Ancora un “consenso globale” per l’ultimo intervento scritto di papa Francesco, l’esortazione postsinodale Amoris lætitia. Parole globali che abbracciano tutto il mondo perché la Chiesa o è cattolica o non è. Parole concrete perché di famiglia non si può parlare in astratto (quasi un concetto filosofico o una categoria del diritto) e neppure al singolare perché le famiglie sono plurali come plurali sono le culture nel mondo.
Parole che comprendono altre parole, da quelle dei fratelli vescovi a quelle della cultura laica. Non è certo una novità quella che si registra anche in AL: forse però uno degli elementi più segnalati, e apprezzati, delle sue parole. Ma non è l’unico. Perché, almeno a scorrere un po’ le reazioni a livello mondiale, gli elementi di consenso sono diversi: dalla conferma di molte attese al riconoscimento della novità di uno stile del pontificato.
E, com’è ormai consuetudine, le reazioni contrarie (perché ci sono anche quelle) o perlomeno i tentativi di alcuni “pompieri” provengono ancora una volta dall’interno della comunità ecclesiale, segno di un metabolismo lento della realtà. O, come scrive Luis Badilla coordinatore de Il Sismografo, si tratta di «sentenze (“già preparate”)». In quest’ottica il commento critico di Pérez Soba del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II o del cardinale americano Burke (che già si era espresso in una conferenza stampa a margine del Sinodo) che si concentrano sul cap. 8. «Non cambia nulla» dice Soba riguardo alla dottrina, «il papa incoraggia, ma non chiarisce», anzi «non fornisce alcuna motivazione per la comunione ai divorziati risposati». Su National Catholic Register Burke in riferimento all’ampio consenso dichiara: «L’unica chiave di lettura è l’immutabilità dell’insegnamento della Chiesa. Non si tratta di magistero, solo una riflessione del papa sui lavori dei due Sinodi: tutto dovrebbe essere ricondotto alle sole parole ufficiali, quelle del CCC» (Fellay lo definisce addirittura «terrificante», ma non fa testo ovviamente).
Una Chiesa “madre”
E mentre nel CCC termini come «felicità» e «gioia» riferiti all’amore umano ricorrono rispettivamente solo 1 e 2 volte, già l’annuncio del titolo aveva creato una forte attesa. Significativo il tweet del papa l’8 aprile: «La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa».
Per il gesuita Francesco Euvé, direttore della rivista francese Etudes, il contributo principale del Sinodo sulla famiglia stava nel metodo introdotto dal papa e l’esortazione ne avrebbe rappresentato la logica conseguenza anche se Bergoglio non sarebbe stato affatto tenuto a rispettare quanto votato dai due terzi.
Contro i «dottori della lettera» (di cui ha parlato il papa a Santa Marta il 12 aprile) era la sottolineatura a caldo di Michael Sean Winters di National Catholic Reporter in riferimento ai paragrafi 311 e 312 (“una morale fredda da scrivania”): «come se la Vergine Maria avesse dato alla luce un codice di diritto canonico».
È proprio questo spirito evangelico della parabola del Padre misericordioso o del pastore alla ricerca della pecora smarrita a fare breccia nell’animo di molti (ma dove si concentrano anche le voci contrarie), in particolare sui temi bioetici che richiamano la maternità della Chiesa.
Il ruolo delle coscienze
Anche in questa occasione una delle voci più incisive tra i commentatori di lingua inglese è quella di padre Thomas Reese, già direttore della rivista dei gesuiti America. Su NCR Reese sottolinea la «forte dose di autocritica»: una teologia astratta del matrimonio, un’insistenza ossessiva sul dovere della procreazione a scapito del significato unitivo della sessualità.
Il capitolo 4 è definito «un capolavoro» (tanto da ipotizzare che qualche editore lo pubblichi a parte per i corsi in preparazione al matrimonio o come testo per studi superiori): quasi un segnale della profonda conoscenza della vita reale delle persone frutto di ore di ascolto e dialogo.
Secondo il gesuita il capitolo 8 dovrebbe essere letto da tutti i preti, teologi morali e laici divorziati, ma «vale la pena leggerlo tutti quanti» perché rappresenta «la miglior discussione riguardo alla coscienza e al peccato pubblicata dopo il Vaticano II».
Anche Elisabetta Piqué su La Nacion sottolinea la novità riguardo al ruolo delle regole «Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (AL 37). Poi le diverse citazioni “altre” (Jorge Luis Borges, Octavio Paz, Mario Benedetti, Martin Luther King, Erich Fromm e il film Il pranzo di Babette): «il papa fa tesoro di 50 anni di esperienza pastorale» o ancora la «forte autocritica ad una prassi ecclesiale lontana dalle esperienze concrete della gente».
Il settimanale francese La Croix pubblica da qualche giorno una rassegna delle reazioni di consenso di diversi episcopati nel mondo o di singoli pastori, come l’arcivescovo di Parigi, card. Vingt Trois, già vicepresidente al Sinodo: «un nuovo approccio pastorale che richiede tempo e lavoro, non un kit di soluzioni già pronte». «Discernimento non significa che ogni conferenza episcopale operi come se la comunione ecclesiale fosse assente, piuttosto che l’analisi delle situazioni concrete non può essere compiuta a livello centrale».
Varietà di situazioni
Convinto è l’apprezzamento anche del vescovo Nicolas Djomo della diocesi di Tshumbe in Congo dove esiste la consuetudine del “matrimonio a tappe” o anche la poligamia: «questo ci incoraggia nella nostra azione di inculturazione del cristianesimo all’interno della società africana».
Positive persino le reazioni del Global Network of Raimbow Catholics: anche se un po’ delusi sulle modalità di approccio all’omosessualità e l’identità di genere, tuttavia dichiara di accogliere positivamente «il passaggio da concezioni teologiche superate e dall’enfasi eccessiva sulla dottrina e le norme, a nuove soluzioni improntate all’accoglienza di quanti in passato venivano etichettati come “irregolari”».
Anche per molti osservatori lontani, come Ross Douthat sul New York Times, il testo rappresenta un passo avanti nei confronti della pluralità di situazioni. «Si può leggere come una tregua tra le due fazioni: la dottrina non cambia, ma la strada dell’innovazione è avviata e sulla via del discernimento la fredda dottrina finirà lettera morta».
«È la prima volta che mi sento compreso» confessa Marc – divorziato risposato con Isabelle, un figlio di 12 anni – dalle colonne di Le Figaro.
E per qualcuno per trovare una simile apertura di misericordia occorre tornare all’epoca della riconciliazione dei lapsi …