10 gennaio 2021: nell’intervista esclusiva concessa a Tg5, papa Francesco ha detto che l’aborto non è un problema religioso, è un problema umano, che riguarda tutti, anche un ateo. E quindi ha aggiunto: «Io ho il diritto di fare questo? Una risposta scientifica: alla terza settimana, forse la quarta, tutti gli organi sono formati. È una vita umana. Io faccio una domanda: è giusto cancellare una vita umana per risolvere un problema?».
Nella Dichiarazione Dignitas infinita si legge: «Si dovrà, pertanto, affermare con ogni forza e chiarezza, anche nel nostro tempo, che questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo».
Sul volo che lo ha riportato da Singapore (2024), ai giornalisti che lo hanno intervista il papa ha affermato in particolare: «Poi, l’aborto. La scienza dice che al mese dal concepimento ci sono tutti gli organi di un essere umano, tutti. Fare un aborto è uccidere un essere umano. Ti piaccia la parola o non ti piaccia, ma è uccidere».
Sul volo che lo ha ricondotto a Roma dopo il viaggio in Lussemburgo e Belgio il papa è tornato sull’argomento affermando tra l’altro: «Le donne hanno diritto alla vita: alla vita loro, alla vita dei figli. Non dimentichiamo di dire questo: un aborto è un omicidio. La scienza dice che già a un mese dal concepimento ci sono tutti gli organi. Si mata un essere umano, si uccide un essere umano».
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Questi, per quanto io sappia, sono i più recenti pronunciamenti sull’aborto, convergenti su un punto che può essere capito così: dopo un mese gli organi sono formati, si è formata una vita umana. Si nota allora come non si legga più l’espressione «dal concepimento», sostituita dal riferimento alla formazione degli organi. Non conoscendo i pensieri di Francesco, questo è ciò che chi scrive capisce: c’è uno stadio di vita vegetativa che dopo un periodo di tempo diviene vita umana, quella sacra, inviolabile come ogni altra vita umana.
Si può ritenere allora che la questione, non dottrinale ma umana, posta dal papa, interpelli sulla comprensione dell’aborto quale eliminazione di una vita umana, per risolvere un problema che si pone dopo e non prima della formazione degli organi. Prima, agli occhi di chi scrive, appare un impedimento alla formazione della vita umana.
Questo discorso, forse, si potrebbe argomentare alla luce della grande tradizione teologica cattolica. La discussione cattolica sul concepimento e la vita umana è nota. Condannato dal Concilio di Elvira nel 306, l’aborto esiste, ma non ce n’è uno solo: per Tommaso d’Aquino e Agostino il feto conosce un tempo inanimato e un altro di vita animata – quest’ultimo è il tempo in cui si configurerebbe l’aborto che comporta la scomunica, per l’uccisione di una vita umana. San Tommaso accoglieva la teoria, di matrice aristotelica, che parlava di una successione di tappe nell’embrione: che avrebbe nei momenti iniziali un’anima di tipo nutritivo, dopo una di tipo sensitivo, e infine quella di tipo intellettivo che procederebbe da un atto creativo di Dio.
Questo è molto diverso dal parlare di aborto dal concepimento; non sarebbe auspicabile una discussione non dottrinale ma umana, su questo? E anche su un passaggio non chiaro: la terza fase, quella intellettiva, comincia alla formazione degli organi o dopo di essa? Questa discussione può influire sul modo di confrontarsi, e sembra che rimuoverla abbia semplificato e schematizzato il discorso, uniformando Tommaso alla dottrina dell’aborto dal concepimento.
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Un grande giornalista, Luigi Accattoli, quando Francesco ha concesso a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere dal peccato di aborto ha ricostruito sul Corriere della Sera la discussione cattolica al riguardo, ricordando tra tante altre cose che Tommaso e Agostino «fanno propria la dottrina di Aristotele sulla formazione dell’anima razionale e distinguono tra feto animato e inanimato: secondo questa dottrina il feto maschile sarebbe inanimato, dotato cioè di sola anima vegetativa, fino al quarantesimo giorno e il feto femminile fino al novantesimo. L’aborto degno di scomunica, secondo questa concezione, è quello del feto animato. Quella distinzione è fatta propria anche dai papi e per esempio è affermata da Gregorio XIV in un testo del 1591» − che abolì la bolla di Sisto V del 1586, reintroducendo la limitazione della condanna per quello che si definisce aborto del feto animato. «L’estensione della scomunica a ogni aborto volontario arriva con Pio IX nel 1869». Cosa è successo?
Ad avviso di alcuni, la lettura aristotelica di Tommaso d’Aquino sarebbe stata contenuta dal tuziorismo cattolico, inteso come metodo di ricerca di una maggiore sicurezza: diciamo che non potendosi allora determinare il momento dell’inizio della vita umana, il tuziorismo avrebbe fatto pendere la bilancia in favore dell’anteporre l’inizio della vita umana al momento del concepimento, così da non cadere in errore. L’unico punto in cui, nella citata Dichiarazione Dignitas infinita si parla di aborto «dal concepimento» alla nascita è quando si cita l’enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II. Forse però è anche per ciò su cui qui si invita a riflettere su un altro passaggio:
«Quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all’aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica».
