Sulla rivista dell’Istituto Humanitas Unisinos (IHU On-Line) è apparsa una lunga intervista al teologo brasiliano José Oscar Beozzo, attualmente coordinatore del Centro servizi ecumenici per l’evangelizzazione e l’educazione popolare. Nelle risposte date all’intervistatore, il giornalista João Vitor Santos, egli traccia un bilancio dei cinque anni di pontificato di papa Francesco, visto dal versante brasiliano.
– Prof. Beozzo, quali i progressi e i limiti di Francesco nei suoi cinque anni di pontificato?
Tra i progressi, il più importante è stato mettere i poveri, i rifiutati dal sistema, gli emarginati, i ghettizzati, al centro della sua azione pastorale. Il gesto di andare all’isola di Lampedusa dove giungono i migranti dall’Africa e, silenziosamente, di lanciare dei fiori in quel mare dove più di 20.000 sono morti annegati, o quello di portare alcune famiglie di rifugiati della guerra in Siria per essere accolti in Vaticano, dicono molto sulle sue priorità.
Insiste con le Chiese particolari perché si riapproprino, sulla linea del Vaticano II, del protagonismo e delle responsabilità nelle questioni più scottanti del mondo di oggi e della Chiesa.
Accogliere e non escludere
Pone come un obbligo della comunità ecclesiale «accompagnare, discernere e integrare la fragilità» e sfida ad affrontare le difficoltà e gli ostacoli della vita delle coppie e delle famiglie in chiave pastorale, in un clima di misericordia e non di esclusione e di condanna. Così, egli vuole una Chiesa in uscita, che accetti di sporcarsi i piedi e le mani per aiutare il bisognosi e diventare un ospedale da campo per i feriti nelle vicissitudini della vita.
Costruire ponti e non muri
Le migrazioni sono esplose in tutto il mondo a causa delle guerre e delle lotte politiche dovute alla crisi economica e ai disastri climatici, come siccità prolungate, inondazioni, desertificazione di aree estese. La reazione nei confronti dei rifugiati e dei migranti da parte di alcuni governi ha oscillato tra accoglienza più o meno ristretta e aggressività politica come chiudere le frontiere, costruire barriere e muri, espellere i non regolari.
Nel suo viaggio in Messico, in piena campagna elettorale degli Stati Uniti e di fronte alla proposta dell’allora candidato Donald Trump di costruire un muro al confine tra i due paesi, papa Francesco è stato chiaro: dobbiamo costruire ponti e non erigere muri tra le nazioni e i popoli.
Il dialogo e la pace a qualsiasi costo
Il papa si è impegnato anche aprendo al dialogo le porte del Vaticano. Ha invitato il presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, il presidente di Israele, Shimon Peres, leaders religiosi ebrei, musulmani e cristiani a impegnarsi per il dialogo e la riconciliazione e a pregare insieme per la pace nei giardini del Vaticano.
Ha favorito il dialogo tra Cuba e gli Stati Uniti, perché riprendessero, a distanza di 60 anni, le relazioni diplomatiche per facilitare le visite tra familiari e perché fossero sospesi gli aspetti del blocco economico-commerciale più onerosi per la popolazione, come quello che pesava su medicine, cibo o rimessa di risorse alle famiglie.
In Colombia, ha dato un contributo importante per gli accordi di pace tra il governo e le forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC), mettendo fine a più di sei decenni di guerra civile, con migliaia di morti e più di sette milioni di sfollati provenienti dalle zone del conflitto armato.
Inoltre, si sta adoperando per superare lo stallo tra governo e opposizione in Venezuela e per impedire che altri paesi intervengano per aggravare la situazione ed esacerbare il conflitto.
Con pazienza, sta tentando il dialogo per superare la frattura prodotta dal governo cinese dopo la rivoluzione del 1949 e così attenuare, nel paese, la situazione difficile dei cattolici.
Vaticano II, ispirazione e impegno
Ha ripreso le grandi intuizioni del concilio Vaticano II, della Chiesa come popolo di Dio, del protagonismo dei laici, della presenza della Chiesa nel mondo, del dialogo ecumenico e interreligioso, della centralità della parola di Dio, condannando una Chiesa autoreferenziale, basata solo sul clero e lontana dalle gioie e dalle speranze, dalle sofferenze e dalle angosce degli uomini e delle donne di oggi, e soprattutto dai poveri.
