1. Karl von Klausewitz (1780-1831), generale prussiano che nel suo trattato Della Guerra – nel lontano 1996 ricevetti in dono il volume – ha scritto sui diversi risvolti di quella che, oltre ad essere una tragedia, è da alcuni ritenuta un’arte, meritandosi una promozione sul campo da Lenin che lo definì «uno dei filosofi e storici della guerra più notevoli, uno scrittore le cui idee sono incontestabili», Klausewitz dunque in qualcuna delle più di 800 pagine del suo scritto deve avere fatto cenno alla stagionalità delle campagne nelle guerre guerreggiate. Mi è tornato in mente per il verificarsi stagionale di battaglie verbali che, da quando papa Francesco è succeduto a Benedetto XVI, scandiscono le vicende ecclesiali di questo secondo decennio del ventunesimo secolo.
Sulla stagionalità di guerre e battaglie, prima di von Klausewitz, il II libro di Samuele annotava «al tempo in cui i re sogliono andare in guerra» (8,1), intendendo la primavera. Nel caso di cui parleremo il tempo di guerre ecclesiastiche oltre alla primavera annovera anche l’autunno. Dapprima furono scaramucce di poco o nessun conto, roba di vestiario, insegne e paramenti (non c’entra però la corporazione dei sarti ma solo la consorteria del clero e non necessariamente quello anziano…), poi si trattò dell’abolizione di datati ritualismi e forme altisonanti di interloquire o nominare i dignitari ecclesiastici, sopravvissuta persino a indicazioni e testi perentori di Paolo VI: uno tra tutti Pontificalia insignia (1968) criticato da alcuni quasi fosse stato una dissacrazione dagli esiti nefasti.
2. Fu poi la volta poi della vicenda (autunnale) dei “Dubia” di una cellula cardinalizia conservatrice in conflitto con Amoris laetitia (“AL”) (cardd. Brandmüller, Burke, Caffarra e Meisner) che, senza attaccare direttamente il papa, se la prese con «teologi e studiosi» le cui interpretazioni «non solo divergenti, ma anche contrastanti, soprattutto in merito al cap. VIII» di “AL” dalla dottrina tradizionale, complice la risonanza data da certa stampa, aveva provocato «incertezza, confusione e smarrimento», costringendo i quattro eminentissimi a farsi voce di vescovi, presbiteri e fedeli per la «corretta interpretazione da dare al cap. VIII » di “AL”.
Questione di coscienza, scrissero, coerenza con la sinodalità che il papa esortava a «mettere sempre più in atto». Tutto con profondo rispetto, per quanto con tono perentorio, nei confronti del papa richiesto «quale supremo Maestro della fede chiamato dal Risorto a confermare i suoi fratelli…, di dirimere le incertezze e fare chiarezza, dando benevolmente risposta ai “Dubia”» dei detti. Era il 19 settembre 2016, l’estate cedeva all’autunno e fu poi ad autunno avanzato (novembre) che i quattro sollecitarono infine una risposta che tardava a venire, more solito (sì o no), confortandola magari con riferimenti alla loro «Nota esplicativa».
3. La strada era aperta. Ecco allora prima una Correctio filialis de haeresibus propagatis (Correzione filiale in ragione della propagazione di eresie, 16.07.2017: piena estate), testo di 25 pagine firmato da sacerdoti e studiosi, che attribuiva al papa di avere in “AL”, nonché con parole, atti e omissioni che rimandavano ad essa, sostenuto ben sette posizioni eretiche relative a matrimonio, vita morale, recezione dei sacramenti, causandone la diffusione nella Chiesa. Quel testo era stato preceduto da una “Dichiarazione di fedeltà all’insegnamento immutabile della Chiesa sul matrimonio e alla sua ininterrotta disciplina” (27.9.2016: autunno avviato). Anche in essa si elencavano errori circa il vero matrimonio e la famiglia, scaturiti o diffusi dopo i Sinodi straordinario e ordinario sulla famiglia e la pubblicazione di “AL”.
