«Alla donna non spetta il principio petrino bensì quello mariano, che è più importante. Il fatto, dunque, che non acceda alla vita ministeriale non è una privazione, perché il suo posto è molto più importante» (Francesco, “Non sei solo”, Salani, Milano 2023).
Questa motivazione appare pseudo-teologica: oggi antropologicamente, sociologicamente e psicologicamente, prima ancora che teologicamente, un ragionamento nei termini essenzialistici di un “eterno maschile” e un “eterno femminile” metafisici, per giunta per giustificare le differenze di ruoli di genere, non sta proprio in piedi. Lo si ritrova giusto nel luogo comune secondo cui gli uomini verrebbero da Marte e le donne da Venere.
Con lo stesso ragionamento del principio mariano si potrebbe paradossalmente giustificare anche l’opposto: poiché Maria è figura della Chiesa, che è donna, allora le ministre della Chiesa per poterla rappresentare devono essere tutte donne. Chiara Lubich ha giustificato con il principio mariano il fatto che, alla guida dell’Opera di Maria (Movimento dei Focolari), ci debba essere necessariamente una donna.
Come non sta in piedi l’idea che i ministri ordinati debbano essere maschi perché maschi erano i Dodici che si scelse Gesù, come se il loro genere fosse non solo un elemento normativo, ma l’unico essenziale, non condizionato dal contesto sociale. Qualcuno ricordò giustamente a Giovanni Paolo II che è possibile che all’Ultima Cena ci fossero solo maschi, ma sicuramente non c’erano polacchi.
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Torniamo all’ideologia dei due principi petrino/mariano. Se un tempo si escludeva la donna, in quanto periodicamente impura a causa del ciclo mestruale, dal sacerdozio ministeriale, Tommaso d’Aquino giustificava l’esclusione dal ministero ordinato, che implica una certa autorità, con la naturale inferiorità del sesso debole, che sarebbe inadatto ad avere autorità sugli uomini.
Nella citazione, papa Francesco sembra dire l’opposto: poiché la donna sarebbe più importante dell’uomo, poiché il ministero ordinato implica il servizio, allora è l’uomo che deve servire la donna, e quindi la donna non può essere ordinata al servizio presbiterale.
In altre parole: non può abbassarsi a servire perché ha un ruolo superiore e quindi deve essere servita. Di fatto, è come giustificare l’obbligo del velo non più quale segno che la donna è soggetta a un uomo, ma per preservare la preziosità della femminilità in quanto sarebbe «molto più importante» della maschilità. In fondo, è la vecchia giustificazione per mantenere l’uomo sulla scena e le donne dietro le quinte, magari in cucina.
“Non si può più sentire”, mi diceva un’anziana religiosa, di grande esperienza, facendo riferimento anche alla recente pubblicazione di Lucia Vantini, Linda Pocher e Luca Castiglioni «Smaschilizzare la Chiesa»? Confronto critico sui “principi” di H.U. Von Balthasar (Paoline, Milano 2024) che, quasi incredibilmente, reca la prefazione di papa Francesco, come a fare autocritica.
Intervistato a fine aprile 2024 dalla CBS, senza più far ricorso al “principio mariano”, il pontefice ha dichiarato: «Le donne sono di grande servizio come donne, non come ministri, come ministri in questo senso, all’interno degli ordini sacri». Egli riconosce che le donne già svolgono un grande servizio, eppure disgiunge il servizio dal ministero, che in realtà hanno la stessa etimologia: diakonia, in greco.
Non v’è solida ragione per non riconoscere istituzionalmente il servizio, cioè il ministero, la diakonia che esse già svolgono pubblicamente nella Chiesa. Sul tema, Andrea Grillo ha pubblicato negli ultimi mesi ben tre libri: Se il sesso femminile impedisca di ricevere l’ordine. Ventiquattro variazioni sul tema (Cittadella, Assisi 2023); L’accesso delle donne al ministero ordinato. Il diaconato femminile come problema sistematico (San Paolo, Milano 2024) e la curatela Senza impedimenti. Le donne e il ministero ordinato (Queriniana, Brescia 2024).