La cura della casa comune
Ha prodotto un grande effetto all’interno, ma forse più ancora al di fuori della Chiesa, con la sua enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune.
Ha accolto con favore il contributo di università, di altre Chiese cristiane, come l’impegno del Patriarca ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli, di un mistico musulmano Sufi, di poeti e filosofi, mostrando quanto la sopravvivenza del pianeta e della sua stessa vita sia un impegno che può e deve unire tutta l’umanità.
Terra, lavoro, casa e movimenti popolari
Papa Francesco ha cercato di stabilire un dialogo con i movimenti popolari di tutto il mondo, invitandoli a confrontarsi e sollecitandoli a cercare delle vie d’uscita da una globalizzazione che genera esclusione e indifferenza davanti alla sofferenza e alle angosce della maggioranza.
Nell’incontro dell’ottobre 2014, a Roma, diventarono famose tre parole pronunciate per definire gli strumenti necessari a garantire la vita e la dignità delle persone: terra, lavoro e casa.
Nel secondo incontro, dal 7 al 9 luglio 2015, a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, sono stati pubblicati un manifesto, un decalogo e una dichiarazione d’impegno comune. Francesco ha sottolineato tra i frutti di questo incontro: mettere l’economia al servizio della gente, costruire la pace e la giustizia e difendere la Madre Terra. Ha aggiunto: «Abbiamo parlato del bisogno, per una vita dignitosa, di un cambiamento di strutture; inoltre, di come voi, movimenti popolari, siete seminatori di questo cambiamento, promotori di un percorso in cui convergono migliaia di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia; per questo motivo ho voluto chiamarvi “poeti sociali”; e abbiamo anche elencato alcuni compiti essenziali per camminare verso un’alternativa umana di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza».
Al terzo incontro, chiuso dal papa in Vaticano il 5 novembre 2016, si volle approfondire lo scambio tra i movimenti e le Chiese nazionali. Si denunciò il «terrorismo» di un sistema economico al servizio del profitto e dell’accumulo di pochi e della dittatura economica globale che alza muri tra classi sociali e paesi. Il papa ha insistito per la costruzione di ponti e di amore per fronteggiare la tragedia dei migranti, dei rifugiati e degli sfollati. Ha riproposto l’esercizio della politica come fondamentale, qualificandola nella linea di Pio XII e di Paolo VI: la politica è una delle forme più alte di carità e amore!
– In che misura possiamo affermare che la Chiesa in Brasile capisce e aderisce al ministero di Bergoglio?
C’è stata una gioiosa accoglienza del messaggio liberatore di papa Francesco, della sua vicinanza alla gente, della sua semplicità di vita e degli atteggiamenti vissuti sin dall’inizio del suo pontificato con la sua venuta per la Giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro, nel luglio 2013. La Evangelii gaudium e la Laudato si’ hanno avuto un impatto favorevole e hanno fatto rinascere molte speranze.
L’esortazione Amoris lætitia aveva già suscitato polemiche e reazioni aperte da parte di settori conservatori.
L’entusiasmo per Francesco è stato minore nel clero più giovane e nei seminaristi sollecitati a lasciare l’ambiente confortevole dei seminari e delle sacrestie per lanciarsi nell’avventura missionaria al servizio dei poveri e degli esclusi.
Deve essere preso in considerazione il fatto che, il 4 aprile 2018, dei 476 vescovi del Brasile tra emeriti e in funzione, circa il 50% è stato nominato da Giovanni Paolo II e il 25% da Benedetto XVI. Il resto è diviso tra 41 emeriti, di cui 2 provenienti dal pontificato di Giovanni XXIII e 39 da quello di Paolo VI, e gli 81 nominati da Francesco, cioè circa il 16% dell’episcopato. Se prendiamo in considerazione i vescovi con responsabilità pastorali, sono circa il 25%, cioè un quarto dell’episcopato nominato da papa Francesco.
