Le recenti critiche a papa Francesco sul modo di presentare il sacramento della confessione sono – oltre al resto – il frutto di un “luogo comune”, la proiezione di un “pregiudizio” e l’indice eloquente della superficialità con cui ci si accosta alla tradizione penitenziale della Chiesa.
Vorrei qui ricordare le circostanze con cui, 11 anni fa, fui colpito non tanto da quel “botta e risposta” tra la bambina Livia e il papa Benedetto XVI, quanto dal modo con cui riuscii a superare la “censura mediatica” e a comprendere con molta fatica quello scambio di battute.
Dunque eravamo nell’ottobre del 2005, era un sabato: io mi trovavo a casa, a Savona, e al telegiornale del sabato sera (mi pare fosse il TG2) sentii la cronaca del pomeriggio in Piazza S. Pietro, quando alcuni bambini che avevano fatto la prima comunione avevano posto domande sul tema al neoeletto papa Benedetto. E ricordo bene il mio stupore quando, dopo aver sentito la vocina e visto la figura bianca della piccola Livia porre la sua questione, non riuscii a sentire la risposta del papa – che non fu ripresa dal servizio – ma udii solo la voce del cronista che la riassumeva così: «Il papa ha risposto di sì: bisogna confessarsi sempre prima di fare la comunione». Rimasi male. E pensai: il giornalista non ha capito. Cercai un altro telegiornale: la stessa solfa. Non mi rassegnai, ma rimasi impotente. Oggi, se mi trovassi nella stessa situazione di allora, avrei subito la «via breve» di Google…ma allora, nel 2005, eravamo in un altro mondo.
Aspettai fino a lunedì quando, arrivando a Roma per insegnare, trovai a S. Anselmo l’Osservatore Romano e potei leggere il testo integrale del dialogo, con domanda e risposta. Lo riporto qui di seguito:
Livia: «Santo padre, prima del giorno della mia prima comunione mi sono confessata. Mi sono poi confessata altre volte. Ma volevo chiederti: devo confessarmi tutte le volte che faccio la comunione? Anche quando ho fatto gli stessi peccati? Perché mi accorgo che sono sempre quelli».
Benedetto XVI: «Direi due cose: la prima, naturalmente, è che non devi confessarti sempre prima della comunione, se non hai fatto peccati così gravi che sarebbe necessario confessarsi. Quindi, non è necessario confessarsi prima di ogni comunione eucaristica. Questo è il primo punto. Necessario è soltanto nel caso che hai commesso un peccato realmente grave, che hai offeso profondamente Gesù, così che l’amicizia è distrutta e devi ricominciare di nuovo. Solo in questo caso, quando si è in peccato “mortale”, cioè grave, è necessario confessarsi prima della comunione. Questo è il primo punto. Il secondo: anche se, come ho detto, non è necessario confessarsi prima di ogni comunione, è molto utile confessarsi con una certa regolarità. È vero, di solito, i nostri peccati sono sempre gli stessi, ma facciamo pulizia delle nostre abitazioni, delle nostre camere, almeno ogni settimana, anche se la sporcizia è sempre la stessa. Per vivere nel pulito, per ricominciare; altrimenti, forse la sporcizia non si vede, ma si accumula. Una cosa simile vale anche per l’anima, per me stesso, se non mi confesso mai, l’anima rimane trascurata e, alla fine, sono sempre contento di me e non capisco più che devo anche lavorare per essere migliore, che devo andare avanti. E questa pulizia dell’anima, che Gesù ci dà nel sacramento della confessione, ci aiuta ad avere una coscienza più svelta, più aperta e così anche di maturare spiritualmente e come persona umana. Quindi due cose: confessarsi è necessario soltanto in caso di un peccato grave, ma è molto utile confessarsi regolarmente per coltivare la pulizia, la bellezza dell’anima e maturare man mano nella vita».
Solo leggendo la fonte originale superai il mio imbarazzo: il papa teologo confermava la antica sapienza ecclesiale. Ma smentiva il “luogo comune”, che vede con sospetto la stessa distinzione tra «confessione di necessità» e «confessione di devozione», così chiara nella risposta. Ora, anche nelle critiche a Francesco, più o meno esplicite, si sente rievocato questo pregiudizio, che tende ad “assolutizzare” il sacramento della penitenza come “unica” forma di esperienza del peccato perdonato. Non è mai stato così e così non potrà e non dovrà mai essere. Il sacramento è un atto di “servizio” alla esperienza centrale di perdono del peccato, che resta incastonata a fuoco nella vita battesimale ed eucaristica. Dobbiamo resistere a questa censura del pregiudizio.
Coloro che oggi criticano Francesco, ieri censuravano Benedetto. Non sopportavano che la risposta di allora non rientrasse pienamente nel quadro asfittico di una “confessione” solidamente preordinata ad ogni comunione. Perché non c’è tradizione che appaia tanto forte e tanto grande quanto i propri pregiudizi. Da un secolo – almeno da Pio X – la tradizione del confessionale è messa alla prova dalla riscoperta della iniziazione battesimale ed eucaristica, che inizia proprio poco più di un secolo fa. Se rileggiamo questa storia con attenzione, eviteremo sia di censurare i testi “dissonanti” del papa emerito, sia di criticare le parole di buon senso del suo successore.
I papi servono la Chiesa che cammina e che esce da sé, non i pregiudizi che la bloccano e la rendono autoreferenziale.
Testo pubblicato il 4 marzo 2016 nel blog: Come se non