Francesco dopo Francesco: Islam

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albino1

C’è «un’arma segreta» che ha consentito a papa Francesco di apparire a molti il papa dell’Islam, il papa cioè che ha migliorato più di altri il rapporto tra Chiesa cattolica e il mondo islamico. Eppure i progressi non erano stati pochi, soprattutto nel tempo di Giovanni Paolo II, ma anche in quello di Benedetto XVI, molto importante e più complesso e rilevante dell’incidente di Ratisbona.

Ad alcuni Giovanni Paolo II era apparso in certo senso il papa dell’Islam, vista l’enorme valenza che ebbe l’invito ai dotti dell’Islam a partecipare al sinodo straordinario sul Libano nel 1995, e poi la frase che scrisse nell’esortazione apostolica post-sinodale, una pietra miliare:

In tutti i paesi e in tutte le culture ove essi sono sparsi, i cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per il paese, né per la lingua, né per i costumi. […] Essi si conformano ai costumi locali per i vestiti, il nutrimento e il resto dell’esistenza, pur manifestando le leggi straordinarie e veramente paradossali del loro modo di vivere.Vorrei insistere sulla necessità per i cristiani del Libano di mantenere e di rinsaldare i loro legami di solidarietà con il mondo arabo. Li invito a considerare il loro inserimento nella cultura araba, alla quale tanto hanno contribuito, come un’opportunità privilegiata per condurre, in armonia con gli altri cristiani dei Paese arabi, un dialogo autentico e profondo con i credenti dell’Islam.Vivendo in una medesima regione, avendo conosciuto nella loro storia momenti di gloria e momenti di difficoltà, cristiani e musulmani del Medio Oriente sono chiamati a costruire insieme un avvenire di convivialità e di collaborazione, in vista dello sviluppo umano e morale dei loro popoli.

Inoltre, il dialogo e la collaborazione tra cristiani e musulmani in Libano può contribuire a far sì che, in altri Paesi, si avvii lo stesso processo.

Giovanni Paolo II poi è stato il papa degli incontri interreligiosi di Assisi, così decisivi nella storia che ha unito contro lo scontro di civiltà e la violenza religiosamente ispirata tutte le grandi fedi. Benedetto XVI ha proseguito questo lavoro con il sinodo sul Medio Oriente, che ha indicato quel nodo, la pari cittadinanza, che sarà l’architrave del pontificato bergogliano. Dunque quale può essere stata «l’arma segreta»?

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A mio avviso c’è, o c’è stata sin qui, e sta nella soluzione di un equivoco. L’Islam è una religione universale, che nasce però nel contesto culturale arabo: la profezia mohammadica è in lingua araba, come il testo sacro dell’islam. Questo rapporto profondo tra Islam e mondo arabo ha creato un equivoco. Il diverbio, l’incomprensione di secoli è emersa e si è risolta con il primo papa contemporaneo non europeo.

Perché quell’incomprensione era euro-araba più che islamo-cristiana. Il papa non europeo, estraneo al dissidio euro-arabo, poteva anzi essere percepito come un papa, un credente, un uomo, appartenente a quel Global South che molti musulmani vivono profondamente (basta osservare una cartina geografica dei Paesi di loro maggior presenza) proprio per il lascito del lungo dissidio euro-arabo.

Il rapporto docente-discente, che dal loro punto di vista ha tanto offeso nel comportamento cristiano, era un comportamento europeo, il colonialismo che tanto ha ferito era europeo. Le ferite storiche erano euro-arabe, ma vestite da dissonanze islamo-cristiane. Queste ovviamente ci sono, ma se il Corano definisce Gesù “parola di Dio” forse sono state aggravate da quelle euro-arabe.

Così quando la grande Università islamica di al-Azhar è riuscita finalmente, con Bergoglio regnante, a capire la fondatezza della richiesta di pari cittadinanza formulata da papa Ratzinger, un papa profondamente europeo, ciò è accaduto perché non c’era più la ruggine euro-araba. E nel documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana, firmato da Francesco e dall’Imam di al Azhar al Tayeb, il principio della pari cittadinanza è annunciato con una formula di un tale pluralismo che nessuno in Europa riconosceva all’islam, ma che lì è scritto con parole cristalline:

La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano.

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Comincia a manifestarsi la forza dell’arma segreta bergogliana: sgomberare il campo dall’’equivoco euro-arabo e rivalutare l’Islam spirituale, di cui l’imam di al Azhar è un’espressione nitida, essendo un Sufi; ma lo era anche quando non si capiva con papa Ratzinger. Dunque la chiusura teologica islamica è stata il frutto della storia araba. Questa nuova opportunità, che si rafforza per la spiritualità dell’attuale Imam di al-Azhar, cultore di quel mistico islamico, Rumi, che disse che tutti i sentieri in montagna portano alla vetta, ma una volta che si è giunti non conta quale sentiero si sia seguito ma essere giunti sulla vetta, ricorda da vicino quanto ha detto Francesco a Singapore:

Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono – faccio un paragone – come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. “Ma il mio Dio è più importante del tuo!”. È vero questo? C’è un solo Dio, e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio. Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini. Understood? Ma per il dialogo interreligioso fra i giovani ci vuole coraggio. Perché l’età giovanile è l’età del coraggio, ma tu puoi avere questo coraggio per fare cose che non ti aiuteranno. Invece puoi avere coraggio per andare avanti e per il dialogo.