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Questa discussione, nei termini «umani» posti da Francesco, sarebbe importante. Si può notare solo che dal suo lessico il sintagma “aborto dal concepimento”, abbastanza noto, non appare e questo può far sperare in un dialogo non dottrinale, ma umano. Quello che forse servirebbe.
Chi scrive non si è mai accostato agli studi teologici, limitandosi ad avere fiducia nel metodo del dialogo, nella possibilità di incontrarsi pur provenendo da esperienze, formazioni e culture diverse − e non ritiene si debba subito concordare su tutto, ma rispettarsi e avvicinarsi.
Per questo si può ritenere che alla discussione qui superficialmente presentata si dovrebbero affiancare altre due discussioni: quella sui danni dell’aborto clandestino, che nessuno sembra auspicare torni, e quella sull’aborto terapeutico, che nella 194 considera fisico e psiche della donna, nel noto dettato dell’articolo 4 della legge – motivo per cui, in quei limiti, per molti non fa del medico un sicario.
La distinzione tra “un tempo inanimato e un altro di vita animata” è insostenibile ai nostri giorni, dato che noi conosciamo la genetica e l’assoluta continuità nella vita del feto, molto più di quanto ne sapessero Agostino e Tommaso. Essere integralmente “umani” e non “dottrinali” non significa se non prendere sul serio i dati scientifici a disposizione e trarne le debite conclusioni
Direi molto sommessamente… ma se si iniziasse a parlare dell’aborto dal versante antropologico/filosofico senza caricarlo troppo dal punto di vista ideologico, forse il dialogo potrebbe essere meno divisivo. Di fatto la vita umana si impone alla nostra esperienza come la “cosa” previa. Per tale motivo la vita è un fatto ed un valore fondamentale, che conferma e segna i valori umani sul versante dell’assolutezza e della universalità. La vita è un bene pre-morale, viene prima della morale, e diventa morale quando è inserito ed inglobato nel mondo della persona libera e responsabile. Se si provasse a svelare l’antropologia che sta alla base delle nostre argomentazioni, inizieremo ad avere qualche dubbio e qualche perplessità sulle modalità di come spesso argomentiamo e di come carichiamo le questioni morali in modo moraleggiante e non esistenziale.
Sopprimere una vita umana sia pure in fieri è un delitto. La legge 194 si proponeva esattamente di non sopprimere la vita delle donne che a migliaia morivano nelle mani delle mammane perché non avevano i soldi per andare ad abortire dal grande luminare ginecologo. La 194, per chi ne conoscesse il testo, prevede che la donna che vuole abortire sia interrogata ed aiutata a non fare quel gesto, rimandata indietro, poi, a riflettere per una settimana, magari, dico io, con delle concrete proposte per accogliere lei ed il nascituro. E qui il nodo che manca alla politica che lancia strali ma non fornisce soluzioni umane. Ciò che la comunità cattolica deve tentare di cambiare è la coscienza collettiva (ed in parte lo fa con gli anatemi del peccato mortale, ma dovrebbe farlo soprattutto con l’incoraggiamento e la vicinanza alle donne, ragazze madri, a tenere il piccolo. Si dovrebbe dire: “Tienilo ed io ti aiuterò”). Dovrebbe migliorare quindi la politica riguardo alle risorse messe in campo per le “ragazze madri” a volte stuprate da uno sconosciuto…. Ci sono ragazze che uccidono i loro figli appena nati, addirittura per odio nei confronti dell’essere umano che hanno creato e nei confronti della nuova vita. Sono donne che vanno aiutate e non lasciate sole. Per questo serve il dialogo, perché né chi “mata”, perché le mammane ne ammazzavano due e non uno solo, né chi grida al mattatoio ha torto a priori. Quindi, ciò che deve cambiare è l’umanità di tutti noi. Della donne verso il concepito, di tutti noi verso le donne in difficoltà e sole di fronte al loro vissuto. Essere madri è per sempre e da sole è più difficile. Per cancellare l’aborto in definitiva, non servirà cancellare una legge, ma modificare l’atteggiamento verso il futuro delle donne e degli esseri umani in generale.
Del mio corpo e di ciò che contiene dispongo io e soltanto io. L’aborto è un diritto della donna e solo a lei spetta decidere se portare avanti o interrompere una gravidanza, soprattutto in caso di stupro, di grave malformazione o patologia del feto e di rischio di morte per la madre. Ogni Stato degno di questo nome deve garantire questo fondamentale diritto delle donne, perché è costato caro ottenerlo.