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Eppure papa Francesco è lo stesso che apprezza una certa relativizzazione dei ruoli di genere nella società, frutto di una divisione patriarcale, culturalmente e storicamente situata. Infatti in Amoris laetitia scrive che «la missione forse più grande di un uomo e una donna nell’amore è questa: rendersi a vicenda più uomo e più donna» (221) ed «è possibile, ad esempio, che il modo di essere maschile del marito possa adattarsi con flessibilità alla condizione lavorativa della moglie. Farsi carico di compiti domestici o di alcuni aspetti della crescita dei figli non lo rendono meno maschile, né significano un fallimento, un cedimento o una vergogna.
Bisogna aiutare i bambini ad accettare come normali questi sani “interscambi”, che non tolgono alcuna dignità alla figura paterna. La rigidità diventa un’esagerazione del maschile o del femminile, e non educa i bambini e i giovani alla reciprocità incarnata nelle condizioni reali del matrimonio.
Questa rigidità, a sua volta, può impedire lo sviluppo delle capacità di ciascuno, fino al punto di arrivare a considerare come poco maschile dedicarsi all’arte o alla danza e poco femminile svolgere un incarico di guida» (286). Non si capisce affatto il motivo perché, quando si parla di ministero ordinato, questi «sani interscambi» sarebbero invece proprio impossibili.
Eppure papa Francesco è lo stesso che ha aperto alle donne la possibilità di accedere alle ministerialità istituite di lettrici, accolite e catechiste, come si diceva. Eppure papa Francesco è lo stesso che ha creato ben due commissioni di studio sul diaconato femminile.
Ed è lo stesso papa Francesco che, oltre ad aver attribuito ad alcune donne ruoli importanti nella curia romana, oltre ad aver consentito la partecipazione e il voto di donne al Sinodo dei Vescovi, nel libro del 2023 ipotizzava persino donne cardinali – quali «consigliere del Papa» – purché non ordinate, ma poi «il papa viene scelto dai vescovi perché è vescovo di una diocesi, è vescovo di Roma. L’importante quindi è che gli elettori siano vescovi», e quindi… non sa come venirne a capo.
Forse ricordandogli che un tempo c’erano anche laici tra i cardinali elettori? In sintesi, per papa Francesco: ministre laiche sì, diacone forse purché non ordinate, donne cardinali pensiamoci; ma di presbitere proprio non se ne parla. Nonostante le buone intenzioni di “smaschilizzare la Chiesa”, il pregiudizio patriarcale e la riserva maschile sono ancora duri a morire.
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Mi sa che, più che questione di petrino/mariano, qui ci sia ben altro sotto. Il papa fatica ad ammettere pubblicamente che sono equilibrismi squisitamente politici per evitare strappi con i settori che lui definisce “indietristi”. Dica che, a suo avviso, è prioritario ridiscutere completamente il ruolo dei privilegi, del potere, dell’autorità nella Chiesa: in effetti, l’idea che il “clero” debba essere quella piramide rovesciata al servizio del popolo suona quasi come una barzelletta alla quale sembrano credere solo certi manuali di ecclesiologia.
Ma il conferimento anche alle donne dei ministeri aiuta a ripensarli in un’ottica sempre meno di potere e sempre più di servizio: quello già effettivamente vissuto, talvolta da molti più anni rispetto ai seminaristi che li ricevono come “gradi” da acquisire in successione verso l’ordinazione presbiterale. Su questo è doveroso un ripensamento delle prassi: senza neppure cambiare il diritto canonico, si potrebbe partire innanzitutto dal non istituire più i seminaristi separatamente, ma sempre assieme agli altri laici e laiche.
Il papa allora confessi apertamente che la Chiesa ancora non è pronta ad avere ministre ordinate, oltre al fatto che potrebbe avere risvolti ecumenici, migliorando i rapporti non solo con le denominazioni riformate e anglicane – che su questo hanno un’esperienza da insegnarci, con i problemi e le opportunità che si sono create – ma pure con le chiese ortodosse che ora stanno tornando a ordinare diacone, per esempio la scorsa settimana in Zimbabwe.
