Dalle mappe mondiali di Matteo Ricci all’influenza dei missionari sugli intellettuali cinesi nella media e tarda dinastia Ming.
Nel 1584, poco dopo il suo arrivo a Zhaoqing, nella provincia del Guangdong, il missionario italiano Matteo Ricci (1552-1610), con il sostegno del prefetto Wang Pan, fece incidere e stampare la Mappa completa delle montagne e dei mari (Shanhai Yudi Quantu).
Fu la prima mappa mondiale in stile europeo stampata in Cina, presentando le conoscenze geografiche più avanzate dell’epoca. La mappa includeva non solo Europa, Africa e Asia, ma anche le Americhe, scoperte nel secolo precedente, e naturalmente Cina, Corea e Giappone. Sebbene collocasse la Cina al centro, a differenza delle mappe tradizionali cinesi, non la rappresentava come un territorio sconfinato, bensì in proporzione reale rispetto al resto del mondo.
Le mappe mondiali di Matteo Ricci: il loro significato dal punto di vista della storia del pensiero
Nella mia Storia del pensiero cinese ho sottolineato che, dal punto di vista intellettuale, questa mappa ebbe un’importanza cruciale: introdusse una nuova concezione del mondo, infrangendo l’idea tradizionale cinese del Tianxia (“Tutto sotto il cielo”), mostrando che esistevano molti Paesi e che la Cina non era al centro del mondo, né l’unica grande civiltà. All’epoca, molti funzionari conservatori criticarono aspramente la mappa, accusandola di esagerare l’importanza delle terre straniere e sminuire la Cina, considerandola una menzogna assurda.
Tuttavia, intellettuali come Xu Guangqi e Li Zhizao accettarono questa nuova visione del mondo. Curiosamente, anche l’imperatore Wanli ne fu affascinato: senza riflettere troppo sul profondo significato di questo cambiamento, ordinò che la mappa fosse riprodotta in un grande paravento chiamato Mappa completa dei diecimila Paesi della Terra (Kunyu Wanguo Quantu). In questo modo, la mappa ottenne una sorta di riconoscimento ufficiale. Tra la fine del XVI e il XVII secolo, ne furono prodotte numerose versioni, di cui oggi ne sopravvivono almeno dodici.
Lo stesso Ricci ammise di aver disegnato la mappa con un obiettivo preciso: far abbandonare alla Cina il senso di superiorità culturale e avvicinarla alla civiltà cattolica. Scrisse: “Quando vedranno quanto il loro Paese è piccolo rispetto a molti altri, forse la loro arroganza diminuirà e saranno più disposti a relazionarsi con gli altri.” In effetti, la Cina antica tendeva a concepire i rapporti con l’estero in termini gerarchici—”tributo”, “vassallaggio”, “sottomissione”—anziché in un’ottica di uguaglianza e pluralità.
Già nel VI secolo, quando un ambasciatore giapponese presentò al sovrano cinese un documento che si riferiva a sé come “il re del Paese dove sorge il sole al re del Paese dove tramonta il sole”, l’imperatore ne fu irritato. Ancora alla fine del XVIII secolo, la missione britannica di Lord Macartney presso l’imperatore Qianlong finì in conflitto proprio per questioni di protocollo. Anche i missionari, al loro arrivo in Cina, dovettero affrontare controversie legate alle “etichette” diplomatiche.
Dal punto di vista della storia del pensiero cinese, la mappa di Ricci sollevò questioni fondamentali:
- Il mondo non era più piatto, ma sferico.
- La Cina non era un impero sconfinato, ma occupava solo un decimo dell’Asia, che a sua volta era solo un quinto del mondo.
- L’idea tradizionale di Tianxia (“Tutto sotto il cielo”), con la Cina al centro circondata da “barbari”, era infondata: altri Paesi potevano considerare la Cina stessa come “periferica”.
- Era necessario riconoscere l’uguaglianza delle civiltà e l’esistenza di verità universali che trascendevano confini nazionali e culturali.