Il profilo delle nomine di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI era diverso da ciò che Francesco vuole oggi nel suo progetto di “Chiesa in uscita”. I vescovi si mostrano rispettosi nei riguardi del papa, ma hanno difficoltà a percorrere nuovi cammini e a riprendere le più alte ispirazioni del Vaticano II, l’eredità delle Conferenze dell’episcopato latinoamericano di Medellín, la Aparecida e la tradizione dell’impegno sociale e politico della Chiesa del Brasile a favore della causa dei poveri e degli esclusi.
Sono più portati per l’amministrazione interna della Chiesa. Si sentono più coinvolti dalla formazione del clero piuttosto che di laici e laiche. Le loro preoccupazioni maggiori riguardano la liturgia e i sacramenti, la moralità e il buon costume.
Si ritrovano – per formazione e per pratica pastorale – distanti, in un certo senso, dai problemi economici, sociali e politici e poveri di strumenti di analisi, per capire le cause dell’attuale crisi. Sono succubi di alcune reti televisive e dell’opinione di giornali o riviste. I poveri sono accuditi per praticare le opere di misericordia e di carità, ma senza chiedersi quali sono le cause strutturali di questa situazione e come cercare una via d’uscita collaborando con i movimenti popolari. Hanno difficoltà a capire e a gestire la pastorale sociale della Chiesa, omettendo a volte di incoraggiarla e arrivando perfino a vietarla nelle loro diocesi.
– In Brasile, in particolare durante la dittatura militare, la Chiesa ha svolto un ruolo di primo piano per garantire i diritti umani. Oggi, davanti alle sfide proposte dal papa perché esca da se stessa, come osserva l’azione della Chiesa di fronte a problemi come la crisi politica, economica e sociale, oltre alle diverse forme di attacco ai diritti fondamentali?
Il peggioramento della situazione sociale e politica, con lo smantellamento delle politiche pubbliche, il congelare per 20 anni gli investimenti sociali, la salita vertiginosa della disoccupazione, la violazione del territorio dei popoli indigeni e l’aumento di stragi nelle campagne e in città, l’azzeramento dei diritti dei lavoratori e la proposta di riforma delle pensioni che mantiene e aumenta i privilegi di magistrati, membri del pubblico ministero, politici e militari mentre si eliminano i diritti della maggioranza aumentando gli oneri dei più vulnerabili, ha fatto accendere il segnale di allarme e ha risvegliato la Chiesa cattolica e le altre Chiese cristiane.
Si moltiplicano gli interventi e le dichiarazioni della Conferenza episcopale brasiliana (CNBB): sul PEC 287/16; sulla riforma previdenziale (23/03/17); in difesa dei diritti degli Indigeni e del Consiglio missionario indigeno (CIMI, 22/06/17); ai lavoratori del Brasile (27/04/17); sul grave momento nazionale (03/05/17).
I vescovi dell’arcidiocesi di Belo Horizonte MG (20/03/17) e la Provincia ecclesiastica di Natal RN (05/04/17) hanno espresso il loro punto di vista che va nella stessa direzione.
La Commissione brasiliana di Giustizia e pace, il Consiglio nazionale dei laici, la Conferenza dei religiosi del Brasile, la Pastorale nazionale operaia, le Comunità ecclesiali di base CEB di San Paolo, gli Ordini francescano e domenicano, Centri, come il Centro per gli studi biblici (CEBI), Centro ecumenico di servizi all’evangelizzazione e educazione popolare (CESEEP), Centro Alceu Amoroso Lima per la libertà di Petrópolis (CAALL), la Commissione di Giustizia e pace dell’arcidiocesi di Brasilia, si sono aggiunti alle denunce e alle proteste.
Nel campo ecumenico, il Consiglio nazionale delle Chiese cristiane del Brasile (CONIC) ha espresso il suo sostegno allo sciopero generale del 28 aprile 2017 contro la riforma del lavoro e della previdenza sociale. Tra le Chiese evangeliche ci sono state dichiarazioni forti della direzione generale della Chiesa evangelica luterana in Brasile (IECLB) e delle donne luterane nei 500 anni della Riforma; dei presidenti e rappresentanti delle Chiese evangeliche storiche del Brasile (IELB, IPU, IECLB, RENAS, IPB, IMB) nel 23/03/17; del Governo episcopale della Chiesa episcopale anglicana (05/04/17).
