Ospitiamo due voci sulla riforma della curia romana. La prima di Lorenzo Prezzi, sugli aspetti incompiuti e contradditori del processo che rischiano di compromettere una delle riforme cardine del pontificato di papa Bergoglio. La seconda di Fabrizio Mastrofini, che conosce dall’interno la complessa macchina curiale e suggerisce a papa Francesco una proposta per un cambio di passo e di mentalità nella riforma della curia che il Giubileo potrebbe propiziare.
Curia romana: la riforma a un punto critico
Lorenzo Prezzi
La riforma della Curia è stata una delle preoccupazioni più insistite. Il peso dei ripetuti scandali sia finanziari che mediali (Vatileaks e affini), il giudizio negativo sui troppi italiani nel sistema burocratico, l’irritazione per le cordate che assicuravano carriere non trasparenti hanno accompagnato una serie numerosa di disposizioni. Il «consiglio dei 9» cardinali nasce per questo. Tuttavia nessuno di loro, nonostante l’incarico di riformare la Curia, ha mai lavorato nella Curia romana dall’interno. Chi ha riformato, conosce davvero il funzionamento della «macchina»?
Le cifre divulgate, dicono che esiste un disavanzo tra entrate ed uscite (soprattutto spese per il personale), ma come si fa a colmarlo? E come giustificare consulenze esterne e assunzioni che sono state effettuate nonostante il blocco di queste, decretato nel 2013 e sostanzialmente inapplicato?
In questo senso il Sinodo, che si è inserito nel processo di riforma, nel paragrafo 100 del suo Documento finale (2024) introduce il tema della valutazione delle forme in cui viene esercitata la «ministerialità», a tutti i livelli, come criterio per una gestione trasparente ed efficace. È la prima volta. Il paragrafo 77, sul ruolo dei laici, si esprime – anche qui per la prima volta – a favore di una valorizzazione del personale stipendiato che lavora negli uffici centrali. Sono segnali.
Gli indirizzi strategici della costituzione apostolica Praedicate Evangelium (2022) collocano la Curia sul versante dell’evangelizzazione più che della gestione, sul servizio agile e pronto piuttosto che autoreferente, sulla garanzia di fluidità fra papa e vescovi (conferenze episcopali) piuttosto che filtro ingombrante. E, tuttavia, l’assenza di accurati decreti applicativi ha prodotto una destrutturazione dello strumento e una sua progressiva impotenza. Le costose perizie affidate a esterni e società di consulenza, hanno propiziato una segreteria dell’economia che, di fatto, introduce criteri stringenti di gestione e controllo, tutti uguali sia si tratti di un grande Dicastero o un piccolo ufficio. Senza che i Prefetti abbiano autonomia operativa o decisionale dal punto di vista amministrativo. Prima forse ne avevano troppa, così si è passati a zero, attraverso procedure rigorose di controllo e approvazione delle spese, che di fatto rallentano tutta l’operatività dei Dicasteri. E non è detto razionalizzino davvero le spese.
Da notare, inoltre, che l’impegno sui media ha visto il proliferare degli uffici stampa interni a diversi Dicasteri ed Enti, cui corrisponde la poca capacità del Dicastero per la comunicazione di realizzare un effettivo ed efficace coordinamento. Certo servirebbe personale e, più ancora, servirebbero criteri chiari e soprattutto condivisi e discussi in anticipo. Per di più, il papa ha realizzato un proprio circuito mediale costruito con le oltre 300 interviste concesse che non trova armonizzazione nell’insieme.
In alcuni dicasteri le previste fusioni hanno portato a situazioni complesse di armonizzazione non facile. La mancanza di procedure di verifica e di eventuali correttivi, certo non aiuta. L’indebolimento nei fatti della Segreteria di stato ha tolto coerenza all’insieme favorendo il «ricorso al sovrano» che, alla fine, conferma il blocco del sistema. A tutto questo si aggiungono le contraddittorie decisioni sul Vicariato di Roma, che sembra annaspare. Se il pericolo iniziale era quello di una Curia «corrotta», quello attuale è una Curia poco efficiente e poco utile.
I nodi restano quelli di sempre: sinergia e coordinamento, dialogo all’interno e condivisione degli obiettivi del Pontificato. Ma quali sono gli obiettivi del Pontificato? Papa Francesco ha detto più volte che è prezioso «innescare processi» di cambiamento. Ma una volta innescati, come verificare che procedano per la strada desiderata?
Uno dei nodi irrisolti è sempre il rapporto tra «centro» e «periferia». Adesso è arrivato a un punto di non ritorno: è indispensabile chiarirne il significato e le dinamiche, pena la nullità delle parole-chiave del pontificato: ospedale da campo, Chiesa in uscita. E della Chiesa ci sarebbe sempre più bisogno, in un mondo che brucia per guerre, catastrofi ambientali, aumento della fame, particolarismi divisivi che fanno a pezzi l’idea di fratellanza universale dell’encliclica Fratelli tutti.
