora le donne possono sicuramente tramite il sacerdozio dare a Cristo il suo Corpo sacramentale?
IO che ho chiesto di diventare Diacono,mi hanno risposto che non ho le attitudini, perché provego da una famiglia povera ma umile,la chiesa è stata fatta per aprire la porta a tutti.Sono molto deluso e amareggiato,ma credo che il Buon Dio,possa compiere un miracolo,secondo la sua volontà,e non la mia.Joseph
Ci preoccupiamo troppo se eventuali cambiamenti rispondono alla Tradizione o meno, ma non ci chiediamo cosa vuole lo Spirito nell’oggi. Leggendo gli Atti degli Apostoli (6,1-7) si nota l’istituzione dei diaconi è nata da una necessità concreta (assistenza delle vedove) e da una discriminazione (le vedove di lingua greca venivano privilegiate rispetto a quelle di lingua ebraica). Gli apostoli si sono domandati se la necessità era reale e allora hanno scelto sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza. Tale prassi va ripresa anche nella Chiesa attuale.
È molto da apprezzare la risposta chiara e lucida di Nardello. Dispiace che, nella discussione teologica, ci possano essere colleghi/e che cedono facilmente all’ eccesso di correzione nei confronti degli altri (sempre ritenuti “erronei” per principio), imputando e rimproverando loro con verbosa acrimonia intenzioni ed affermazioni diverse dal discorso svolto.
Una cosa mi colpisce di quanto scrive Nardello, e su cui concordo: la tendenza di certa riflessione teologica a considerare non più “normativi” Scrittura, Tradizione (che infatti è, come è stata sempre nella storia della Chiesa, un vivace giardino di sempre nuove varietà) e Magistero, difendendo con incredibile energia dottrinale indistintamente tutte le istanze culturali del nostro tempo, appellandosi allo Spirito Santo come se soffiasse a comando di questo o quel “partito” ecclesial-ideologico e non fosse per tutti noi credenti, “progressisti” o “conservatori” (odiose e offensive, oltreché fortemente limitanti definizioni da linguaggio politico-ideologico), Colui del quale non si sa da dove viene né dove va, del quale cioè nessuno di noi può disporre a suo piacimento (almeno Lui sì che è un’istanza indisponibile!).
La Scrittura è normativa ! La Tradizione e il Magistero dovrebbero essere interpretati e adeguati allo Spirito della Scrittura . Il monopolio dell’interpretazione della Scrittura è responsabile della marginalità e della esculturazione del messaggio evangelico . In ultima analisi a chi Cristo ha rivelato il Regno ?
Vogliamo far rientrare ogni dibattito nell’ambito teologico “riservato” agli addetti ai lavori ? Siamo sicuri che un battezzato non sia degno di ascolto ? Che il buonsenso comune , quello che vede le nostre chiese spopolarsi di giorno in giorno , non abbia diritto di cittadinanza? Allora vi lasciamo alle vostre elucubrazioni sulla difesa della custodia apostolica, sulla leadership clericale ( ??? ) , sulla superiore formazione teologica necessaria per essere abilitati ad aprire la bocca e vi salutiamo , Buona Pentecoste agli unti dal Vescovo ..e agli altri silenzio .
Il diaconato femminile è diaconato con tutte le denotazioni e connotazioni proprie.
La Chiesa Ortodossa lo ha ripristinato da tempo e nel link si trova un’ atto significativo della Chiesa Armena.
Rimane per me un solo tema: l’ esercizio ministeriale del diaconato femminile è da esercitatsi solo in ambito femminronile o è rivolto anche a persone di genere diverso?
È l’ unico nodo culturale da affrontare.
Culturale, ribadisco, perché legato al contesto della Chiesa subapostolica non inerente la Tradizione, termine di notevole spessore perché pilastro della Chiesa assieme alla Scrittura.
È sufficiente allora guardarsi attorno.
Oggi un medico può essere maschio o femmina e i pazienti non sono discriminati in base al sesso.
https://www.liturgia.it/content/ministeria/diaconesse%20Chiesa%20Ortodossa%20Greca.pdf
Errata: un’ atto = un atto
femminronile = femminile.
Non c’è possibilità correggere.
Abbiamo corretto, grazie!