Risorse per cambiare la tradizione: le nuove conoscenze portate dai missionari
Dalla metà del XVI secolo in poi, i missionari europei iniziarono a giungere in Oriente in un flusso continuo. A quel punto, gli europei avevano già scoperto l’America, doppiato il Capo di Buona Speranza per raggiungere l’India e, attraverso Malacca, si erano spinti fino ai mari della Cina meridionale. Tra gli europei che arrivavano in Oriente, tre categorie erano particolarmente rilevanti: i mercanti, i colonizzatori e i missionari. I mercanti commerciavano, scambiando l’argento americano con spezie, seta, porcellane e poi tè; i colonizzatori occupavano porti e isole come basi per lo sfruttamento delle risorse; i missionari, invece, servivano Dio, cercando di “civilizzare” gli orientali attraverso la fede cristiana.
Dalla metà del tardo periodo Ming in poi, a partire da figure come San Francesco Saverio (1502-1556), Matteo Ricci (1552-1610), Niccolò Longobardo (1559-1654), Diego de Pantoja (1571-1618), Nicolas Trigault (1577-1629) e Giulio Aleni (1582-1649), ondate successive di missionari giunsero in Oriente per portare avanti questa impresa religiosa. Tuttavia, mentre evangelizzavano, involontariamente introdussero in Cina anche i più recenti concetti, conoscenze e tecnologie occidentali, che iniziarono a erodere gradualmente le fondamenta della civiltà orientale.
Con “erosione graduale”, intendo dire che questo processo non avvenne in modo repentino, ma estremamente lento. La vera trasformazione della Cina si verificò solo a metà del XIX secolo, quando le intimidazioni delle cannoniere europee e lo stimolo della crisi esistenziale costrinsero la Cina a un cambiamento accelerato e radicale, passando da una “trasformazione interna alla tradizione” a una “trasformazione esterna alla tradizione”.
Solo allora idee, conoscenze e credenze straniere irruppero in Cina, costringendo la Cina tradizionale a diventare una Cina moderna. Tuttavia, tra il tardo Ming e l’inizio del Qing, quando i missionari arrivarono per la prima volta, molte nuove idee, credenze e conoscenze furono inizialmente assimilate come “risorse”, rimodellate attraverso interpretazioni locali prima di diventare una nuova “civiltà” adattata al contesto indigeno.
Ma questo fu un processo lungo. La tradizione originaria locale, ovvero le vecchie idee, credenze e conoscenze, venne inconsapevolmente trasformata attraverso questa fusione e intersezione reciproca. La tradizione culturale risultante non era né completamente nuova né completamente vecchia, né totalmente straniera né totalmente indigena. Ripetendo: la civiltà esterna, come risorsa, dopo essere stata reinterpretata, si infiltrò nella tradizione, trasformando la vecchia tradizione in una nuova. In presenza di una crisi profonda, questo processo di cambiamento poteva accelerare, passando da una evoluzione graduale a una mutazione improvvisa. La diffusione culturale spesso segue questo percorso.
Rifiuto, scetticismo e accettazione: i diversi destini di tre tipi di nuove conoscenze
Le nuove conoscenze portate dai missionari occidentali in quel periodo possono essere grossomodo divise in tre categorie.
La prima categoria comprendeva conoscenze e tecnologie pratiche, come i metodi idraulici europei, le armi da fuoco, la medicina, la geometria e persino il calendario. Poiché “servivano a studi pratici e giovavano al mondo” (parole di Li Zhizao), queste furono le più facilmente accettate. Li Zhizao, in un memoriale alla corte, suggerì di tradurre libri su idraulica, matematica, strumenti astronomici, meridiane, medicina, strumenti musicali, fisica e geometria.
Perché? “Varie tecniche di fabbricazione, sebbene diverse, sono tutte in armonia con il cielo”. A parte alcuni “espedienti ingegnosi ma frivoli” (cioè oggetti inutili), non c’erano tabù nell’adottarle. In passato, la Cina aveva già assimilato oggetti e tecnologie dall’esterno (come dalla Persia o dal mondo islamico), come la produzione dello zucchero o l’allevamento dei cavalli, senza incontrare ostacoli politici, istituzionali o culturali.
La seconda categoria riguardava nuove conoscenze per comprendere e spiegare il mondo, in particolare quelle relative al “cielo” e alla “terra”. Questo tipo di conoscenza era particolarmente problematica e importante, perché se da un lato era conoscenza, dall’altro implicava concetti fondamentali, soprattutto una visione del mondo. Se si trattava di concetti, erano comunque sostenuti da conoscenze che, se non fossero state in linea con l’esperienza e la percezione delle persone, avrebbero perso credibilità. Due aspetti erano cruciali.