Tra «centro» e «periferia». Una proposta per papa Francesco
Fabrizio Mastrofini
Il Giubileo della speranza è iniziato. Bene. Dice il prof. Massimo Cacciari in una breve ma luminosa intervista pubblicata sul Corriere della Sera (24 dicembre 2024, p. 9):
«Se uno giace come morto per strada devi soccorrerlo, se ha fame dargli da mangiare, se è nudo vestirlo. Fine. Se non lo fai, senti di essere venuto meno a una voce che ti chiamava a farlo. Ora non c’è neanche questo. Ci saranno ancora cristiani, resti d’Israele, in qualche monastero o sotto casa mia, ma sono persone, non costituiscono più la nervatura di una comunità. Quelle parole non parlano più in alcun modo nella azione politica, in coloro che formano l’opinione pubblica. La politica fa esattamente l’opposto e non se ne vergogna neanche più. Questo è il salto».
E a proposito delle parole-chiave degli ultimi tre papi, nel contesto delle situazioni politiche del tempo, aggiunge:
«È tragica la figura di Wojtyla che lotta tutta la vita contro l’ateismo comunista e scopre infine che il pericolo viene dal consumismo. È tragico Ratzinger, grande teologo e grande europeo, che vede la scristianizzazione nel centro sacrale della cristianità, Roma, l’Europa, e si dimette perché non dilaghi nella stessa Chiesa. Ed è tragico Francesco che la dà per scontata e parla di periferie: d’accordo, ma come si fa? Che senso ha parlare di periferie se viene meno il centro?».
Ecco il punto e la proposta (sommessa, con deferenza…) da rivolgere a papa Francesco.
Dobbiamo rimettere il centro, al centro, perché sia una vera comunità di intenti, di persone, con finalità chiare nel sostenere il pontificato in corso. Cacciari ha ragione. La Chiesa cattolica, il Vaticano, la Santa Sede, il Papato, devono rimettere sé stessi al centro. In modo intelligente. Non un «centro» che controlla ma un «centro» che stimola, coordina, agisce. Un centro che è comunità e ascolta le comunità. È in fondo l’idea del Sinodo. Avviare, innescare processi di cambiamento. Sì, ma a patto che ci sia una direzione, un «manico» che guida e chiare procedure di verifica e valutazione.
I tre verbi di Lonergan: vedere, giudicare, agire, vanno reinterpretati secondo strumenti moderni. E quali sono?
Papa Francesco ha, avrebbe, nel suo potere, uno strumento formidabile. Ha una Curia, ha personale, ha un’organizzazione. Deve, dovrebbe, valorizzarla, invece di mortificarla. O almeno questa è l’impressione dei dipendenti e del personale. Nei discorsi ai dipendenti prima degli auguri di Natale, ad esempio nel 2014 e nel 2015, il papa li ha ringraziati per il lavoro che svolgono. Ma al di là delle frasi, in che modo, in concreto, si esprime questo apprezzamento?
Papa Francesco cosa pensa dei 4.000 e passa dipendenti? Perché non valorizzarli, mentre le cronache degli ultimi anni mortificano il lavoro, con le progressioni di carriera bloccate, stipendi fermi, valutazioni che ci sono (soprattutto non ci sono) a seconda dei casi. L’Associazione dei Dipendenti Laici, ha documentato, negli ultimi mesi, la difficile situazione sul fronte della gestione del personale.
Così non si fa politica del personale, che invece è la prima e principale risorsa di una struttura che, nelle intenzioni, vuole essere di servizio. E, in una visione sinodale, centro e periferia dovrebbero parlarsi in modo stretto. E non parlarsi solo (forse) tra cardinali e prefetti di Dicastero. Ma parlarsi tra uffici, in modo dinamico e non burocratico.
Così non si gestisce un «centro» che va pensato per sostenere le parole-chiave e il programma del pontificato. La Chiesa in uscita e ospedale da campo è una straordinaria visione del futuro. Ma la regia è indispensabile, più ancora della visione del futuro.
Nel 2022, parlando agli studenti africani, il papa dettò il suo quinto principio: l’organizzazione vince il tempo. Dura di più. (Gli altri princìpi sono: il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alla parte). Ecco. L’organizzazione vince il tempo. Ma non lo fa da sola, per ispirazione dall’alto. Lo fa secondo regole, procedure, prassi, verifiche, che iniziano e proseguono con le persone al lavoro. Utilizzando il personale stipendiato. E le persone che lavorano vanno indirizzate, ascoltate, motivate.
In concreto, caro papa Francesco: stop alle troppe consulenze che fanno perdere soldi. Sì a procedure di verifica. Valorizzazione nei fatti, non a parole, dei sacerdoti al lavoro in curia e soprattutto dei laici e delle laiche (oltre alle religiose…). Non inviare lettere sulla non sostenibilità del sistema pensionistico, perché si gettano i dipendenti nella paura del futuro. E invece insieme a loro andrebbero trovate le soluzioni.
