Francesco: ammonimento ai giudici – lettera a Lula

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In Brasile sono comparse sul sito The Intercept le registrazioni fra il pubblico ministero (Deltan Dallagnol) e il giudice (Sergio Moro, ora diventato ministro della giustizia). Ambedue protagonisti del giudizio che ha condannato l’ex-presidente Inácio Luiz Lula da Silva, impedendogli di candidarsi. Dai testi emerge la palese violazione del diritto dei magistrati interessati contro l’imparzialità del giudice e l’autonomia del pubblico ministero e l’evidente interesse politico per la condanna di Lula e la vittoria di Bolsonaro.

Il 4 giugno il papa al vertice dei giudici panamericani sui diritti sociali ha detto: «Approfitto di questa opportunità di riunirmi con voi per manifestarvi la mia preoccupazione per una nuova forma di intervento esogeno negli scenari politici dei paesi attraverso l’uso indebito di procedimenti legali e tipizzazioni giudiziarie. Il lawfare, oltre a mettere in grave pericolo la democrazia dei paesi, generalmente viene utilizzato per minare i processi politici emergenti e propendere alla violazione sistematica dei diritti sociali».

Un mese prima il papa aveva scritto una lettera personale a Lula in carcere (che riportiamo sotto). Il discorso valeva per tutta l’America Latina e la lettera è strettamente personale e familiare. Tuttavia, alla luce delle nuove rivelazioni, delle denunce dei vescovi e degli accanimenti giudiziari precedenti emerge un orientamento che merita attenzione.

Stimato Luiz Inácio,

ho ricevuto la sua gentile lettera del 29 marzo, con la quale, oltre che ringraziarmi per il mio contributo alla difesa dei diritti dei più poveri e sfortunati di questa nobile nazione, mi confidava il suo stato d’animo e mi comunicava la sua valutazione dell’attuale contesto socio-politico brasiliano, cosa che mi sarà di grande utilità.

Come ho sottolineato nel messaggio per la 52ª Giornata mondiale della pace, celebrata lo scorso 1° gennaio, la responsabilità politica costituisce una sfida permanente per tutti coloro che ricevono il mandato di servire il proprio paese, di proteggere le persone che vi abitano e di lavorare per creare le condizioni di un futuro degno e giusto. Come i miei Predecessori, sono convinto che la politica può diventare una forma eminente di carità, se realizzata nel rispetto fondamentale della vita, la libertà e la dignità delle persone.

In questi giorni, stiamo celebrando la risurrezione del Signore. Il trionfo di Gesù Cristo sulla morte è la speranza dell’umanità. La sua Pasqua, il suo passaggio dalla morte alla vita, è anche la nostra pasqua: grazie a Lui, possiamo passare dall’oscurità alla luce; dalle schiavitù di questo mondo alla libertà della Terra promessa; dal peccato che ci separa da Dio e dai fratelli all’amicizia che ci unisce a Lui; dall’incredulità e dalla disperazione all’allegria serena e profonda di chi crede che, alla fine, il bene vincerà il male, la verità vincerà la menzogna e la Salvezza vincerà la condanna.

Avendo presente le dure prove che lei ha vissuto ultimamente, specialmente la perdita di alcune persone care – la sposa Marisa Leticia, il fratello Genival Inácio e, più di recente, il nipote Arthur di soli 7 anni – voglio manifestarle la mia vicinanza spirituale e darle coraggio chiedendole di non perdersi d’animo e di continuare a confidare in Dio.

Nell’assicurarle la mia preghiera affinché in questo tempo pasquale di gioia la Luce di Cristo risuscitato la colmi di speranza, Le chiedo di non cessare di pregare per me.

Gesù la benedica e la Vergine Santa la protegga.

Fraternamente.

Francesco

Vaticano, 3 maggio 2019

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