Il 13 marzo, allo scadere dei dieci anni di pontificato, a poche settimane dalla morte di Benedetto XVI (31 dicembre 2022), sono apparsi in libreria una dozzina di testi relativi al magistero e al governo di Francesco. Diversi per approccio (testo o intervista), ma soprattutto per ottica. Le polarità più consuete sono: liberale/conservatore; amici/nemici; riformatore/controriformista; punti discussi/conferme; compreso/incompreso; narrato/giudicato; teologo/pastore…
Oltre la cristianità
Lo storico Daniele Menozzi ha scelta un’altra strada: la prospettiva storica, ossia la sua collocazione su una linea di lunga durata e con criteri non determinati dal dibattito immediato: Il papato di Francesco in prospettiva storica (Morcelliana, Brescia 2023).
Il cambiamento più significativo prodotto da papa Bergoglio è legato all’evangelizzazione, a come la Chiesa si rapporta alla storia contemporanea.
I punti decisivi di riferimento non sono tanto il deposito dottrinale e la legge naturale, intesa come patrimonio valoriale comune interpretato dalla Chiesa, quanto piuttosto la fonte evangelica e l’attenzione ai “segni dei tempi”, agli elementi della vicenda storica che mostrano un bene morale coerente con il Vangelo.
Nel primo caso, si tratta di adattare la dottrina alle nuove sfide; nel secondo caso, si parte dalle sfide interpellando il Vangelo e modellando coerentemente insegnamento e prassi. Ambedue sono vie che trovano radici nei testi conciliari, ma la prima (il riferimento è a Maritain) è stata quella prevalente nel magistero papale e coerentemente sostenuta sia da Giovanni Paolo II come da papa Ratzinger, in un crescente divario con la cultura civile, almeno occidentale.
La seconda è altrettanto legata alla tradizione, ma privilegiando il Vangelo colloca il tema etico in un ruolo secondo, ma non secondario. È più importante la coerenza con il Vangelo e il suo messaggio di misericordia, rispetto ai “valori non negoziabili”, alle richieste ultimative ai legislatori.
Nel primo caso, la Chiesa rimane “altra” rispetto al mondo. Nel secondo caso, la Chiesa, anche se ferita e minoritaria, partecipa col suo patrimonio evangelico alla comune ricerca dei popoli e delle società.
Le dimissioni di papa Benedetto sono emblematiche dell’impasse della prima ipotesi. La scelta di Francesco sarà in grado, com’è insito anche nella scelta del processo sinodale, di produrre una maggiore diffusione del Vangelo?
A partire dal concilio
«Francesco avanza una proposta di riforma ecclesiale che parte da una precisa consapevolezza: è irrimediabilmente tramontato il progetto di tornare a un regime di cristianità in precedenza perseguito, sia pure in modi diversi, dall’autorità ecclesiastica. In questa situazione tocca a tutti i battezzati – laici e pastori insieme – individuare le modalità di nuovo annuncio del vangelo, la cui intelligenza, legata ai segni dei tempi, trova oggi una fondamentale cifra interpretativa nella figura fraterna e misericordiosa del buon samaritano» (p. 15).
Francesco è figlio del concilio non meno dei suoi predecessori ma «agisce su una linea di apertura ai contemporanei caratterizzata dal criterio di una rilettura del Vangelo alla luce dei tempi». Nei testi conciliari è presente anche «una prospettiva di aggiornamento della dottrina cattolica basata sull’inquadramento al suo interno di alcuni principi e valori della modernità» (p. 21). Rincorrere il magistero del pontefice su singoli punti, pur rilevanti, minaccia di oscurare l’orientamento di fondo che certo non è da tutti accettato, ma rispetto al quale si può argomentare un giudizio meno provvisorio.
Sinodalità e segni dei tempi
È l’efficacia e la plausibilità dell’annuncio che regge il riconoscimento del discernimento alle Chiese locali e lo sviluppo della collegialità (Evangelii gaudium n. 16) anche se alle conferenze episcopali non è stata ancora riconosciuta un’autorità dottrinale.
