Questa è un’intervista “rubata”. L’autore, Sergio Bocchini, e l’interessato, il vescovo Luigi Bettazzi, hanno costruito un libro-intervista (Un vescovo mancino. Conversazione con Luigi Bettazzi, EDB, Bologna 2016) che scorre lieve e profondo per 190 pagine. Dal testo riprendo alcune domande e risposte per raccontare il concilio Vaticano II, alcuni episodi dei decenni successivi e qualche battuta su temi discussi.
Nato nel 1923, L. Bettazzi diventa prete a Bologna nel 1946, vescovo ausiliare del card. G. Lercaro nel 1963 e vescovo a Ivrea (1966-1999). Per decenni ha animato Pax Christi ed è testimone (l’ultimo in Italia) del Vaticano II. Partecipa infatti all’assise conciliare dalla seconda alla quarta e ultima sessione (1963-1965). Una presenza non da semplice gregario considerati i tre interventi pronunciati in aula e i cinque per iscritto.
Il papa e il collegio
Dei suoi interventi quello più noto è relativo alla collegialità (11 ottobre 1963). Lo fece «al posto di» Lercaro, uno di quattro moderatori dell’assise. Incerto sul da farsi, Lercaro fu consigliato da un altro moderatore, il card. belga Suenens, di non esporsi e di affidare l’intervento a qualche altro di sua fiducia. Così, Bettazzi, che aveva già pronto il biglietto per rientrare a Bologna per il fine settimana, si fermò e preparò il testo con l’aiuto del camaldolese, p. Vagaggini. Dare vigore alla collegialità episcopale non voleva dire «attenuare il potere del papa, quanto garantirlo… Il papa esprime quello che la Chiesa crede, e perciò deve rendersene conto». «Il papa era il papa, lo era però, come capo del collegio dei vescovi, mentre, soprattutto dopo il Vaticano I, la Chiesa risultava una monarchia assoluta».
Fra i punti a sfavore della collegialità vi era il richiamo alla tradizione giuridica romana in cui il collegium era composto da «pari». E il papa non poteva essere uguale agli altri vescovi. «Sostenni che la collegialità è nella tradizione della teologia romana e che, quindi, quelli che erano contrari alla collegialità erano contro la tradizione romana». La liturgia, prima e meglio del diritto ne era consapevole. «Infatti nella preghiera liturgica per la festa di san Mattia, l’apostolo destinato a completare il numero dodici (dopo il tradimento e la morte di Giuda), si dice: “O Dio, che hai unito il beato Mattia al collegio degli apostoli”; è questo mi basta, conclusi. Fu a quel punto che (i padri conciliari) mi batterono le mani».
Fra i temi più discussi vi fu anche la povertà della Chiesa e la «Chiesa dei poveri». Da quel dibattito Paolo VI trasse poi lo spunto per l’enciclica Populorum progressio. In aula vi fu un celebre discorso del card. Lercaro. Per non dimenticare il richiamo alla povertà, un gruppo di vescovi inventò il Patto delle catacombe, un documento che 41 padri conciliari firmarono in una celebrazione alle catacombe di santa Domitilla il 16 novembre 1965. «Il vescovo di Tournai (Belgio), Charles-Marie Himmer, presiedeva la messa. Alla fine lesse questo elenco di impegni: non abitare in edifici lussuosi, rinunciare agli abiti sfarzosi, ai titoli onorifici, ai conti in banca, stare vicino ai poveri, ai lavoratori, agli emarginati. Firmammo e ci impegnammo a farlo sottoscrivere ad altri, e in poco tempo ci furono circa cinquecento adesioni».
Moro, la condanna USA
Che ne è oggi della recezione dei testi conciliari (quattro costituzioni, tre dichiarazioni e nove decreti)? «Prima di tutto vorrei dire che i documenti del concilio non vanno presi – come qualcuno fa – come un codice giuridico che ti dice cosa è permesso o cosa è vietato, bensì come una prospettiva mentale entro cui riconoscere quanto il Signore ci ha rivelato, perché possiamo credere nell’amore e viverlo nella nostra vita. Con questa premessa si può dire che la rivoluzione copernicana contenuta nella Gaudium et spes (non l’umanità per la Chiesa, ma la Chiesa per l’umanità) e quella della Lumen gentium (non i fedeli per la gerarchia, ma la gerarchia per i fedeli) ancora stentano ad affermarsi. Mentre le altre due costituzioni (il primato della parola di Dio, esplicitato nella Dei verbum, e la riforma liturgica, che grazie alla Sacrosanctum concilium, è più partecipata di un tempo) sono sostanzialmente riuscite».