Il primo riguardava la dottrina del “cielo”: la Terra era piatta e il cielo rotondo, o la Terra era sferica? Questa non era solo una questione astronomica, ma toccava le fondamenta della cultura politica cinese e persino la sacralità del potere imperiale. L’antica Cina credeva che il cielo fosse come un cappello di bambù e la Terra come una scacchiera, con il Polo Nord fisso e immobile e la Cina al centro, proprio come l’imperatore era al centro del regno; le stelle che circondavano il cielo erano come i funzionari e il popolo. Questo era l’ordine naturale, che si sosteneva e corrispondeva all’ordine politico.
Tuttavia, le nuove conoscenze portate dai missionari, come la sfericità della Terra o l’eliocentrismo, capovolgevano questo sistema, sconvolgendo l’ordine sacro, fisso e gerarchico. Come osservano lo studioso francese Jacques Gernet in Cina e Cristianesimo e lo studioso giapponese Yabuuchi Kiyoshi in Astronomia e calendario in Cina, il passaggio dal geocentrismo all’eliocentrismo in Cina “fu un evento rivoluzionario, che non riguardò solo l’astronomia, ma implicò una svolta di 180 gradi nel dominio spirituale delle persone”.
Il secondo aspetto riguardava la “terra”, ovvero il mondo rappresentato nella mappa di Matteo Ricci. La Cina era veramente al centro di un mondo civilizzato, o esistevano cinque continenti con numerosi paesi, alcuni persino allo stesso livello di civiltà? Questo metteva in discussione la percezione che la Cina antica aveva di sé e degli altri, della dicotomia tra civiltà cinese e barbarie. Secondo le nuove conoscenze dei missionari, il mondo aveva cinque continenti, non solo popolati da molti paesi, ma addirittura da persone nell’emisfero opposto. Molti di questi paesi erano civilizzati, non necessariamente inferiori alla Cina. Questo infrangeva il mito della centralità cinese.
Xu Guangqi non solo sostenne la mappa del mondo, ma propose anche la creazione di un globo terrestre in legno, “un mappamondo con longitudini e latitudini, di dimensioni variabili, realizzato in legno e vernice”. Questo avrebbe sovvertito la visione del mondo cinese: come avrebbe potuto la Cina tradizionale mantenere la sua immagine di “impero celeste” e la nozione di “tutto sotto il cielo”? Come è noto, per lungo tempo la Cina antica aveva basato la sua fiducia e dignità, nonché l’ordine internazionale con i paesi vicini, su questa nozione di “tutto sotto il cielo”, sulla distinzione tra “cinesi e barbari” e sul sistema dei tributi o delle investiture. Ma ora, cosa avrebbe dovuto fare la Cina?
La terza categoria comprendeva nuove conoscenze su religione, politica e società, tra cui la fede cattolica, considerata dai missionari la più importante. Ad esempio, l’idea di “Dio supremo”, il culto incondizionato e la fede in Dio da parte dei credenti, o la separazione tra potere temporale e spirituale (“il sovrano è il signore, il papa è il maestro”). Queste credenze e conoscenze furono le più difficili da accettare per la Cina, nonostante convertiti come Xu Guangqi, Li Zhizao e Yang Tingyun. Perché?
Perché la Cina tradizionale aveva un concetto radicato e antico: l’assolutezza del potere imperiale. Il potere politico in Cina era supremo e non tollerava che la religione gli si equiparasse o gli si opponesse. Già nel medioevo, con l’arrivo del buddhismo, il dibattito sul “monaco che non si inchina al re” dimostrò che la Cina non avrebbe mai accettato una religione che dividesse il potere con l’imperatore.
L’idea cattolica della sacralità di Dio, del papato e del papa, e l’enorme potere del clero, erano inimmaginabili in Cina. Inoltre, la Cina aveva una forte tradizione confuciana e legista che, da un lato etico e dall’altro giuridico, sosteneva l’ordine imperiale con l’imperatore al vertice, e non poteva tollerare un’altra religione che cercasse di guidare il popolo in ambito politico, sociale ed etico. Opere come Collezione per smascherare l’eresia di Xu Changzhi mostrano quanto fosse difficile per queste nuove idee e religioni radicarsi in Cina.
Conclusione: come venne trasformato l’universo conoscitivo della Cina tradizionale?