In tre parti, la Correctio giustificava prima l’iniziativa di correggere il papa come chiede di fare la legge della Chiesa ai competenti se i pastori disorientano il gregge. Nessun timore di conflitto dogmatico con l’infallibilità, in gioco solo se e quando il papa si attenga a criteri precisi perché le sue affermazioni siano considerate infallibili. Cosa che non è avvenuta.
Nella seconda parte, sempre in riferimento ad “AL” si redigeva una lista di passi insinuanti o incoraggianti posizioni eretiche, nonché una lista di parole, atti e omissioni da cui si sarebbe evinto che il papa desiderava che quelli fossero intesi dai cattolici in modo eretico. Direttamente o indirettamente, il papa avrebbe permesso che si credessero cose in contrasto con la fede cattolica e, nel suo procedere, la Correctio extrapolava passi di “AL” dai rispettivi contesti, faceva spazio a illazioni e induzioni alle quali si può applicare l’annotazione manzoniana «A giudicare per induzione e senza la necessaria congiunzione dei fatti, si fa alle volte gran torto anche ai birbanti».
Nella “Delucidazione” finale si chiariva che la crisi prodottasi rimanderebbe al Modernismo condannato all’inizio del XX secolo e riemerso poi a metà dello stesso con grande confusione nella Chiesa, per rimediare alla quale i firmatari della Correctio chiarivano il significato di “fede”, “eresia”, “rivelazione” e “magistero”. Al Modernismo si affiancava l’influsso delle idee di Lutero su matrimonio, divorzio, perdono e legge divina, corrispondenti a quelle di papa Francesco, che le idee luterane avrebbe promosso con parole, atti, omissioni nonché con lodi senza precedenti per il Riformatore. Senza esprimere un giudizio sul grado di consapevolezza con il quale Francesco avrebbe propagato dette eresie, si insisteva tuttavia su una sorta di emenda: condanni il papa le eresie sostenute direttamente o indirettamente.
4. Una cosa inquieta invece nella recente Lettera aperta ai vescovi della Chiesa cattolica con la quale “illustri” studiosi laici ed ecclesiastici hanno inaugurato il mese di maggio 2019: nessuna nuova eresia sottolineata ma abbondanza di aggettivi qualificativi/squalificativi nonché espressioni nelle quali delitto, crimine, eresia, peccato sono usati con indifferenza poco consona, absit iniuria verbis, al rango degli “studiosi” firmatari della stessa. Ma, diciamolo subito, non pare che tra i nomi dei firmatari vi siano eccellenze accademiche che costringano anche solo a interrogarsi. L’incedere dello scritto con iniziale deriva scolastica a chiarimento dei termini ai destinatari che, essendo eminenze, beatitudini, eccellenze… cosa sia un’eresia dovrebbero averlo appreso a suo tempo, così come a quali condizioni un soggetto commetta il “delitto canonico” di eresia (cf. CIC, cann. 747 ss.). Le stesse eminenze, beatitudini ed eccellenze avranno poi difficoltà ad accodarsi ai firmatari della Lettera che già nella breve introduzione concludono che «papa Francesco è colpevole del crimine di eresia…» perpetrato quando un cattolico nega una verità insegnata dalla Chiesa come rivelata.
In breve, agli interessati (eminenze, beatitudini…) viene detto che parole e azioni di Francesco concretano una ripulsa globale dell’insegnamento cattolico su matrimonio, rapporti sessuali, legge morale, grazia e perdono dei peccati…
Verrebbe da dirsi che dobbiamo essere stati tutti distratti per farci sfuggire quanto accadeva nella Chiesa, nonostante “Dubia”, “Dichiarazione di fedeltà…” e “Correctio…”. Va da sé che i destinatari della Lettera aperta, così come chi non è del tutto digiuno di teologia e insegnamento, senza illudersi di essere teologo o studioso, si renderanno conto che la Lettera mira a mostrare «il nesso esistente fra la reiezione della dottrina cattolica e il favore accordato da papa Francesco a una ampia categoria» di soggetti di cui si fa elencazione estesa nel paragrafo “Elenco di azioni papali indicanti adesione alle eresie sopra menzionate”, titolo che rimanda a “Prove del fatto che papa Francesco è colpevole del delitto di eresia”, distinte in Dichiarazioni pubbliche che contraddicono verità di fede e in Atti pubblici che dimostrano il rifiuto di verità di fede.
