Riprendiamo il settimo contributo (luglio-agosto 2022) della rubrica «Opzione Francesco», firmata dal teologo Armando Matteo per la rivista Vita Pastorale. Per gentile concessione del direttore, don Antonio Sciortino, la rubrica viene interamente pubblicata su Settimana News.
Uno degli elementi più illuminanti e più liberanti dell’Opzione Francesco riguarda la lettura della situazione della Chiesa nel cambiamento d’epoca, che abbiamo provato a delineare negli interventi precedenti. Anche in questo caso le parole di Francesco risultano più efficaci che mai:
«Veniamo da una pratica pastorale secolare, in cui la Chiesa era l’unico referente della cultura. È vero, è la nostra eredità. Come autentica Maestra, essa ha sentito la responsabilità di delineare e di imporre, non solo le forme culturali, ma anche i valori, e più profondamente di tracciare l’immaginario personale e collettivo, vale a dire le storie, i cardini a cui le persone si appoggiano per trovare i significati ultimi e le risposte alle loro domande vitali. Ma non siamo più in quell’epoca. È passata. Non siamo nella cristianità, non più. Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati».
L’espressione «cristianità» indica, in effetti, il tempo di un felice – seppure non privo di ambiguità – sodalizio tra le istanze del vivere e quelle del credere: il tempo nel quale, facendo fortemente leva sull’orizzonte filosofico greco e sulla prospettiva istituzionale e giuridica romana, la Chiesa era riuscita a guadagnare una notevole presa nella definizione e manutenzione degli immaginari personali e collettivi del contesto occidentale. È stata una grande impresa, è stata una grande stagione!
L’annuncio del Vangelo ha così potuto trovare un quasi immediato riscontro nella vita dei singoli e accompagnarli nella ricerca dei significati ultimi e delle domande di senso dell’esistenza. Più in particolare di quei significati ultimi e di quelle domande di senso legati a quella condizione dell’umano precedente l’avvento del cambiamento d’epoca, che potremmo riassumere nell’immagine di uomini e di donne costretti a vivere in una valle di lacrime.
C’è bisogno di un cristianesimo diverso
Ebbene, con il cambiamento d’epoca, la cristianità finisce. I nuovi immaginari che guidano le esistenze dei singoli e della collettività trovano la loro ispirazione fondamentale in quella trasformazione della condizione dell’umano che va sotto il nome del benessere, della libertà, del piacere, del godimento e che è sempre più sotto la tutela del potente magistero del sistema economico-finanziario.
La Chiesa, oggi, non è più l’unico riferimento della cultura: vescovi, preti, catechiste non sono più gli unici ad avere parole convincenti sui significati ultimi e sulle domande di senso del cittadino occidentale medio né sono tra i soggetti più ascoltati. E le conseguenze di questa nuova condizione del cristianesimo, al tramonto della cristianità, sono evidenti. Penso, in particolare, al crescente ateismo delle nuove generazioni.
Eppure, si deve ricordare che fa parte proprio della postura di papa Francesco – e di conseguenza dell’Opzione Francesco – un deciso respingimento di ogni atteggiamento depressivo e disfattista. La fine della cristianità non è la fine del cristianesimo. Tutt’altro. Di cristianesimo c’è ancora bisogno. Ma c’è bisogno di un cristianesimo diverso, altro, rispetto a quello che ha preso forma nel tempo della condizione umana in una valle di lacrime.