Vescovo scomodo e “di sinistra” – «mancino» corregge sempre l’interessato – mons. Bettazzi conosce un certo isolamento. In CEI spostarono alcune elezioni per impedirgli di entrare nel Consiglio permanente, dal Vaticano gli impedirono di partecipare al convegno latino-americano di Puebla e, soprattutto, non gli risparmiarono critiche dopo una lettera aperta a Enrico Berlinguer, allora segretario del Partito comunista. «È vero che lo scambio di lettere con il segretario del partito comunista fu una novità, che ebbe una critica immediata e forte dal patriarca di Venezia, il card. Luciani (poi mi disse che gli era stata comandata dall’alto), ed era stata riprovata dai vescovi della Polonia (“venga a vedere come si vive sotto i comunisti!”), tanto che al primo incontro con Giovanni Paolo II, quando il suo segretario disse che ero un vescovo noto in Italia, il papa, incrociando le braccia e con volto severo (c’è tanto di foto) commentò: “È noto in tutto il mondo”».
Meno conosciuto l’episodio connesso al sequestro e all’uccisione di Aldo Moro. In un tentativo di trattativa coi brigatisti, il servita p. Dal Piaz suggerì ai vescovi Bettazzi, Ablondi e Riva di offrirsi ostaggi al posto dello statista. Si dissero disponibili e Bettazzi fece un sondaggio di Segreteria di stato. Ottenne la paradossale risposta: «”Lei poteva non venire, ma ora che è venuto glielo proibiamo”. Lo dico non per suggerire ombre sul Vaticano, ma per far capire che era deciso che Moro dovesse morire. Pare che ci fossero indicazioni precise da parte degli Stati Uniti d’America»: un partito comunista non poteva entrare al governo come Moro auspicava.
Non negoziabili? Anche la solidarietà
Molto ripresa è stata anche una previsione, considerata profetica, con cui Bettazzi considerava plausibili nel 2012 le dimissioni di Benedetto XVI, che si verificarono un anno dopo, 11 febbraio 2013. Ha fatto una considerazione similare per papa Francesco, a cui è molto legato: «Credo che papa Francesco pensi che se, tra qualche anno, non si sentirà più in forze, come ha fatto Benedetto, si ritirerà per lasciare spazio a un papa più in forze. Ma prima farà quello che ha deciso di fare». E commenta: «Insomma, non mi sembra di aver fatto chissà quale profezia». Non è certo per questo che a lui non è stata concessa la berretta cardinalizia. Annota con ironia: «Di vescovi cardinali a Ivrea ce ne furono solo nel ’500 quando la famiglia biellese dei Ferrero restò per oltre un secolo alla guida della diocesi».
Assai sereno nei confronti delle ricorrenti critiche che gli sono state rivolte, Bettazzi è disponibile a riconoscere alcuni limiti del suo ministero, come la disattenzione verso l’Azione cattolica, o una competenza non approfondita della Scrittura o una mancanza di coraggio in alcuni passaggi. Senza mai conoscere una vera crisi di fede. «Ho ricevuto un’educazione così sincera, in famiglia e nei seminari, che non ricordo, grazie a Dio, vere crisi di fede. O, forse, sono stato così superficiale da non rendermene conto».
Morale: nuovi pensieri
Vale la pena riprendere dal volume-inchiesta di E. Bocchini anche alcune battute su questioni largamente discusse in questi decenni. Sui «principi non negoziabili» al tempo del governo Berlusconi e della CEI “ruiniana” ricordò a mons. L. Negri che tali erano non solo alcuni temi come la difesa della vita (aborto, eutanasia), ma anche altri come la solidarietà e l’attenzione ai poveri. Sul «fine vita»: stante la critica all’eutanasia, «la Chiesa ha sempre ammesso il rifiuto al cosiddetto “accanimento terapeutico” o di interventi meccanici per prolungare una situazione di grande sofferenza. Lo stesso papa san Giovanni Paolo II ha rifiutato l’intubazione tracheale, che gli avrebbe prolungato la vita ancora un po’. In quei casi ci si abbandona alla natura, quindi al Signore».
Nel 2007 si pronunciò a favore dei Dico, delle convivenze civili: «Corretto! E forse si sarebbe evitato lo scontro attuale con chi vuole denominare ogni unione come matrimonio, appropriandosi tra l’altro di una denominazione che indica matris munus, il compito della madre».
«L’omosessualità: la questione del sesso va studiata, emancipandosi dai neoplatonici che facevano coincidere sesso con decadenza dello spirito». «È vero che l’influenza del neoplatonici ha molto declassato la realtà corporea, anche sul piano dell’amore; anche perché siamo stati molto influenzati da una mentalità che riteneva l’omosessualità come scelta arbitraria, e per di più viziosa».
«Quando sarà l’ora, cosa vorrebbe scritto sulla tomba?». «Basta che scrivano: mons. Bettazzi (1923-….), vescovo di Ivrea dal 1966 al 1999. Pregate per lui». «A Ivrea o a Bologna?». «Ovviamente a Ivrea (spero in cattedrale)».