5. La paternità della Lettera rimanda a un per ora ristretto gruppo di soggetti, alcuni emeriti o pensionati dell’insegnamento, forse noti in certi contesti, ma non manca qualche docente attivo, qualche religioso, una già studentessa da cui però ha tempestivamente preso le distanze l’Università che essa cita impropriamente, nessun nome di spicco. La Lettera, diretta non all’interessato ma all’episcopato, si pretende “petizione” perché esso convenga sulla necessità di processare il papa per eresia. In tal modo essa a sua volta sapit haeresim, rasenta il conciliarismo di fatto subordinando il papa ai vescovi immaginati in un improbabile congresso/sinodo/concilio in veste di giudice al di sopra del papa e affidatario di una non meglio definita suprema potestà ecclesiastica.
Non diremo che la cosa non fosse ancora accaduta. Accadde a Onorio I (625-638) per avere appoggiato la formulazione cristologica monotelita dell’imperatore Eraclio e raggiunto da anatema post mortem con altri monoteliti (Costantinopolitano III e conferma di Leone II). Non sfugga la diversità della materia del contendere: non questioni pastorali in gioco, ma il monotelismo che affermava l’esistenza in Cristo di un’unica volontà, operatività o energia (monoenergismo), eresia che fu in seguito pretesto per l’opporsi al dogma dell’infallibilità da parte di alcuni presuli al Vaticano I.
Nemmeno diremo che le accuse a Francesco siano nuove od originali. Congruenza a parte e senza entrare nel merito della nessuna sostanza delle accuse, non sfugga nella sua banalità presuntuosa lo stagionale mettere sotto la lente, in modo preconcetto e malevolo, il magistero papale da parte di teocon integralisti e conservatori, la cui competenza suscita qualche dubbio. I firmatari, con le loro accuse circa l’inconciliabilità dell’insegnamento di Francesco con la morale cattolica, con fatti non meno che parole e azioni (avere ricevuto l’uno o l’altro, avere promosso o incaricato personaggi a loro volta in odore di eresia o che avrebbero agito contro la morale cattolica, pedofilia attiva compresa o mancato/rimandato contrasto/ sanzione di essa), procedono in modo confuso.
A sostegno delle accuse rimandano a passi di “AL” a sua volta non allineata alla dottrina tradizionale, benché si radichi in due Sinodi dei vescovi, vescovi ora richiesti di giudicare/condannare per eresia l’estensore della stessa. Non sfugga la singolare concezione di autorità e magistero papale, nonché dell’autorità e magistero del collegio episcopale che, sia detto per transennam, non esiste senza il papa (cf. CIC, can. 336).
Disciplinari, nella loro gravità morale, alcune imputazioni a questo o quel prelato indicato per nome non si capisce perché potrebbero consentire di risalire a un’eresia di Francesco. Solo perché non li ha affidati alla Gendarmeria vaticana o alla Guardia svizzera? perché non li ha messi a marcire nelle segrete del Santo Ufficio? perché non li ha tosto rimossi magari rispettando prudenza e norme di procedura penale?
Tutti presi da delirio di onnipotenza ortodossa, condita di giuridismo alla buona, costoro non devono avere ancora percepito come, con altri più illustri predecessori, si stiano rendendo responsabili del diffondersi di un senso di noia tra la gente normale, meno incline a dedicare tempo a beghe ecclesiastiche di lobby nostalgiche e conservatrici.
