Gli abusi sessuali, spirituali e di potere nella Chiesa cattolica, laddove si è voluto affrontare in maniera seria questo abisso oscuro, mostrano una piega sistemica che ne favorisce l’accadere, l’occultamento e una rimozione dalla coscienza comunitaria. Vi sono cioè ragioni strutturali e di cultura diffusa, trasversale agli stati di vita cristiana, che permeano i contesti ecclesiali nei quali avvengono atti e pratiche di abuso delle persone – dei loro corpi, della loro fede, della loro psiche.
Il ministero ordinato, per la collocazione e destinazione che esso ha nella Chiesa cattolica, è chiamato in causa direttamente – proprio come forma sacramentale di una responsabilità sulla fede e sulla vita delle comunità cristiane. Forma non immune alla deriva sistemica che ha reso, per decenni, invisibili gli abusi verso minori, donne consacrate, credenti nella fragilità delle loro vite. Anzi, forma di vita cristiana che ha contribuito non poco a creare quel «brodo culturale» (S. Morra) che ha tolto parola al grido delle vittime; che le guarda come una minaccia che incombe sul buon nome della Chiesa; che le sente come la manipolazione mondana di un’aggressività ossessiva contro l’istituzione del sacro.
Ma quanto della consapevolezza di questa partecipazione del ministero alla creazione di ambienti e contesti favorevoli all’istituirsi di pratiche abusive è entrata nella riflessione ecclesiale, teologica e spirituale sul ministero ordinato nella Chiesa cattolica? Quanto essa ha contribuito ad apportare modifiche e ripensamenti?
Le scarse ricadute, almeno nella Chiesa italiana, sono indice, in primo luogo, di una colpevole latitanza di tale consapevolezza – certo; ma anche di una fatica a mettere seriamente in discussione l’esercizio di questa forma sacramentale nella vita delle nostre comunità cristiane.
Non si muove nulla, non si tocca nulla, sperando che il tutto venga presto dimenticato come se non fosse mai stato. E, così facendo, quasi senza accorgersene, si prosegue a favorire l’omertà, l’occultamento, la casualità delle pratiche abusive nella Chiesa.
L’immobilismo episcopale dovrebbe indurre il ministero ordinato a farsi da sé protagonista di una seria presa in carico della questione degli abusi sessuali e di altro genere avvenuti nella Chiesa italiana. Ne va della doverosa corrispondenza al Vangelo che questo ministero deve alla fede di tutti. E dovrebbe essere un atto corporativo, dove il collettivo di un particolare stato di vita cristiana reagisce alle distorsioni sistemiche e strutturali di un’istituzione che non è all’altezza del proprio mandato – sapendo di essere esso stesso parte originante di contesti e atmosfere nelle quali può attecchire l’abuso – quasi protetto dall’ambiente circostante in cui esso accade.
Il ministero si esercita, è una pratica della fede – e, proprio per questo, chiede una sua deontologia. Non basta la spiritualità; la retorica morale fa più danni che bene; ci vuole una coscienza collettiva della responsabilità legata alla cura della fede, ai vissuti spirituali, ai corpi degli uomini e delle donne. Una normatività interna alla corporazione clericale, che essa stessa si dà per il buon esito del proprio esercizio nella Chiesa (o, almeno, per non fare troppi danni). Che il Vangelo non basti, è oramai dato drammaticamente evidente.
Un codice programmatico, che ispiri un esercizio condiviso del ministero, con altri preti, e comune, con i laici nella comunità. Creando così luoghi che sono sì di verifica e controllo, ma anche di sostegno e riferimento. L’isolamento e l’immunità stanno sfibrando il ministero ordinato, fino a renderlo quasi impraticabile (e, talvolta, irricevibile). Mettersi in discussione, accettare e favorire percorsi di verifica, sviluppare una cultura diffusa del rendere conto a terzi – sono tutte cose che faranno bene al ministero stesso.
È una situazione molto diffusa, nonostante tutti i tentativi, gli appelli, gli sforzi, le nuove prassi formative dei seminari. In varie generazioni di ecclesiastici, anche vescovi, persistono atteggiamenti e comportamenti di superiorità molto distanti dall’evangelico servizio pastorale.
Buongiorno un tema delicato al quale vorrei dare un mio
contributo nella discussione:
Penso che sarebbe una buona soluzione agire come fanno alcuni regolamenti normativi riguardo i condomini.
Da qualche anno in prossimità dei citofoni è obbligatorio apporre il nr di telefono dell’amministratore, una soluzione utile ed efficace per chiunque voglia segnalare un problema un guasto ecc ecc….
Nelle chiese in tutte le chiese troverei efficace apporre una targhetta visibile ai fedeli con il nr di telefono della segreteria del vescovo; un filo diretto per chiunque voglia segnalare al vescovo disservizi, abusi, mancanze
Dico qs cose anche come fedele è ho sentito in passato lamentele da parte di altri fedeli riguardo all’operato dei sacerdoti. Ho la percezione che i fedeli in molte circostanze non agiscono perchè non sanno a chi rivolgersi ( le autorità ecclesiali le avvertono lontane)
Penso che sia un timido passo verso la soluzione di qs sgadevoli problemi ( una timida ed efficace deterrenza puó prevenire fenomeni di devianza per chi amministra il culto)
mario
Servono regolamenti normativi e formazione obbligatoria su questi regolamenti. Occorre mettere in sicurezza l’istituzione dimostrando che ha fatto e fa tutto quanto in suo potere per evitare che certi eventi accadano. Tecnicamente occorre gestire il rischio come si fa in una azienda per evitare che certi comportamenti avvengano e contemporaneamente mettere in sicurezza l’azienda dimostrando di aver fatto tutto quanto in suo potere (controlli compresi) per evitare fenomeno dannosi alla sua reputazione. Formazione e controllo sono le parole d’ordine.
Questa mentalità anglosassone è difficile da recepire dai popoli del sud europa come gli italiani che abbiamo una naturale diffidenza verso il controllo. Ma il futuro va in questa direzione, basti vedere gli ultimi regolamenti nati per lo sport per evitare fenomeni di violenza di genere nell’ambito sportivo. Secondo me il vaticano dovrebbe emettere una legge volontaria simile alla 231 del 2001 italiana e premiare le diocesi che la applicano. Questo garantirebbe trasparenza ma soprattutto tutelerebbe l’istituzione responsabilizzando il singolo.