Prima o poi, per tutti i cristiani, la verità emergerà chiaramente, e perlomeno nella Liturgia della Chiesa splenderà quell’anticipo di Paradiso – che supera ogni discriminazione, senza per questo annullare le differenti identità – in cui «non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna» (Gal 3,28), perché siamo tutti uno in Cristo Gesù.
- Pubblicato sul blog di Andrea Grillo Come se non.
Sono felice di non far parte di una chiesa maschilista che, in quanto donna, mi discrimina. Dove uomo e donna non sono pari io non voglio esserci.
Grazie Fabio Cittadini,
avere detto che è “frustrante e mortificante per le donne assumere una ministerialità così come oggi viene concepita e praticata” è il cuore della questione.
Solo che i giovani preti, che buttano via le laiche pensanti anche a quasi ottantanni, lo vogliono ripensare il ministero? Vogliono capire o preferiscono il ritorno alle statue in atto in tante chiese? A me capita di vivere cose devozionali ( e quasi simoniache) che io fiorentina di nascita mai ho vissuto neppure da piccola. Quanti anni (secoli) ci vorranno perchè certi discorsi arrivino al cuore del vissuto di base della Chiesa e alla formazione dei preti?
nella mia ignoranza da teologia spiccia, di quella spiccia, che si fa nel catechismo domenicale con le buone catechiste che cercano di spiegare con tanta umiltà a dei bambini di cui, ora come allora, la cosa sembrava un ingiusta oppressione che relegava il giorno sacro del riposo ad una specie di prolungamento della scuola forzato, ho sempre creduto che la diaconessa fosse la moglie del diacono. Nella mia ignoranza, ho sempre visto chiedere alla moglie del futuro diacono se era d’ accordo o meno, pena non se ne faceva nulla ne di ordinazione ne di nulla. Sempre nella mia insulsa teologia da bar ho sempre sentito dire che l’ ordine sacro del diaconato si reggeva sul matrimonio, e d’ altra parte con il matrimonio i due, pur restando persone diverse, diventano una cosa sola, cosi come il Corpo mistico di Cristo è unito al capo che è Cristo stesso e formano un corpo solo. Chiedo scusa per la mia ignoranza, ma quando leggo queste cose che per me sono un enigma, donne che diventano diacono, donne pretesse, papesse ecc… qualcuno ha anche detto che non esistono più ne maschi ne femmine che vabbe… sarà bho. Ecco però a me sembra strano che nessuno prenda in considerazione le mogli dei diaconi, bho non so forse la soluzione a me sembra una fesseria mi rendo conto che di tanti cervelloni io non ne valgo uno. niente ho buttato i miei due centesimi nel mucchio.
Credo che si debba avere il coraggio di andare ben al di la dello stile. Non è solo questione di atteggiamento personale e di conversione individuale. E’ la dottrina che deve essere sottoposta ad una profonda revisione sulla base delle acquisizioni dell’esegesi scientifica e della moderna teologia. Il magistero, oltre che operare una conversione dei singoli vescovi e dei singoli presbiteri, deve procedere ad una riforma strutturale. Le parole di Francesco rischiano di apparire poco credibili se non sono accompagnate da radicali cambiamenti nella dottrina e nel codice di diritto canonico. Il clericalismo si sconfigge con i fatti, non con le parole.
c’è un articolo del noto storico e teologo Paul Bradshaw ‘Liturgy in the Absence of Hippolytus ‘* in cui si sostiene che le riforme delle liturgie operate da varie Chiese negli anni ’60-’70 si basava su assunzioni relative alla liturgia primitiva che la storiografia più recente ha ridimensionata, e che probabilmente hanno fatto danni.
