In modo del tutto casuale, per la iniziativa di una cara amica, sono tornato su un testo di Gaudete et exultate e mi pare di avere scoperto una “fonte” di ispirazione di Francesco, legata alla sua cultura argentina e alle sue passioni più originarie. D’altra parte non bisogna dimenticare che, da giovane, il futuro papa aveva insegnato per due anni “letteratura spagnola” (cf. quanto riferisce Giacomo Giambassi nel suo testo da me pubblicato anni fa) nel Collegio gesuita di Santa Fé de la Vera Crux. Di quella esperienza non si è più spogliato, l’ha portata sempre con sé.
Si dà il caso, dunque, che questa amica, che stava elaborando un testo sulla santità, mi abbia passato il suo scritto, per un consiglio: in quel documento citava questo passo sorprendente, dedicato da Francesco alla “santità del quotidiano”; a tale brano, nella mia prima lettura del documento, non avevo riservato grande attenzione, immerso come è nei tanti numeri dell’esortazione papale. Ora, proprio perché in questo caso il passo veniva citato da solo, isolato, l’ho guardato con un altro occhio e ho scoperto una cosa che mi ha assai rallegrato. Lo riporto subito qui sotto, così come l’ho visto:
144. Ricordiamo come Gesù invitava i suoi discepoli a fare attenzione ai particolari.
Il piccolo particolare che si stava esaurendo il vino in una festa.
Il piccolo particolare che mancava una pecora.
Il piccolo particolare della vedova che offrì le sue due monetine.
Il piccolo particolare di avere olio di riserva per le lampade se lo sposo ritarda.
Il piccolo particolare di chiedere ai discepoli di vedere quanti pani avevano.
Il piccolo particolare di avere un fuocherello pronto e del pesce sulla griglia mentre aspettava i discepoli all’alba.
145. La comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri e costituiscono uno spazio aperto ed evangelizzatore, è luogo della presenza del Risorto che la va santificando secondo il progetto del Padre.
Sono rimasto colpito, subito, dalla “arditezza” dell’elencazione. Il criterio con cui vengono messi insieme episodi tanto diversi della narrazione evangelica appare sorprendente, “stravagante”, eccentrico, vertiginoso, ma dotato di una efficacia rara, che si impone e che convince: è una stravaganza persuasiva, un’originalità forte, ma spiritualmente e teologicamente capace di dischiudere uno sguardo nuovo sui testi e sulle esistenze. Certo, il papa, in tutto questo, sa attingere alla grande tradizione sapienziale della Chiesa, alla spiritualità ignaziana, ai padri del deserto, ai monaci del medioevo, ai santi moderni. Ma c’è, io credo, una fonte nascosta, una parola più segreta e più incisiva, che lo ispira per le audaci scelte linguistiche e per gli accostamenti inediti e arditi.
Credo che non sia azzardato ritenere che un testo come quello che ora vorrei citare, e che viene da fonte sicuramente “non teologica”, sia rimasto fissato nella memoria poetica ed espressiva, prima del giovane padre gesuita, poi del professore, poi del vescovo, poi del cardinale e infine anche del papa. Ecco un testo singolarmente audace di questa fonte, che potremmo chiamare “fonte JLB”:
Nel 1517 il Padre Bartolomeo de las Casas ebbe molta compassione degli indios che si estenuavano nei laboriosi inferni delle miniere d’oro antillesi e propose all’imperatore Carlo V l’importazione di negri, che si estenuassero nei laboriosi inferni delle miniere d’oro antillesi. A questa curiosa variazione di un filantropo dobbiamo infiniti fatti: i blues di Handy, il successo ottenuto a Parigi dal pittore e dottore uruguaiano Pedro Figari, la buona prosa contadina del pure uruguaiano Vicente Rossi, le proporzioni mitologiche di Abramo Lincoln, i cinquecentomila morti della Guerra di Secessione, i trecento milioni spesi in pensioni di guerra, la statua dell’immaginario negro Falucho, l’inclusione del verbo linchar (linciare) nella tredicesima edizione del Diccionario de la Academia, l’impetuoso film Alleluia, la fiera carica alla baionetta guidata da Soler alla testa del suo reggimento di negri e di mulatti nel Cerrito, l’incanto della signorina X, il bruno assassino di Martin Fierro, la deplorevole rumba El Manisero, il fermato e imprigionato napoleonismo di Toussaint Louverture, la croce e il serpente di Haiti, il sangue delle capre sgozzate dal machete del papaloi, la habanera madre del tango, il candombe.”
(Storia universale della infamia)
Questo testo di Jorge Luis Borges, che apre la sua singolarissima Storia universale della infamia, manifesta all’attenzione del lettore molte delle caratteristiche di questo straordinario narratore e poeta. Soprattutto ci offre una chiave preziosa per intendere i “vertiginosi elenchi” che appaiono, qua e là, anche nella parola di Francesco. Il quale ha imparato a parlare, a scrivere e a pensare assumendo un tratto “letterario” e “sapienziale” anche da questo grande autore, che ha letto e frequentato in modo intenso per anni. Il fatto che lo abbia invitato a far lezione ai suoi allievi, nel 1965, quando lui aveva 28 anni e Borges ne aveva già 66, convincendolo a fare 6 ore di autobus per raggiungere la scuola di Santa Fé, – distante quasi 500 Km da Buenos Aires, dove il “maestrillo” Bergoglio insegnava da qualche mese – la dice lunga sul legame letterario e personale che allora si stabilì tra il giovane gesuita e il grande scrittore, ormai divenuto quasi cieco.
Un poeta, un intellettuale, uno scrittore come Borges è stato, per Francesco, maestro di scrittura, nella forma paradossale di un agnostico “padre della Chiesa”. Gli ha dato il gusto per una parola che trasgredisce, che trascende, ma che illumina, che incanta. Una parola che, stando nella tradizione, la rinnova e la amplia. Con sapienza e con ironia, con immaginazione e con inquietudine, con sovrabbondanza e con vivo senso dell’incompletezza. Il papa che ha potuto avere la libertà di descrivere la scrittura teologica, parlando ai confratelli della Civiltà Cattolica, come caratterizzata da “inquietudine, incompletezza, immaginazione”, è un discepolo del Signore, è un allievo di Ignazio, è un figlio della America, ma è anche un ammiratore e un appassionato lettore di Jorge Luis Borges. Così rinnova la tradizione, così fa camminare la Chiesa. Così egli può non solo avere un rapporto, più o meno facile, con la cultura, ma può essere capace di fare egli stesso cultura, in modo diretto, autorevole, sciolto, originale, irresistibile.
Pubblicato il 19 ottobre 2019 nel blog: Come se non.