In sintesi, quando la Cina tradizionale incontrò le nuove conoscenze occidentali portate dai missionari, questi tre tipi di sapere ebbero destini diversi.
Il primo tipo, conoscenze e tecnologie pratiche, fu accettato più facilmente per la sua utilità, senza essere ostacolato da nazionalismo o sinocentrismo. Il secondo tipo incontrò maggiori difficoltà, perché la sua assimilazione avrebbe portato a profondi cambiamenti di valori e idee. Tuttavia, poiché il suo impatto fu più indiretto, la resistenza non fu troppo accesa. Il terzo tipo era invece incompatibile con la tradizione cinese, poiché minacciava o modificava la politica, la religione e le istituzioni tradizionali, e fu quindi contrastato fin dall’inizio.
Ripercorrendo la storia moderna cinese, si può vedere che questo processo di rifiuto, scetticismo e accettazione si ripeté nel tardo periodo Qing. Inizialmente, si adottò un approccio pragmatico con “imparare le tecniche straniere per controllare gli stranieri”, limitandosi alle tecnologie pratiche come le cannoniere, ma ciò non bastò a resistere all’impatto della civiltà europea. Poi si passò all’apprendimento di nuove conoscenze astronomiche, geografiche e storiche, ma questo provocò cambiamenti profondi nel sistema conoscitivo tradizionale, portando all’enfasi sul “sistema cinese come fondamento, tecnologia occidentale come strumento”.
Successivamente, si dovette riformare le istituzioni, apprendendo leggi, religione e civiltà, passando da “sistema cinese come fondamento” a “sistema occidentale come fondamento”. Infine, nel tardo Qing, la Cina uscì completamente dalla tradizione, abbracciando la civiltà esterna e trasformandosi da “cambiamento interno alla tradizione” a “cambiamento esterno alla tradizione”, culminando in una svolta totale verso Occidente all’inizio del XX secolo. Questo fu il “grande cambiamento senza precedenti in duemila anni” che i missionari di epoca Ming e Qing non avrebbero mai immaginato.
Per concludere, vorrei offrire un’analisi superficiale delle diverse reazioni e risultati tra Cina e Giappone nell’accettare la cultura missionaria. In Giappone esistono due termini: “ju’yō” (accettazione) e “hen’yō” (trasformazione). Il primo si riferisce all’assimilazione di nuove culture e conoscenze straniere, il secondo alla loro modifica durante il processo. Studiando i documenti del periodo Edo, noto che il Giappone recepì la civiltà occidentale in modo molto diverso dalla Cina.
Primo, poiché il centralismo era meno marcato che in Cina, con l’imperatore e lo shōgun che dividevano il potere e le regioni che si opponevano al centro, c’erano spazi tra i vari poteri in cui il cattolicesimo poteva diffondersi attraverso i daimyō locali o tra i credenti comuni. Secondo, la tradizione culturale giapponese era più eterogenea, con buddhismo antico e nuovo, shintoismo e varie credenze popolari, senza l’assolutezza e l’esclusività del confucianesimo e del legalismo cinesi, permettendo al cattolicesimo di inserirsi come una fede tra tante.
Terzo, avendo a lungo assimilato culture straniere, il Giappone non aveva una tradizione così rigida e resistente, adottando un approccio pragmatico verso le nuove conoscenze europee come medicina, anatomia, botanica, fabbricazione di armi e tecniche navali, senza bisogno di una comprensione olistica (proprio come il Giappone moderno adotta direttamente prestiti linguistici in katakana). Invece, perché la Cina si concentrò inizialmente su astronomia, calendari e matematica, cercando sempre una comprensione olistica, volendo chiarire il rapporto tra principio e strumento, essenza e dettaglio, fondamento e applicazione?
In altre parole, perché l’accettazione di nuove conoscenze e culture richiedeva un sistema, dalla sovrastruttura alla base, dai principi fondamentali alle tecniche specifiche, abbracciando politica, economia, cultura e tecnologia per essere accettata?
La differenza logica tra Cina e Giappone nell’accettazione della cultura occidentale merita una profonda riflessione.
Ricci è un personaggio molto interessante. Solo l suo grande rispetto e la sua intelligenza hanno consentito di entrare in contatto con il diffidente potere cinese e portare cambiamenti descritti.
Dovrebbe essere studiato nei manuali di diplomazia.
Molto interessante! Grazie