Il papa dell’ascolto e del dialogo: così si è presentato papa Francesco in Cile. Una presenza forte, chiara, semplice, efficace, almeno per chi guardi senza pregiudizi. Mentre, al di fuori del parco dove si svolgeva la messa a Santiago del Cile, c’erano incidenti tra manifestanti e polizia, all’interno papa Francesco trasmetteva un messaggio di speranza sui temi della pace e della giustizia.
Costruire pace
«Seminare la pace a forza di prossimità, a forza di vicinanza! A forza di uscire di casa e osservare i volti, di andare incontro a chi si trova in difficoltà, a chi non è stato trattato come persona, come un degno figlio di questa terra. Questo è l’unico modo che abbiamo per tessere un futuro di pace, per tessere di nuovo una realtà che si può sfilacciare. L’operatore di pace sa che molte volte bisogna vincere grandi o sottili meschinità eambizioni, che nascono dalla pretesa di crescere e “farsi un nome”, di acquistare prestigio a spese degli altri. L’operatore di pace sa che non basta dire: non faccio del male a nessuno, perché, come diceva sant’Alberto Hurtado: “Va molto bene non fare il male, ma è molto male non fare il bene” (Meditación radial, abril 1944). Costruire la pace è un processo che ci riunisce e stimola la nostra creatività per dar vita a relazioni capaci di vedere nel mio vicino non un estraneo, uno sconosciuto, ma un figlio di questa terra».
Poco prima, nel discorso al presidente della Repubblica e al Corpo diplomatico, aveva esaltato le conquiste sociali e culturali del Cile – paese che lui stesso ha detto di conoscere bene – e ha avuto parole intense sull’importanza del dialogo. In questo contesto – riporto per intero le sue frasi – ha svolto l’importante considerazione sulla “tolleranza zero” per i casi di pedofilia.
Ascoltare
«Tale capacità di ascolto acquista un grande valore in questa nazione, dove la pluralità etnica, culturale e storica esige di essere custodita da ogni tentativo di parzialità o supremazia e che mette in gioco la capacità di lasciar cadere dogmatismi esclusivisti in una sana apertura al bene comune (che, se non presenta un carattere comunitario, non sarà mai un bene). È indispensabile ascoltare: ascoltare i disoccupati, che non possono sostenere il presente e ancor meno il futuro delle loro famiglie; ascoltare i popoli autoctoni, spesso dimenticati, i cui diritti devono ricevere attenzione e la cui cultura va protetta, perché non si perda una parte dell’identità e della ricchezza di questa nazione. Ascoltare i migranti, che bussano alle porte di questo Paese in cerca di una vita migliore e, a loro volta, con la forza e la speranza di voler costruire un futuro migliore per tutti. Ascoltare i giovani, nella loro ansia di avere maggiori opportunità, specialmente sul piano educativo e, così, sentirsi protagonisti del Cile che sognano, proteggendoli attivamente dal flagello della droga che si prende il meglio delle loro vite. Ascoltare gli anziani, con la loro saggezza tanto necessaria e il carico della loro fragilità. Non li possiamo abbandonare. Ascoltare i bambini, che si affacciano al mondo con i loro occhi pieni di meraviglia e innocenza e attendono da noi risposte reali per un futuro di dignità. E qui non posso fare a meno di esprimere il dolore e la vergogna, vergogna che sento davanti al danno irreparabile causato a bambini da parte di ministri della Chiesa. Desidero unirmi ai miei fratelli nell’episcopato, perché è giusto chiedere perdono e appoggiare con tutte le forze le vittime, mentre dobbiamo impegnarci perché ciò non si ripeta».
Il seguito della prima intensa giornata ha visto papa Francesco tra i carcerati. Poi con il clero e le religiose ha avuto l’opportunità di spiegare come e cosa si deve fare oggi: mai lasciarsi abbattere dalle difficoltà, serve un’azione pastorale che faccia leva sulla dimensione comunitaria.