Con la Cerimonia di accoglienza di giovedì e la Via crucis di oggi la Giornata mondiale per la gioventù ha avuto il suo inizio ufficiale. I due discorsi di Francesco sono stati brevi, per non occupare con troppe parole la dimensione celebrativa di questi primi due incontri. Con essi inizia anche qualcosa che non può essere raccolto solo nei testi ufficiali, qualcosa che qualunque informazione da lontano non può raccontare.
Merita, comunque, riprendere alcuni passaggi della parola che Francesco ha rivolto ai giovani riuniti a Lisbona. L’invito a rileggere la propria storia e la propria appartenenza ecclesiale come chiamata del desiderio e dell’amore del Signore – per ciascuno e ciascuna. «Al principio della trama della vita, prima dei talenti che abbiamo, delle ombre e delle ferite che portiamo dentro, siamo stati chiamati perché siamo amati. Agli occhi di Dio siamo figli preziosi, che Egli ogni giorno chiama per abbracciare e incoraggiare; per fare di ciascuno di noi un capolavoro unico e originale».
Parole, queste, che certo dilatano il cuore e fanno apprezzare, per un momento, l’essere parte di quella comunità che si chiama Chiesa cattolica. Parole che fanno anche sentire, spesso in maniera lacerante, la dismisura dell’Evangelo davanti alle molte misure che la Chiesa pone davanti a vite e storie che sono anch’esse un capolavoro unico e originale. Vite e storie che nella Chiesa trovano in primo luogo un giudizio, patiscono un’esclusione, che avvilisce quell’essere chiamati per nome a cui papa Francesco ha fatto riferimento.
Dove è realmente la Chiesa davanti alle aspirazioni dei giovani, davanti ai loro modi di vivere e amare, davanti al loro senso di giustizia che rende loro irricevibili parole che diciamo con troppa disinvoltura…? Amore, fraternità, perdono, ospitalità… parole che hanno perso gusto sulle nostre labbra, perché non trovano verifica nelle pratiche e negli atteggiamenti della Chiesa come istituzione.
E allora diventa rischioso quanto detto da Francesco: «Nella Chiesa c’è spazio per tutti, per tutti! Nessuno è inutile, nessuno è superfluo, c’è spazio per tutti. Così come siamo, tutti». Rischioso perché queste parole racchiudono una promessa che la Chiesa come istituzione non è e non sarà in grado di onorare. Eppure Francesco, credo ben consapevole di questo, tali parole le ha volute dire, su questa promessa si è voluto impegnare. Parole che parlano di una Chiesa che ancora non c’è, di una Chiesa che forse verrà se riuscirà a lasciarsi inquietare da questa promessa rivolta alle generazioni più giovani. L’istituzione ecclesiale farebbe bene a prenderle come magistero, come norma intorno a cui costruire il volto nuovo e altro della comunità dei discepoli e delle discepole del Signore.
Una Chiesa inquieta, come Francesco ha chiesto ai giovani di essere, perché «l’inquietudine è il miglior rimedio all’abitudine, a quella normalità piatta che anestetizza l’anima». La tremenda fatica che facciamo a cambiare prospettiva e parametri guida, il rassicurante accoccolarci nell’abitudine che annichila ogni slancio, dicono la distanza della realtà dalla promessa su cui un papa ha impegnato la sua parola.
All’inizio, Francesco ha chiesto ai giovani di essere «contagiato dalla loro gioia» – dovremmo fare in modo che non rimanga auspicio romantico causato dall’infatuazione di un momento. Chesterton, chiudendo il suo libro Ortodossia, scrive: «La gioia è il fragoroso travaglio mediante il quale tutte le cose vivono. (…) La gioia, che godeva di poco favore tra i pagani, è l’immenso segreto del cristiano. (…) C’era qualcosa che Gesù nascose a chiunque quando salì sul monte a pregare. C’era qualcosa che egli nascondeva costantemente con silenzi improvvisi o impetuosa solitudine. C’era dunque una cosa che era troppo grande per Dio da mostrare a noi nei giorni in cui camminò sulla nostra terra. Talvolta ho immaginato e desiderato che fosse la Sua gioia».
Ci sono parole promettenti dette ai giovani che fanno il miracolo di risvegliare anche il cuore del cristiano di lunga data, oramai abituato alle tante contraddizioni e inconsistenze della sua Chiesa che non se ne scandalizza più. Parole che ridestano per un momento anche in noi il desiderio di una Chiesa dalla gioia – perché solo questo può essere il segno concreto di un Dio che cammina e danza sulle strade del nostro mondo.
C’è un errore di fondo nel ragionamento di tanta gente non si considera che tutti i consacrati prima di essere papi, vescovi, sacerdoti etc… erano semplici individui che per libera scelta hanno deciso di intraprendere un percorso. Lo hanno fatto per fede ed in buona fede? Alcuni sì, altri evidentemente no… lo possono testimoniare innanzitutto gli omosessuali, reietti e perseguitati da molti, che in incognito nella Chiesa hanno trovato dignità: cosa hanno combinato alcuni?
…La Chiesa accoglie proprio tutti, per tutti e ciascuno ci sarà un giudizio finale.
Nella Chiesa c’è spazio per tutti, per tutti! Nessuno è inutile, nessuno è superfluo, c’è spazio per tutti. Così come siamo, tutti». Che trionfo dell’ipocrisia gesuitica! C’è spazio per tutti… quelli che la pensano in un certo modo…. c’è spazio per tutti i progressisti, riformisti… c’è spazio per la lobby LGBTQ+, c’è spazio per eretici vari… Non c’è spazio per i tradizionalisti, per chi vuol celebrare la Messa in latino, per chi crede che i sessi siano solo due e che un transfender è un uomo travestito da donna, per chi non vuole che la sua patria sia invasa dai migranti… eccetera. Trionfo dell’ipocrisia della menzogna: in questa Chiesa c’è spazio solo per chi la pensa come Bergoglio!
Riguardo lo spazio da dare a chi desidera celebrare secondo il Messale Tridentino, ci deve essere e a mio avviso Traditionis Custodes è stato un errore. Però non si può non notare che per tantissimi tradizionalisti il Rito Antico sia solo una bandiera ideologica per opporsi a quello che condividono: ci sono fior fiore di trads che frequentano, pur frequentando Messe regolari in piena comunione vomitano odio contro il Papa e i vescovi, dubitano della validità del Novus Ordo, si ritengono superiori al resto dei cattolici etc. Il loro reale interesse verso il rito è scarso, e sono in gran parte privi di una reale conoscenza della liturgia che elogiano in continuazione. Non si stupisce se a un certo punto il vaso è traboccato ed è arrivato il bastone