Il vero problema è chiarire, alla luce della Tradizione, se il Diaconato è un Ordine Sacro o un ministero istituito battesimale. Nel primo caso, il Diaconato femminile non è possibile, nel secondo caso sì. Se è infatti ordine sacro come il Presbiterato e l’Episcopato, con ruolo di governo, si è già chiarito che Gesù ha scelto per questo ruolo solo uomini, pur potendo scegliere donne. L’Ordine Sacro, poi, è fi diretta istituzione divina, in quanto è stato Gesù stesso ad istituirlo nell’Ultima Cena ed è relativo al potere sull’Eucaristia (quindi, il Sacramento dell’ordine riguarda solo Presbiterato ed Episcopato, non Diaconato), mentre il Diaconato e di istituzione apostolica per un “servizio” (ministerium non quindi ad sacerdotium), e cioè la distribuzione alle vedove degli ellenisti. Quindi, per me, non è ordine sacro, ma ministero battesimale e questo – come l’accolitato, il lettorato, il ministero straordinario della comunione o del catechista – può essere conferito snche alle donne. Ciò comporta che i diaconi non vanno considerati ministri ordinati,con tutto quello che ne consegue (es. cappellani ospedalieri) pur potendo assumere compiti smministrativi in una parrocchia.
Ma anche i diaconi di At 6, come quelli di oggi, hanno ricevuto l’imposizione delle mani, come i presbiteri e i vescovi. Non abbiamo 3 sacramenti ma 1, diviso in tre gradi.
Le diaconesse pare non avessero il ruolo liturgico in antichità, se non quelli di accompagnare le catecumene nel bagno battesimale, per il resto di occupavano di carità, come moltissime donne oggi, in silenzio, fanno li stesso.
Inoltre: solo per una legge della chiesa latina (per me ancora valida) i diaconi sposati non accedono al secondo grado del sacramento dell’ordine. Se si accetta che il sacramento dell’ordine è stato voluto da Cristo solo per gli uomini, ne consegue che diaconi, presbiteri e vescovi debbono essere di sesso maschile.
L’ imposizione delle mani non è un segno univoco, almeno non nella chiesa antica. Io tenderei a considerare il diaconato non sacramentale. Non esiste ancora un pronunciamento veramente definitivo sulla tripartizione dell’ordine.
Ma come poteva Gesù con la mentalità culturale del suo tempo, e in particolare quella ebrea, poter dare a delle donne, che dovevano essere evitate se mestruate e che spesso vivevano anche separate nelle case, dei ruoli di comando quali il presbiterato/episcopato? Gesù aveva fatto tutto quanto, ed era tantissimo, poteva fare per dare piena dignità alle donne, facendoci capire che possono fare di più, cioè tutto ciò che fa l’uomo, essendo anche loro, ovviamente, Figlie di Dio. Sta a noi capirlo o rifiutare di farlo.
Questo articolo è un esempio lampante di ciò che è accaduto nella Chiesa dopo il Concilio Vaticano II.
Innovazioni chiaramente discontinue introdotte con la giustificazione di una tradizione reinterpretata.
Non mi sembra lefebvriano.
Proprio per niente.
Il fatto è che la rivoluzione ha esaurito la pazienza e che oggi non vuole più fingere.
Perciò la posizione di Nardello può addirittura apparire tradizionale o “indietrista”.
Non è tradizionale ma semplicemente vecchia di cinquant’anni.
Il presente è più disinibito.
Diaconato femminile?
Chiaramente un primo passo verso la pienezza dell’ordine nella mente di tutti quelli che lo propongono.
Scisma?
Non temuto anzi auspicato dai novatori certi di essere la stragrande maggioranza.
Esistono alcune chiese protestanti conservatrici che hanno introdotto il diaconato femminile senza per questo aprire il ministero di pastore/anziano/ministro della Parola e dei Sacramento Sacramenti alle donne.
Alcune lo hanno introdotto addirittura nell’800.
Bisognerebbe studiare questi casi e vedere se sono replicabili con la Chiesa Cattolica. A mio avviso sono riusciti per questi motivi:
– autonomia delle singole comunità in materia, pur mantenendo la Comunione ecclesiale;
– garantire la libertà di dissentire sulla prassi;
– forte e sentita distinzione tra il ministero diagonale e quello pastorale;
– notevole capacità di mantenere la disciplina.
Non mi pare replicabile.
Il cattolicesimo senza il centralismo romano non esiste: non può esserci autonomia delle chiese locali o possibilità di dissentire.
Anche se queste cose ormai sono all’ordine del giorno non vuol dire che siamo normali.
il centralismo romano è comunque il risultato di un’evoluzione storica durata un millennio, con un’accelerazione negli ultimi due secoli
una frase quale “Il cattolicesimo senza il centralismo romano non esiste” è negare che il cattolicesimo sia un cristianesimo e far prevalere una connotazione storica in cui ormai i cristiani, che anche si dicono cattolici, non si riconoscono più e vogliono un cambio di relazioni… un cattolicesimo non umano non ha più relazione con i Vangeli e quindi Gesù Cristo, diventa solo questione di potere e non interessa più i comuni credenti!
Forse mi ripeto, ma in assenza di un documento da parte della Commissione sul diaconato femminile ritengo che il dibattito, legittimo, sia un esercizio di verbalismo (cito don Vinicio) proprio perché manca una cornice all’interno della quale dibattere/approfondire/chiarire le posizioni.
Concordo