6. Quando accusano il papa del “delitto canonico di eresia” e sollecitano i vescovi ad agire in conseguenza per contrastare «danni causati ormai da diversi anni» dalle sue parole e azioni, chiarendo ai vescovi in che esso delitto consista e come si qualifichi, sembrano non essere sfiorati dal dubbio di risultare ridicoli. Stessa cosa si dica della banalità di alcune loro precisazioni quando si dicono consapevoli della gravità delle loro accuse tuttavia documentate con quelle che ritengono solide prove verificate. Quanto all’eresia papale, l’accusa non è mossa per ogni volta che è sembrato avere il papa pubblicamente contraddetto una verità di fede, bensì quando ha pubblicamente negato verità della fede o agito in modo da confermare di non credere in esse.
È allora normale chiedersi cosa pensano di ridimensionare nel loro impianto accusatorio dicendo di non affermare che «abbia negato verità della fede in dichiarazioni che soddisfano le condizioni necessarie per essere considerate un insegnamento papale infallibile» e cosa intendono aggiungendo che «ciò sarebbe impossibile, giacché sarebbe inconciliabile con la guida fornita alla Chiesa dallo Spirito Santo…», mentre negano «che qualsiasi persona ragionevole possa anche lontanamente pensare che questo sia accaduto» ma solo perché «papa Francesco non ha mai fatto una sola dichiarazione che soddisfi le condizioni necessarie per l’infallibilità». Insomma la sensazione che si stiano incartando, anzi accartocciando, nelle loro precisazioni è giustificata.
7. Abbiamo dedicato già troppo tempo alla Lettera, senza avere ancora detto che la prova addotta a conforto dell’accusa di eresia si potrà riprendere al punto A) “Le dichiarazioni pubbliche di papa Francesco che contraddicono verità della fede” (AL 295; 298; 299; 301; 303; 304; più un testo sul discernimento nell’applicazione di AL dei vescovi della Regione pastorale di Buenos Aires; un testo su molte coppie conviventi in un Congresso pastorale della diocesi romana; testo di una conferenza stampa con valutazioni su Lutero, inclusa la presa di distanza sul suo metodo; omelia nella Cattedrale svedese di Lund sul sentire di Lutero; firma pubblica con Gran Imam di Al Azhar del “Documento sulla fraternità umana”).
Quanto poi a B) “Atti pubblici di papa Francesco che dimostrano il suo rifiuto di verità di fede”, la Lettera produce azioni non verbali comprovanti l’eresia, sostenendo che tali azioni rivelerebbero in Francesco fede nelle eresie elencate in una lista sommaria che «non pretende di essere esauriente, né deve esserlo…», perché prese insieme alle dichiarazioni e tenendo conto del loro numero e gravità, sarebbero sufficienti a «provare oltre ogni ragionevole dubbio che papa Francesco ha manifestato pubblicamente di credere nelle eresie» di cui è accusato.
C’è di tutto in queste imputazioni e ce n’è per tanti poi nell’“Elenco di azioni papali indicanti adesione alle eresie sopra menzionate”, metodo e discorso lungi dal convincere infastidiscono per incongruenza e qualche banalità. Insistiti i riferimenti a “La promozione della ricezione dell’Eucaristia da parte dei divorziati risposati” con rimandi a testi e iniziative varie, interventi e forzature durante la stesura della Relatio post disceptationem al Sinodo sulla Famiglia (suggerimento ad agire in proposito “giudicando caso per caso”), richiamo ai pastori di enfatizzare gli “aspetti positivi” di stili di vita considerati dalla Chiesa gravemente peccaminosi (secondo matrimonio dopo il divorzio, coabitazione prematrimoniale).
Tra le “Altre indicazioni” relative a presunte mende e pecche di Francesco a partire dal 2014 le citazioni creano qualche sconforto intellettuale (visita di leader omosessuali, benedizione delle foglie di coca, mancato intervento pro campagne popolari contro legalizzazione di aborto e omosessualità, utilizzo alla messa di apertura del Sinodo sulla gioventù del 2018 di un pastorale a forma biforcuta e, sempre nello stesso Sinodo, di una croce sghemba coi colori dell’arcobaleno simbolo della promozione omosessuale, accordo con la Cina per la scelta dei vescovi, rifiuto negare che “AL” insegni varie eresie come riassunto nei Dubia dei quattro cardinali). Anche queste ed altre cose per i firmatari della Lettera denoterebbero C) l’adesione pertinace di papa Francesco alle proposizioni eretiche, dato che non poteva non sapere e non conoscere le questioni, lui che, a suo tempo, ha studiato e insegnato, letto e usato nei suoi scritti e discorsi da vescovo Familiaris consortio e Veritatis splendor e che per giunta, a suo tempo, ha ricevuto chiarimenti opportuni in Correzione filiale oltre che nei “Dubia”.
