In Afghanistan, oltre ai cappellani militari, la sola realtà cattolica è quella di una missione sui juiris affidata nel 2015, da papa Francesco al barnabita padre Giovanni Scalese. In questi giorni è rientrato in Italia per un breve periodo. Luca Tentori lo ha intervistato.
Padre Giovanni Scalese, barnabita, non è vescovo, la sua non è una diocesi, ma è la sola forma organizzata di presenza cattolica. La sua piccola cappella, che si trova all’interno dell’area diplomatica dell’ambasciata italiana, è una cattedrale “sui generis” non facile da raggiungere per motivi legati alla sicurezza.
Quando ho saputo di questa iniziativa dell’Anno della misericordia mi sono rallegrato perché penso che sia particolarmente opportuno ai nostri giorni riflettere e sfruttare questo dono, questa occasione della misericordia di Dio. Quando ho saputo che c’era la possibilità anche nelle chiese locali, non ho avutodubbi ad aprire la Porta della misericordia a Kabul. Un fatto molto bello è stato quando l’arcivescovo di Astana in Kazakhistan è arrivato e si è trovato di fronte a questa Porta della misericordia: si è commosso.
– La vostra presenza è tollerata, ma non l’evangelizzazione. Già san Francesco insegnava ai frati che stavano presso i saraceni ad essere una presenza silenziosa quando non era possibile predicare.
L’Afghanistan è un paese nella sua totalità musulmano; gli unici cattolici presenti sono gli stranieri che vivono in questo paese per motivi di lavoro. È proibita qualsiasi forma di proselitismo, però ci siamo. Quando settimanalmente il venerdì facciamo una mezz’ora di adorazione eucaristica penso: siamo in Afghanistan, in un paese completamente musulmano, però il Signore anche sacramentalmente è presente, c’è. Ed è la sua presenza quella importante, perché siamo soltanto degli strumenti, dei segni della sua presenza.
– Ha paura di quello che le può succedere in un paese così pericoloso?
È chiaro che si vive con la tensione che possa succedere da un momento all’altro qualcosa, ed effettivamente succede spesso qualcosa e anche di molto grave. Però devo dire che ci si abitua, si impara a convivere con il pericolo. E poi penso che è anche in queste situazione che dobbiamo esercitare la nostra fede. La fede non è qualcosa di intellettuale, di astratto: dobbiamo essere convinti che non siamo soli, che siamo sempre protetti. Interessante quello che mi diceva un fratello luterano, perché c’è anche una piccola comunità luterana. Si stava parlando di problemi di sicurezza, delle scorte e mi diceva: «Anche noi abbiamo la nostra scorta, gli angeli custodi». Se ci crediamo non siamo soli, abbiamo tutte le protezioni necessarie.
– A Kabul restano chiuse le porte dell’annuncio, ma sono comunque aperte quelle della carità e della misericordia, anche oltre il Giubileo…
C’è una piccola presenza di religiose, le Missionarie della carità di Madre Teresa, le Piccole sorelle di Gesù e una piccola comunità internazionale. Si occupano di bambini handicappati sia fisicamente che mentalmente: papa Francesco direbbe “degli scarti della società”. Potrebbe sembrare un’attività inutile, tra virgolette, ma noi sappiamo che in questo campo non c’è nulla di inutile, anzi: credo che si tratti di attività estremamente preziose.