Perché in tanti casi, sono le persone al lavoro che sanno cosa sarebbe importante cambiare. Non i consulenti piovuti dall’alto. Sono i 4.000 e passa dipendenti della curia la risorsa più forte ed efficace del «centro» per la «periferia», per sostenere la Chiesa in uscita, in un grande impegno di corresponsabilità e mai più di controllo. Il «centro» deve funzionare. Altrimenti, tutto il resto corre il rischio di diventare uno slogan vuoto. Serve un cambio di passo e di mentalità e il Giubileo è il momento opportuno.
Fatte le critiche di cui si ritiene veduta la ragione, è bene consegnarle in primis alla medesima interfaccia cui si destinano, che ne è anche la chiave di volta, per la riflessione, la verifica e quant’altro; cioè a tutte le [migliaia] di elementi che sono interessati. Senz’altro in molta parte burocrazia, forse carente o da emendare (rimodulare?) con spirito innovativo e, manco a dirlo, sinodale. Ma voler mettere in ridicolo, con un fuoco incrociato di scene e lessico da avanspettacolo, chi per il rinnovamento ha cercato di impiantare qualche rampa di lancio, faustamente evitando, mi pare, di affrettarsi a vantare le proprie vesti di ‘uomo solo al comando’, significa precisamente promuovere il contrario dello sguardo ecclesiale e collaborativi che è stato (da tempo) richiesto, e a fini dichiaratamente edificanti.
Mi colpisce che in tutte le analisi non venga mai citato Nostro Signore. Credo che recuperare il Fondatore sia il primo passo per affrontare le cause profonde della crisi. Un ritiro spirituale profondo per i lavoratori di Curia, dai cardinali agli uscieri

…, è improponibile?
Non credo sia improponibile caro Paolo. Ma il termine “proposta” appartiene al mondo delle “procedure” ovvero di cio’ che viene disposto. La “spiritualita’” attiene un fremito irriducibile dell’anima. Un istinto ultra umano che attira verso la sfera dell’inconoscibile e verso l’annullamento totale dell’io cosciente. Dalle parti del Vaticano si tende a far aumentare le entrate e diminuire le uscite oppure ad omologare il liquid gender per esaltarsi nei gay pride e spassarsela alla grande. Nella curia meglio meno italiani e piu’ esterofili in modo tale che si include meglio e si accoglie la qualunque. Si gozzoviglia nei sacri corridoi brindando al 5 permille dei gonzi italiani e….. finche’ dura fa verdura! Altro cge ritiri spirituali
Veramente, ritiri spirituali se ne fanno in Curia, per tutti, laici e sacerdoti. Risolvono qualcosa? Non mi sembra. Non è questo lo strumento. Recuperare il Fondatore NON è il primo passo, perché il Fondatore alla fine ognuno lo tira dalla parte che vuole. Lasciamolo in santa pace. Il Vangelo non parla delle condizioni di lavoro della Curia romana o delle aziende o delle scuole italiane… Le situazioni vanno affrontate, utilizzando quanto diceva Karl Barth, con il Vangelo in una mano e il giornale dall’altra: cioè attualizzando nei tempi di oggi e usando gli strumenti propri e così a messa ci si va la domenica e nelle feste comandate e quando si va in ufficio ci si impegna seriamente risolvendo i problemi. Quando si lavora, è compito di una gestione responsabile coinvolgere, dialogare, verificare. Inserire elementi ‘ideologici’ (ritiri spirituali o altro) alimenta quei problemi che si vorrebbe risolvere. Ho in mente una messa in un ufficio di Curia (in orario di lavoro, peraltro, interessante commistione…) in cui il celebrante invita a ‘offrire al Signore il lavoro che svolgiamo’. Bello. Toccante, anche. Ma che c’entra ‘con il lavoro che svolgiamo’? E’ lavoro, deve seguire procedure e verifiche. Altrimenti in questi termini è paternalismo. Detto altrimenti: nella tua parrocchia, don Paolo Andrea, qualche decisione pratica e pastorale del parroco si può discutere e modificare oppure, anche se non ci piace, preghiamo e la accettiamo a scatola chiusa e poi parliamo alle spalle? Purtroppo c’è molta strada da fare per scrostarci dal paternalismo spirituale. Vedere le pagine finali di “Fede Malata” (Alpes Editore, 2025).
Certo che da un Papa che sceglie di chiamarsi “Francesco” mi aspettavo altro. Curia, strutture, centro, periferia, bilancio entrate-uscite, tragedie varie di Papi impotenti e praticamente acefali cosa hanno a che spartire con San Francesco. Comunque anche l’argentino stiamo per archiviarlo: cosa fatta capo A, visto che di Papi pare che non se ne puo’ fare a meno.
Condivido pienamente i due interventi: chiari, puntuali, rispettosi… grazie! Antonio Bollin
A me pare che la riforma della Curia sia un po’ zoppa (https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2022/03/praedicate-evangelium.html). Anche perché con le diverse lettere ai cardinali sul bilancio zero del Vaticano fa emergere un quadro non del tutto roseo delle finanze vaticane e quindi dove è la riforma economica?
Meritava questa riflessione da parte di due esperti. Complimenti. Francesco Strazzari