I grandi mezzi di comunicazione hanno praticamente ignorato tutte queste dichiarazioni, e le Chiese, d’altro canto, hanno perso negli ultimi anni la loro capacità di mobilitazione sociale e molti legami con i movimenti operai, sindacali e popolari. In ogni caso, per la prima volta, tutti i centri sindacali hanno ringraziato pubblicamente la CNBB per l’appoggio della Conferenza e di più di cento vescovi allo sciopero generale contro le riforme del lavoro e del sistema previdenziale.
– Qual è la sua lettura sui viaggi di Francesco, soprattutto nei paesi dell’America Latina, come il Cile e, più recentemente, il Perù? Che cosa lo rende diverso dagli altri papi?
I viaggi in America Latina sono cominciati nell’anno della sua elezione. Nel 2013 è venuto in Brasile per la Giornata mondiale della gioventù (22-29 luglio). Nel 2015 è andato in Ecuador, in Bolivia e Paraguay (5-13 luglio) e poi a Cuba (19-22 settembre), di dove ha proseguito per gli Stati Uniti (22-27 settembre). Nel 2016 è andato in Messico (12-18 febbraio) e, lungo il viaggio, si è fermato a L’Avana per incontrare il Patriarca Kiril della Chiesa Ortodossa Russa, firmando un accordo tra le due Chiese per superare le divisioni, lavorare per l’unità e approfondire la reciproca collaborazione. Ѐ stato lì che ha sottolineato: «Il nostro sguardo si rivolge alle persone che vivono situazioni di grande difficoltà, in condizioni di estremo bisogno e povertà, mentre cresce la ricchezza materiale dell’umanità. Non possiamo restare indifferenti al destino di milioni di migranti e di rifugiati che bussano alla porta dei paesi ricchi. Il consumo sfrenato, come si vede in alcuni paesi più sviluppati, sta gradatamente esaurendo le risorse del nostro pianeta. La crescente disparità della distribuzione dei beni della Terra aumenta la percezione di ingiustizia del sistema messo in atto nelle relazioni internazionali».
Nel 2017 è andato in Colombia (6-11 settembre). Nel 2018 è approdato in Cile e in Perù (15-22 gennaio 2018). Ha visitato in tutto nove paesi.
Per la novità e per l’immediata empatia che si è stabilita con la folla che lo ha accolto, certamente il viaggio in Brasile è stato fondamentale e ha proiettato un’immagine positiva del papa nel Paese, nell’America Latina e nel mondo. Ha saputo affascinare i giovani. Si è fermato a pregare insieme ad un pastore pentecostale e alla sua comunità che stavano accogliendo i pellegrini in una “favela”, inaspettatamente è entrato in una casa a visitare una famiglia; ha instaurato un dialogo di alto livello con intellettuali e leaders di altre Chiese cristiane e religioni.
Le visite a Cuba e in Colombia sono state recepite come un segnale del suo forte impegno per stabilire la giustizia, la riconciliazione e la pace.
Più conflittuale è stata la sua visita in Cile, in una Chiesa e in una società divise dallo scandalo di p. Fernando Karadima e dall’atteggiamento di difesa verso Karadima del vescovo Juan Barros, del gruppo Unione Sacerdotale di Karadima, accusato di coprire gli abusi sessuali. Ciò ha causato disagio, molte polemiche e ha messo in ombra altri aspetti della visita.
In Perù, al contrario, il suo incontro con i rappresentanti dei popoli indigeni il 19 gennaio a Puerto Maldonado è stato di una reciproca empatia e impegno per il presente e il futuro: «La Chiesa non è estranea ai vostri problemi e alla vostra vita, non vuole essere al di fuori del vostro modo di vivere e di organizzarvi. Abbiamo bisogno che i popoli indigeni plasmino culturalmente le Chiese locali amazzoniche. E, a proposito, mi ha riempito di gioia sentire uno dei testi di Laudato si’ letto da un diacono permanente della vostra cultura. Aiutate i vostri vescovi, aiutate i vostri missionari e le vostre missionarie a diventare uno, con voi e quindi, dialogando con tutti, potete plasmare una Chiesa col volto amazzonico e una Chiesa con volto indigeno. Con questo spirito, ho convocato un Sinodo per l’Amazzonia nell’anno 2019, la cui prima riunione del Consiglio pre-sinodale si realizzerà qui oggi pomeriggio».