La vociante folla di Milano raccolta attorno al capopopolo Matteo Salvini (19 maggio) ha confermato le posizioni del leader della Lega con ripetuti fischi e ululati contro papa Francesco. Liberi fischi in libera piazza.
Ma un minimo di memoria storica avrebbe spento i petti gonfi di entusiasmo. Nel 1917 sulle piazze francesi e tedesche (e italiane) si irrideva alla lettera di Benedetto XV ai capi dei popoli belligeranti qualificando la guerra come «inutile strage» e «suicidio dell’Europa». Si gridava contro il pape-boche (papa crucco) e der französische Papst (papa parigino).
Nel 1938 le folle romane inneggiavano al Führer e al duce. Papa Pio XI commentava: «tristi cose, molto tristi, e da lontano e da vicino a noi; molto tristi cose; come il fatto di inalberare a Roma le insegne di un’altra croce, che non è la croce di Cristo». Sappiamo il seguito.
Nel 1983 a Managua il papa Giovanni Paolo II fu fischiato dalla folla per le sue critiche al potere rivoluzionario. Pur dando per scontato la scarsa comprensione di Wojtyla per il socialismo latino-americano e le sue ragioni, quel dissenso mostrò il filone ideologico e settario che avrebbe svuotato dall’interno l’utopia rivoluzionaria.
Il rosario esibito come un trofeo in piazza duomo a Milano non è certo quello di Maria, Madre della Chiesa, ma ha trovato consenso negli ululati. Dando consistenza all’invito di uno dei burattinai di questa stagione, il consigliere trumpiano e salviniano Steve Bannon, che in una intervista a The Spectator (dicembre 2018) invitava i populisti al disprezzo per papa Francesco.
I fischi svuotano i polmoni. Talora anche i cervelli e i cuori.