In un altro articolo ha commentato parlando di “funzione”, adesso le faccio notare che fa riferimento al diritto (esclusivo) di proprietà e di utilizzo (del corpo): nuovamente un linguaggio che prima ho definito aziendalistico. Sospetto che lei non voti a destra, dove ancora si trova qualche opposizione all’aborto (a sinistra, ogni voce fuori dal coro è completamente zittita). Perché allora utilizza il linguaggio del neoliberismo? Abbandoniamo queste terminologie desuete, che hanno fatto più male che bene. Sediamoci allo stesso tavolo e dialoghiamo, ma facciamolo dal cuore. Io sono contrario all’aborto, non reputo sia un diritto, perché reputo che esista un diritto superiore da tutelare (il diritto alla vita del nascituro) con esso incompatibile. Lei può accettare la mia posizione senza credere che sia antidemocratica o misogina?
“portare avanti o interrompere una gravidanza” non è solo un’alternativa che riguarda la donna: riguarda anche il padre e il concepito. Per i casi difficili, come via d’uscita non c’è solo l’interruzione di gravidanza, ma anche il parto in anonimato e l’adozione e queste andrebbero favorite in ogni modo anche dallo Stato
La cellula uovo fecondata dal gamete maschile è una nuova vita. Unica ed irripetibile indipendentemente dall’organogenesi che avverrà ben presto. Sopprimerla significa abortire. Questo nuovo individuo ha diritto a formarsi, nascere e crescere. Non è proprietà di nessuno. Merita accoglienza ed amore. Se i genitori naturali non possono dargliene la società umana deve provvedere.
Tante coppie sterili sono pronte a prendersi cura di un neonato rifiutato.
L’utero è un organo femminile ma se contiene un embrione diventa contenitore di una vita i cui diritti prevalgono sul diritto sacrosanto della donna di disporre del proprio corpo.
Comunque posso dire una cosa? Capisco la necessità di avere un dibattito aperto ma alla lunga leggendo tutti questi articoli si finisce per avere un senso di confusione incredibile. Da una parte viene messo in discussione ogni pronunciamento ufficiale in nome di un futuro progresso, dall’altra poi si pretende rispetto da parte di alcune indicazioni del Papa in questioni che probabilmente ci stanno più a cuore. È inutile ad esempio dire che esiste un estremismo islamico apocalittico “eretico” Se non riusciamo a fissare almeno indicativamente una “ortodossia” Islamica. O ebraica o cattolica o protestante..
Forse servirebbe meno carne al fuoco, focalizzarsi su poche questioni essenziali e fare sintesi sugli obiettivi. Già siamo rimasti in pochi, se ognuno va per conto su addio.
Cara signora Angela, le do pienamente ragione. In nome del “dialogo” (anche se gli interventi pubblicati su questo sito vanno principalmente in una stessa direzione), si è fatto di questo sito che è affiliato a un ordine religioso cattolico un luogo di diffusione della confusione. Forse faremmo meglio, come dice lei, a fissare almeno _alcuni_ principi, oserei dire quelli che un tempo venivano definiti “non negoziabili”, per non ritornarci mai più perché non è assolutamente profittevole né in termini spirituali, né in termini terreni.
Come insegna lo stesso papa Francesco, non si dialoga con il demonio. Sull’aborto non può e non deve mai esserci rispetto per le posizioni che prevedono la soppressione di una vita umana. E soprattutto, mai alcun compromesso!
Il cosiddetto aborto clandestino è un fatto razionalmente ingiustificabile. Applicando la stessa logica, se un mafioso ha bisogno di regolare i conti con un singolo individuo è bene fornirgli una sala pulita e isolata in cui effettuare l’esecuzione piuttosto che esporre altre persone al rischio di rimanere colpite in un agguato.
L’aborto terapeutico poi è un’espressione contraddittoria in sé – un aborto non può mai essere terapeutico in sé, possono esserci casi (già discussi in ambito teologico-morale) in cui è materialmente molto difficile salvare entrambe le vite, ma non questo caso non si può parlare di aborto terapeutico.
Quindi, a mio modesto avviso, è infruttuoso attaccarsi a queste argomentazioni, che peraltro sono i “cavalli di troia” dei pro-choice. Noi cattolici dovremmo rendere illegale l’aborto, punto. Qualsiasi altra cosa non rispecchia l’insegnamento della Chiesa e fa partecipare tutti ognuno di noi al male tramite il pagamento delle tasse.
In termini scientifici il ricorso alla tesi di Tommaso mi pare un passo indietro. Dato che scientificamente lo stacco “ontologico” è proprio nel momento del concepimento. Lì c’è già in potenza il nuovo essere umano. Al massimo si può parlare di un male minore all’interno di quadri legislativi diversi, con limiti temporali scelti in modo più o meno logico ma arbitrario. (Come avviene per la maggiore età, che sia a 16, 18 o 21 non cambia la sostanziale unitarietà del processo di crescita.)
Mi sembra una mediazione da cercare in campo politico più che scientifico.