Sulla stessa linea si colloca l’avviato processo sinodale finalizzato al consapevole protagonismo di ogni battezzato. Il ruolo e l’autorità del magistero non nascono dalla distanza rispetto ai fedeli, ma dalla comunione interna e dalla permeabilità rispetto alle società di appartenenza. Il sinodo sulla sinodalità (non sviluppato nel testo che si ferma a febbraio 2022) è coerente svolgimento della collegialità conciliare, a sua volta completamento del servizio petrino del Vaticano I.
Alcuni titoli dei 13 capitoli possono indicare gli ambiti di interesse nel pontificato: la spiritualità; Laudato si’ e la questione ambientale; popolo e populismo; clericalismo; islam e crociata…
Accenno sono a tre: i segni dei tempi, pedofili nella Chiesa, la “guerra giusta”.
Il lemma “segni dei tempi” è relativamente recente. Entra nel ’900 nel linguaggio cattolico a segnalare l’insufficienza di una narrazione storica schiacciata sullo sviluppo della tecnica e dell’economia. Con papa Giovanni acquisisce il significato oggi comune: valori che emergono nella cultura contemporanea in linea con l’ispirazione evangelica (la pace, la famiglia umana, il ruolo della donna…).
«Il ricorso a questa categoria implica che la Chiesa si mette in grado di comunicare il suo messaggio di salvezza agli uomini moderni non solo nella misura in cui è capace di cogliere i tratti salienti di quanto accade nel mondo, ma anche, anzi soprattutto, nella misura in cui è capace di rivedere l’interpretazione data fino a quel momento del Vangelo» (p. 90).
Non è solo un’opportunità. È un dovere. Per Francesco, «si tratta di attivare un processo di induzione che, dall’incessante divenire delle vicende umane, tragga quella diversa e migliore intelligenza del Vangelo che permette di comunicarlo in forma corrispondente ai bisogni degli uomini di oggi» (p. 97).
La pedofilia e la guerra
Assistiamo negli ultimi decenni a un cambiamento profondo nella società civile relativamente al giudizio sulla pedofilia. Non è un reato contro la morale, ma contro la persona. Sul versante ecclesiale, il passaggio è fra il sesto (non fornicare) e il quinto comandamento (non uccidere).
La dissimmetria dei tempi fra cambiamento culturale e coscienza ecclesiale ha favorito l’esplosione del grave scandalo degli abusi dei preti e del personale ecclesiastico.
Le numerose disposizioni, norme e condanne da parte della Chiesa, compresa la denuncia del clericalismo, non arrivano a coincidere con il paradigma vittimario ormai culturalmente prevalente: un crimine che non ammette possibilità di redenzione. Un ritardo da superare? O l’impossibilità, da parte della Chiesa, di accettare un crimine imperdonabile?
Per superare l’impasse Menozzi sottolinea sia la coerenza della nuova normativa sia il senso di vergogna collettiva che gli abusi provocano nella Chiesa, elemento che impedisce di tornare allo schema puramente morale.
Assai intrigante il tema della «guerra santa, guerra giusta, non violenza». In questo caso Francesco eredita il rifiuto della «guerra santa» e della rimozione di ogni giustificazione religiosa alla violenza (Assisi 1986), come anche la consunzione progressiva dei criteri per giustificare la guerra (difesa, legittima autorità, proporzionalità…) davanti alla minaccia nucleare. Egli spinge risolutamente per l’assoluta prescrizione della guerra, costretto tuttavia dall’invasione russa all’Ucraina a venire a patti con la tradizione della “guerra giusta”, in un difficile equilibrio fra denuncia dell’aggressore e mantenimento delle possibilità di dialogo.
L’ipotesi, variamente enunciata da Francesco, per una “non violenza attiva” si scontra con il ritardo delle società civili davanti alla prevaricazione del potente. E illumina il paradosso delle confessioni cristiane: da un lato, l’Ortodossia russa che torna a giustificare la “guerra santa”; dall’altro, il magistero di Francesco che, tendenzialmente, delegittima ogni guerra. Una contraddizione che evidenzia il lungo cammino da percorrere.