Francesco dopo Francesco: parrocchia

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Insieme ai nostri lettori e lettrici, ci siamo confrontati per due giorni presso la comunità dehoniana di Albino (25-26 ottobre 2024) su quale sia l’anima e il cuore del pontificato di Francesco (cf. SettimanaNewsqui). Per ampliare e approfondire il dialogo condiviso pubblichiamo i testi degli interventi tenuti nel corso della due giorni. Dopo la meditazione della nostra redattrice suor Elsa Antoniazzi (qui), le relazioni di Vincenzo Rosito (qui), Anita Prati (qui), Francesco Sisci (qui) e Daniele Menozzi (qui), pubblichiamo l’intervento di don Antonio Torresin sulle ricadute del pontificato di Francesco all’interno della vita della parrocchia.

Parlare dalla incidenza della figura di papa Francesco in una parrocchia, ovvero dentro il popolo di Dio, nel vissuto del cristiano comune, ci pone da un punto di vista “altro” e sfuggente rispetto ai più comuni approcci circa l’incidenza di un papato nella chiesa.

Normalmente deputati ad interpretare l’apporto di un papa nella chiesa dono da una parte gli operatori nel mondo dei media (giornalisti, vaticanisti, politologi ecc.) e dall’altra parte i teologi. Giornalisti e teologi sono infatti gli interlocutori più evidenti che si interfacciano con il magistero e con la figura pubblica di un papa, soprattutto da quando il suo profilo pubblico è strettamente legato all’immagine che passa dai social-media.

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Il punto di vista di una parrocchia è molto diverso. Se negli scenari suddetti (quello dei social e quello della teologia) la figura di Francesco è una figura “inevitabile”, nello scenario di una parrocchia la sua figura rischia quasi la “ininfluenza”. L’autorità di papa Francesco subisce la medesima crisi di tutte le istituzioni, non è meno soggetta ad una perdita di riconoscimento. Non viene più riconosciuta una autorità indiscussa e unica, e la voce del papa si confronta e si confonde con altre autorità anche e proprio in tema religioso.

Aggiungerei che ciò che incide – quando effettivamente ancora ha una certa incidenza – del ministero papale nel vissuto del popolo di Dio, non sono anzitutto i contenuti, morali o dottrinali, ma la sua funzione “simbolica” e la sua immagine “stereotipata”. Mi spiego.

Anzitutto, il rischio più effettivo è che l’immagine che passa nel popolo di Dio di Francesco non sia quella che lo rileva nella sua completezza; pochi leggono i suoi scritti o ascoltano le sue parole in prima persona. Accedono alla sua figura attraverso gli “stereotipi” che mediante i media passano di lui. Questo non vale solo per Francesco, ovviamente.

Lo stesso si può dire anche di Giovanni Paolo II e di Bendetto XVI. Wojtyla, era identificato come un grande combattente per la fede contro il relativismo, un attore che solca il palcoscenico mondiale con grande autorevolezza; ma cosa ne sanno i papa-boys della sua teologia? Benedetto come un intellettuale conservatore e difensore della continuità della tradizione, tendenzialmente tradizionalista; ma chi ha apprezzato la finezza spirituale delle sue omelie e dei suoi discorsi?  Entrambi erano ridotti ad uno stereotipo più tradizionalista e conservatore che innovatore. Lo stereotipo è sempre divisivo.

Così ora Francesco è considerato l’espressione di una chiesa che si vuole progressista (il rinnovamento della chiesa come bandiera), molto esposto sui temi sociali (i poveri, gli stranieri, l’ecologia….) e poco rilevante sul versante teologico. Dai conservatori è considerato proprio per questo come un pericolo che porta la chiesa in acque insidiose, dove si prede la certezza della dottrina…. Dai progressisti come la speranza di un cambio di passo che avvicini la chiesa all’uomo contemporaneo.

Ora, lo stereotipo è spesso divisivo, e in effetti, là dove l’immagine del papa raggiunge il popolo di Dio – perché forse prevale l’ininfluenza – un certo effetto divisivo e di confusione occorre riconoscerlo, forse più ancora dei papati precedenti. Non mi era mai capitato così di sovente di ascoltare dei fedeli che si confessavano per “non essere d’accordo con il papa”. È capitato soprattutto all’inizio del suo pontificato, e a riguardo dei temi sociali, sull’immigrazione, e di alcuni temi morali, dopo Amoris Laetitia.

Poi il fenomeno si è ridotto ma credo perché molti, nel popolo di Dio, si sono fatti l’idea di poter continuare a credere anche senza condividere il pensiero del papa, in una forma individualista della fede che relega la figura del papa come non così influente. Aggiungerei che l’effetto prodotto dalla contrapposizione tra tradizionalisti e progressisti nella chiesa, alcune scelte che sembrano “ondivaghe” (penso ad aperture nei confronti prima dei divorziati risposati, e poi degli omosessuali, che mentre dichiarano un forte desiderio di inclusione, convivono con affermazioni che dichiarano una continuità dottrinale che sembra contraddirle) e una certa decisionalità non sempre comprensibile, generano una certa confusione, che accresce un sentimento di resa di distanza: “cose di chiesa” troppo difficili da interpretare, meglio lasciare perdere.

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Altra invece è la funzione “simbolica”. Qui la figura di Francesco “funziona” di più (così come era stato in altro modo per Giovanni Paolo II). In questa funzione simbolica possiamo rilevare forse il grado massimo di incidenza del papato di Francesco. Lo si è potuto vedere fin dall’inizio, al suo apparire, con la richiesta “pregate per me”, con la sua figura che si poneva non di fronte ma dentro il popolo di Dio. E il momento acme è stato durante la pandemia.

Anzitutto con la sua parola quotidiana durante la messa trasmessa nelle case ogni mattina; in quei momenti ha testimoniato una capacità straordinaria e per tutti comprensibile, di far risuonare la Parola di Dio dentro le contraddizioni e il dramma della vita di tutti, come nessun altro è stato in grado di fare in quei giorni.

Non so quanto di questo rimarrà nel futuro, ma certamente il popolo di Dio ha percepito che cosa potrebbe e dovrebbe essere la predicazione, oltre ogni moralismo e oltre anche la preoccupazione dottrinale e intellettuale: un annuncio evangelico di speranza. Credo che questo si aspetti ogni credente dall’ascolto della Parola, e di fatto quando non lo trova si congeda silenziosamente dalle nostre assemblee liturgiche.

Ma il momento in cui la funzione simbolica ha avuto la più grande risonanza è stata la preghiera silenziosa in piazza San Pietro, nei giorni drammatici del lockdown: la sua persona, il suo corpo, le sue parole – “nessuno si salva da solo!” – hanno interpretato il momento che tutti stavano vivendo e lo ha fatto con uno spirito evangelico di immediato impatto.

La funzione simbolica ha infatti lo stile di una testimonianza, nella quale sono decisive la coerenza che la persona incarna, nella capacità di essere una parola di Vangelo fatta carne. Resta da vedere che cosa rimarrà di questi momenti in un tempo nel quale la memoria sembra essersi fatta breve, tutto sembra farsi evanescente, e anche la figura di un papa rimanere alla fine “ininfluente”.

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3 Commenti

  1. Giuseppina 3 dicembre 2024
  2. Giuseppina 3 dicembre 2024
  3. Tracanna Anna Rita 2 dicembre 2024

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