Marrakech. Non è solo la superba koutoubia del XII secolo, né il fascino accattivante del giardino Majorelle, né la mitica piazza Jemaa el-Fnaa con tutta la sua fantastica animazione… Ma è anche la storia di un campanile accanto a un minareto. Uno di fronte all’altro, guardandosi come vecchi amici, perché solo una strada li separa… Due luoghi di culto così diversi e così vicini come le comunità di credenti che riuniscono.
Martiri francescani
La voce del muezzin entra sonora nella chiesa intrecciando spesso i suoi melismi con i salmi e le preghiere dei fedeli. Sembra un miracolo al giorno d’oggi. Addirittura nei piani della città ci sarà una sinagoga, che sorgerà qui vicino. Una vera sorpresa di Dio, in questa terra d’Islam che promuove, secondo la visione del re, l’intesa delle tre religioni monoteistiche.
La costruzione cristiana si chiama «Chiesa dei Martiri». In ricordo di cinque giovani francescani umbri che, folli dell’amore di Dio, avevano la passione di convertire i musulmani ad ogni costo. Erano i tempi di san Francesco. Paradossalmente, oggi, sono i quattro francescani a convertirsi. Sì, all’amore per questa terra d’Islam e per i suoi abitanti: un rovesciamento sorprendente della storia.
Così la chiesa accoglie con simpatia ogni visitatore: cristiani o musulmani, turisti, studenti sub-sahariani o migranti. La Caritas parrocchiale, poi, si prende cura di tre mondi diversi. Quello dei migranti e delle sue emergenze, quello dei musulmani e delle loro povertà, quello del terremoto e delle sue ferite.
Proprio l’altro giorno arrivava proprio alla Caritas un enorme camion proveniente dalla Francia per i soccorsi ai terremotati, inviato da due imam di Strasburgo e dalle loro comunità. «Incredibile… − esclamava frate Manuel − i musulmani raccolgono e i cristiani distribuiscono. Che bella fiducia!». Così, siamo di nuovo saliti in montagna, in una carovana carica di medicinali e di viveri, nella zona del sisma.
Insieme
Nei villaggi semidistrutti la prima cosa che vi propongono è sedersi e prendere un tè, insieme. Successivamente vi mostreranno ancora una volta le ferite delle case, costruite in terra e paglia, completamente crollate. Un villaggio di 108 abitanti avrà solo sei sopravvissuti! E come sempre, senti davanti a queste rovine, la stessa professione di fede: «Allah akbar!» (Dio è più grande). «Questi berberi hanno una fede forte e un’incredibile resilienza», è il commento di frate Simeone.
Vedi, poi, Fatima che si guarda sul cellulare le foto del figlio adolescente, del marito e del padre, tutti ormai sepolti. Vive in una tenda con la madre, sole: solamente il pianto le consola. E la loro fede. Le altre donne, sotto la tenda, preparano insieme i pasti in una cucina di campagna, mentre lì accanto una piccola radio trasmette per tutta la mattina il canto del Corano… In effetti, il Corano cantato, in Marocco, lo si ascolta ovunque, dal parrucchiere, in taxi, al negozio vicino… «Senti mai il vangelo cantato da noi?», mi dice fra Manuel, con mezzo sorriso.
Una grande foto del re è appesa fuori dalla tenda come fosse un marabout (santo) protettore. Nel frattempo i responsabili della Caritas, il moqadem (responsabile del quartiere) e i suoi assistenti esaminano insieme le nuove necessità, programmano i prossimi interventi, in vista dell’imminente inverno. Ogni progetto della Caritas viene portato avanti con la sensibilità e le decisioni dei capi villaggio. Insieme. È questa la parola d’ordine della Caritas, ma lo è anche in questa comunità francescana di Marrakech.
Lo si è constatato di recente, il 27 ottobre, in occasione della giornata dello «Spirito di Assisi». Ci si è incontrati con semplicità tra il verde del giardino francescano, accanto alla chiesa: imam, rabbino, francescani, amici musulmani e cristiani. Momenti di condivisione sulla pace, di preghiera e di lunghi silenzi: istanti densi di responsabilità. Ma anche di ansia e di mistero… che sfumavano, poi, tra i dolci marocchini e il tè alla menta dal sapore di fraternità. Miracolosamente.
Renato Zilio è missionario in Marocco