ergo bisogna sicuramente tenere conto delle moderne acquisizioni scientifiche e teologiche, ma essere sempre scettici, critici e prudenti, perchè una volta fatto un cambiamento è difficile tornare indietro (seconda legge della termodinamica docet)
* vedi anche l’altro articolo del Bradshaw ‘An Ecumenical Ordination prayer?’ o quello dello Spinks ‘An unfortunate lex orandi’, sempre sullo stesso tema
A mio avviso occorrerebbe più umiltà ed accettare ed amare ciò che la Chiesa ci ha proposto per più di 2000 anni. Oggi come oggi questa smania di cambiamento a mio avviso riflette una certa presunzione nel considerarsi più evoluti dei nostri predecessori. Quindi migliori
In 2000 anni di storia del cristianesimo più volte ci sono stati cambiamenti a volte radicali e a volte meno rispetto alle epoche precedenti come il distacco dall’ebraismo nel I secolo (Gesù e gli apostoli frequentavano il tempio e le sinagoghe) o la formazione della chiesa costantiniana del IV secolo con il Concilio di Nicea o la riforma “gregoriana” dell’XI secolo con la formazione della chiesa dei monaci o quella del Concilio di Trento o quella del Concilio Vaticano II. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole. I cambiamenti riguardanti i ministri ordinati vanno letti all’interno della Chiesa sinodale altrimenti non sono coerenti. Vino nuovo in otri nuovi.
Gesù ha mostrato un dio che è fonte inesauribile d’amore: l’Amore che guida l’essere umano e la chiesa è condizionato solo dal nostro mettersi di traverso (Satana). Gesù è andato oltre l’ostacolo.
Lo Spirito che guida la Storia dell’uomo e la chiesa non può essere da meno. San Pietro alla fine si è arreso allo Spirito ed è stato magnifico…
Fabio Cittadini, a mio avviso le due cose vanno coniugate, ovvero l’una non esclude l’altra. Ritengo che al fine di declericalizzare la chiesa (che include la smaschilizzazione della chiesa) possano e debbano offrire il loro contributo le donne. Il loro ingresso nella piena ministerialità non potrà che agevolare il processo di riforma ecclesiale. Non si tratta pertanto di introdurre le donne nella casta clericale, bensì di abbattere tale casta assieme alle donne. Tutto il popolo di Dio deve riconquistare la dimensione di laicità che è stata cancellata da 1600 anni di clericalismo.
Conordo con quanto dice, caro Salvo. Tuttavia mi sembra ingiusto, frustrante e mortificante per le donne assumere una ministerialità così come oggi viene concepita e praticata. Lo è per gli uomini oggi, sarebbe altrettanto per le donne. Sul resto nulla da eccepire: la declericalizzazione della Chiesa passa necessariamente anche per la smaschilizzazione della stessa. Non però per assumere i modi e gli stili degli uomini, ma per assumere nuovi modi e nuovi stili. Spero di essermi spiegato e di trovare in te un sostegno.
‘migliorando i rapporti non solo con le denominazioni riformate e anglicane – che su questo hanno un’esperienza da insegnarci, con i problemi e le opportunità che si sono create’
tiro fuori dal cilindro due storie esemplificative:
– nel 1974 Walter Wynn Kenyon, candidato pastore della United Presbyterian Church USA (ora diventata PC(usa)) dichiarò al presbiterio ordinante che in coscienza non poteva accettare di partecipare all’ordinazione di donne, ma era disponibile a lavorare con loro durante il suo ministero. Il presbiterio lo ordinò, ma poi vi fu un ricorso ai massimi livelli che lo dimise dal ministero e giudicò che il presbiterio aveva errato nel giudicarlo adatto;
– nel 1981 un presbiterio accetto come pastore membro il Rev. Mansfield Kaseman; vi fu un ricorso che durò vari anni che fu vinto dal presbiterio, e si affermò che esso aveva assoluto potere nel giudicare l’aderenza o meno agli standard dottrinali.
il rev. Kaseman aveva difficoltà a esprimersi sulla Divinità di Cristo e la resurrezione https://thisday.pcahistory.org/2021/03/march-29-6/
Dubito francamente che sia una questione di smaschilinizzare i ministeri. La questione è più profonda e tocca l’identità della Chiesa. A mio avviso oggi occorre capire cosa sia il ministero ancor prima che questo venga assunto da un uomo e/o da una donna. Sta qui il vero problema, il nocciolo vero della questione. Perché permettere alle donne di essere/fare ciò che sono/fanno gli uomini mi sembra davvero roba di poco conto, chiacchiere da bar per certi versi. A mo avviso per questa ri-comprensione andrebbe ascoltate le altre comunità ecclesiali e le loro ragioni teologiche.