Molti musulmani non illuminati criticano questo approccio come relativista, quasi che loro, nella loro finitezza, possano identificare il loro finito con l’infinito. Ma queste sono scorie del passato, che il nuovo passo imposto dal papa non europeo sta aiutando a fronteggiare, come dimostrano alcuni programmi di dialogo avviati nel mondo arabo, in particolare quello emiratino, che si fonda su una sorprendente intuizione: i valori celesti ci accomunano perché pre-esistenti a tutte le religioni, evidentemente per volontà divina.

Sin qui, la presunta comune appartenenza al Global South ha dato un accesso facilitato al papa argentino in molto ambienti islamici, come quello espresso da Muhammad Sammak, segretario generale dello Spiritual Islam Summit, che un giorno qui a Roma ha detto «l’Islam è la religione che crede in tutte le religioni». Per farlo emergere dopo secoli difficilissimi bisognava partire dalla soluzione di un equivoco, quello euro-arabo.

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Francesco ovviamente ci ha saputo mettere del suo. Quando è andato in Marocco, a Rabat, incontrando la comunità cristiana ha pronunciato parole che hanno molto favorevolmente sorpreso:

La nostra missione di battezzati, di sacerdoti, di consacrati, non è determinata particolarmente dal numero o dalla quantità di spazi che si occupano, ma dalla capacità che si ha di generare e suscitare cambiamento, stupore e compassione; dal modo in cui viviamo come discepoli di Gesù, in mezzo a coloro dei quali noi condividiamo il quotidiano, le gioie, i dolori, le sofferenze e le speranze (cf. GS 1). In altre parole, le vie della missione non passano attraverso il proselitismo. Per favore, non passano attraverso il proselitismo! Ricordiamo Benedetto XVI: «La Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione, per testimonianza». Non passano attraverso il proselitismo, che porta sempre a un vicolo cieco, ma attraverso il nostro modo di essere con Gesù e con gli altri. Quindi il problema non è essere poco numerosi, ma essere insignificanti, diventare un sale che non ha più il sapore del Vangelo – questo è il problema! – o una luce che non illumina più niente.

Ma lo stesso è accaduto ad Abu Dhabi, quando alla celebrazione eucaristica, dopo la firma del documento congiunto sulla fratellanza, Francesco ha detto:

Beati i miti (Mt 5,5). Non è beato chi aggredisce o sopraffà, ma chi mantiene il comportamento di Gesù che ci ha salvato: mite anche di fronte ai suoi accusatori. Mi piace citare san Francesco, quando ai frati diede istruzioni su come recarsi presso i Saraceni e i non cristiani. Scrisse: «Che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani» (Regola non bollata, XVI). Né liti né dispute – e questo vale anche per i preti – né liti né dispute: in quel tempo, mentre tanti partivano rivestiti di pesanti armature, san Francesco ricordò che il cristiano parte armato solo della sua fede umile e del suo amore concreto. È importante la mitezza: se vivremo nel mondo al modo di Dio, diventeremo canali della sua presenza; altrimenti, non porteremo frutto.

Questo invito alla mitezza ha colpito chi si era sentito aggredito dagli europei e aveva aggredito sprezzante.

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Ma forse il contributo del papa non europeo, ancor oggi più avvertito come emozionante da tanti musulmani, arabi e anche non arabi, è venuto da Lesbo, quando la ferita che scuote i corpi di molti di loro è stata condivisa dal papa come ferita comune:

Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi. Questo grande bacino d’acqua, culla di tante civiltà, sembra ora uno specchio di morte. Non lasciamo che il mare nostrum si tramuti in un desolante mare mortuum, che questo luogo di incontro diventi teatro di scontro! Non permettiamo che questo «mare dei ricordi» si trasformi nel «mare della dimenticanza». Vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà!

Sono queste le tappe principali di un cammino che non distingue la rotta seguita da Francesco da quella seguita dai suoi precedessori, ma che gli ha consentito di portarla molto avanti grazie alla sua capacità umana, alla sua comunicazione accessibile, ma soprattutto grazie al non essere europeo. Quell’equivoco ha pesato per secoli, solo un non europeo poteva far fare tanti passi avanti in poco tempo. Gli europei che si attardano a dare lezioni di chi sarebbe il maestro e chi l’alunno inadeguato, non fanno che rafforzarne la portata. Guardando nelle acque comuni del Mediterraneo di alunni inadeguati se ne vedono molti, di maestri molto pochi.

C’è infine un’azione non magistrale ma di governo che ha e avrà enorme rilievo. Da un paio d’anni il Vaticano ha costituito un vicariato apostolico per tutta la penisola arabica. È la parte di mondo arabo affluente, privo della presenza tradizionale cristiana, quello che si trova nel antico Levante. Un mondo, quello del Golfo, che però ha moltissimi nuovi cristiani, gli immigrati. Ora la Chiesa non dimenticherà che le sue origini sono nel Levante, dove si gioca il suo avvenire, ma può parlare con le corone affluenti, che governano il lavoro e la vita di milioni di cristiani, alla ricerca di vita e lavoro dignitosi. Come sovente accade ai migranti.

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2 Commenti

  1. Gian Piero 15 dicembre 2024
  2. Gian Piero 15 dicembre 2024

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