8. Rebus sic stantibus, ai vescovi, padri spirituali vicari di Cristo nelle rispettive giurisdizioni, non del romano pontefice, si chiede di ammonirlo pubblicamente e ingiungergli di abiurare alle eresie professate e di cui, anche a prescindere dalla sua adesione personale a quelle menzionate, egli è accusato e che deve ora rinnegare e ripudiare siano parole o fatti, comprese le nomine di vescovi e cardinali prodotte nel tempo. Che se l’ammonizione fosse infruttuosa e in lui non maturasse pentimento sincero, ai vescovi è chiesto di adempiere al dovere d’ufficio di dichiarare che «ha commesso il delitto canonico di eresia» e pertanto «deve subire le conseguenze previste dal Diritto della Chiesa».
….et Deus et reliqua si sarebbe concluso nell’antico linguaggio curiale. Ma questo testo, nato evidentemente altrove, in contesti della conservazione magari nordamericana con anche frange europee e romane, non deve conoscere l’espressione.
9. Si potrebbe aggiungere che anche in questo testo ci sono diverse approssimazioni, che l’uso delle virgolette è in qualche modo a tesi e accomodato, che le approssimazioni metodologiche non mancano, che la lettura in chiave canonistico-legalista delle indicazioni pastorali di “AL” che la Lettera manifesta, fa torto alla verità del testo e all’intelligenza dei destinatari che si presume sappiano della natura pastorale di “AL”. Aggiungiamo che la concezione ecclesiologica della Lettera, come quella di testi che l’anno preceduta, rivela una Chiesa dall’anima fatta di norme e giudizi. È allora legittimo commentare che questi e altri autori non devono essere stati sfiorati dall’idea che «la misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio» (AL, 311) e, ancora, dal senso di «Misericordia io voglio e non sacrifici» (Mt 9,13; cf. Udienza generale, 13,04.2016).
Non entriamo nel merito di onestà intellettuale e competenza teologica che si esigono in questi testi, ma aggiungiamo che quest’ultimo, se non fosse il termine poco elegante, evoca il vago procedere di un pasticciato zibaldone con nessuna credibilità e rilevanza, nonostante la pomposità del fraseggio.
Quanto all’accusa di eresia prodotta da costoro (non luminari del diritto e della teologia) disturba senza fare problema, disturba perché si aggiunge buon’ultima ad annoiare. Non ci pare possa fare problema a Francesco che in altra occasione disse di essere dispiaciuto di fronte a certa malevolenza ma di non pensarci più di tanto per questioni di salute mentale.
Non vogliamo qui concludere chiedendo se, quando gli estensori della Lettera studiarono, non si sono mai imbattuti in un dato della procedura penale anche canonica: l’eresia non è un punto di partenza ma una conclusione, per giunta non tocca a teologi e studiosi dichiararla ma al magistero. Qui le cose sono capovolte.
Inoltre, a livello di metodo, non è fuori luogo ricordare che, magistero ordinario, “AL” va accolta come tale, cioè di carattere pastorale, senza leggerla in chiave normativa rigida, prescindendo dal momento storico della Chiesa. Quanto poi alla pastorale, si dovrebbe sapere che include sì la teologia e persino il diritto, ma non può ridursi a teologia e diritto. Piuttosto si faccia spazio a quella dimensione “economica” (da oikonomia) che non è intellettualismo deduttivo dai principi che, peraltro, nessuno mette in discussione. Non certo il papa.
Articolo bello e prezioso, grazie.