Insieme ai nostri lettori e lettrici, ci siamo confrontati per due giorni presso la comunità dehoniana di Albino (25-26 ottobre 2024) su quale sia l’anima e il cuore del pontificato di Francesco (cf. SettimanaNews, qui). Per ampliare e approfondire il dialogo condiviso pubblichiamo alcuni dei testi degli interventi tenuti nel corso della due giorni. Dopo la meditazione della nostra redattrice, suor Elsa Antoniazzi (qui) e la relazione di Vincenzo Rosito (qui), pubblichiamo l’intervento della nostra redattrice Anita Prati «Papa Francesco e le donne: parole, parole, parole».
A dispetto delle apparenze, sono tre i soggetti che si accampano in questo titolo: le donne e Francesco, certo, ma anche e prima di tutto il papa.
Dire “papa” significa implicare nel discorso la forma “papato”, cioè l’istituzione a cui, nella Chiesa cattolica, sono state attribuite funzioni di governo, di dottrina e di culto.
La precisazione non è peregrina. Visto che tanti discorsi recenti sulle donne e sulle forme della loro partecipazione alla vita della Chiesa assumono la storia come referente inderogabile rispetto a scelte e decisioni che possono o potrebbero, non possono o non potrebbero essere prese, è importante essere consapevoli del fatto che, dicendo “papa”, ossia “papato”, non stiamo parlando di una realtà trascendente e assoluta, calata sulla terra, nei giorni immediatamente successivi alla Pentecoste, sotto la specie di un uomo biancovestito munito di mitria e pastorale.
Stiamo parlando di una forma storica che si è andata costruendo e definendo attraverso un lungo e complesso percorso secolare, tormentato e spesso anche violento, combattuto con le armi della diplomazia e della scomunica, dei diktat teologici e della forza militare e segnato da scismi che hanno via via lacerato il tessuto sinodale della Chiesa delle origini.
Il papato ha, oggi, il volto di Francesco, cioè dell’uomo Jorge Mario Bergoglio, nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, figlio primogenito di Mario, un piemontese giunto in Sud America neanche dieci anni prima, e di Maria Regina Sivori, nata a Buenos Aires ma, a sua volta, figlia di migranti di origini italiane, del Piemonte e dell’entroterra ligure.
Questo dato biografico illumina, tra le altre cose, anche la particolare relazione che papa Bergoglio ha con la lingua italiana. Terzo papa straniero dopo Wojtyla e Ratzinger, Francesco ha un rapporto diverso con l’italiano rispetto ai suoi predecessori: il suo non è un italiano forbito ed elegante appreso a tavolino, ma una lingua verace, modellata sul dialetto piemontese parlato dai nonni e nutrita dalle relazioni familiari – notazione non priva di interesse ai fini della riflessione che stiamo per svolgere.
Accanto al papato e a Francesco, il titolo ci propone, come terzo soggetto, le donne. Non la donna, singolare astratto e pericoloso nella sua impalpabilità, ma le donne, universo variegato e indefinibile tanto quanto variegato e indefinibile è l’universo maschile. Un universo così ricco di infinite differenze di età, di etnie, di culture, di storie, di sensibilità, di vicende e di personali percorsi di vita, che solo uno sguardo pretenzioso, per nulla realistico e anche un po’ prepotente, può volerlo comprimere dentro un paradigma singolare – quasi fosse possibile esaurire la verità delle donne entro un’univoca definizione di donna, ideale e inesistente nella sua astratta singolarità.
La riflessione sulle relazioni che si intrecciano fra questi tre soggetti si presta ad aprire e ad approfondire prospettive molto articolate; ho cercato di individuare un angolo visuale attraverso il quale perimetrare e condensare un percorso di pensiero significativo, pur nella sua brevità.
Questo percorso è esplicitato dal sottotitolo parole, parole, parole. Strizzando l’occhio alla famosa canzone portata al successo da Mina e da Alberto Lupo negli anni ’70, la triplice ripetizione risponde all’intento di individuare e fare sintesi di tre particolari situazioni discorsive.
Parole. Parole. Parole. Tre ambiti di discorso, tre complementi grammaticali, tre diversi statuti ontologici: un complemento di argomento (le parole di papa Francesco sulle donne); un complemento di termine (le parole di papa Francesco alle donne); un complemento di compagnia (le parole di papa Francesco con le donne).
Complemento di argomento: le parole di papa Francesco sulle donne
Parlare delle donne o, meglio, della donna, in quella forma singolare astratta e irreale di cui si è detto, è un esercizio a cui gli uomini di ogni tempo si sono sempre dedicati volentieri. Uno dei testi più antichi della letteratura greca è un lungo frammento in trimetri giambici del poeta del VII secolo a.C. Semonide di Amorgo, una piccola isola delle Cicladi. Questo testo poetico, chiamato anche Satira o Biasimo delle donne, può essere considerato un vero e proprio manifesto programmatico della misoginia greca e universale.
Sono dieci i tipi di donne creati da Zeus – canta Semonide – e da quasi tutte ci si deve guardare. L’unica che si salva è la donna ape; per il resto, ogni tipo di donna è accostato ad un animale o ad elementi naturali che rendano plastico e immediato il richiamo ai vizi che la donna, in quanto donna, incarna: la donna scrofa, la donna cane, la donna cavalla, la donna volpe, la donna asina, la donna puzzola, la donna scimmia, la donna terra, la donna mare.
Parlare di qualcuno è un esercizio tutto sommato facile: se l’altro è, semplicemente, “la cosa di cui si parla”, il processo di oggettificazione è immediato. Gli uomini di Chiesa non si sono mai sottratti a questo esercizio di descrizione, definizione e catalogazione della donna e del femminile. Tenendosi in ambigua oscillazione fra i due poli Eva e Maria, hanno ora stigmatizzato la donna come ianua diaboli, ora ne hanno celebrato ed esaltato la dimensione verginale o materna.
E papa Francesco? Non è difficile constatare come le parole pronunciate dal papa sull’argomento “donna” in questi undici anni di pontificato convergano tutte attorno ad un numero esiguo di punti, su cui il papa continuamente ritorna ogni qualvolta l’argomento gli venga proposto.
A ben vedere, anche le sue ultime parole sul tema, sollecitate dagli studenti dell’università cattolica di Lovanio lo scorso 28 settembre durante il viaggio in Belgio e Lussemburgo, non fanno che rimodulare quanto detto nei giorni pieni di promesse dell’inizio del suo pontificato.
Vorrei riprendere un’ormai lontana intervista del luglio del 2013, analizzandone due passaggi significativi. Le osservazioni che ne ricaveremo si possono tranquillamente applicare a tutti i discorsi sulle donne che papa Francesco ha pronunciato negli anni successivi.
Osservazioni su un discorso del papa
Era il 28 luglio 2013. Nel corso della conferenza stampa tenuta durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro, ad un giornalista francese che gli aveva domandato quali misure concrete avrebbe preso nei confronti delle donne, se il diaconato femminile o il mettere una donna a capo di un dicastero, il papa rispose:
Una Chiesa senza le donne è come il Collegio Apostolico senza Maria. Il ruolo della donna nella Chiesa non è soltanto la maternità, la mamma di famiglia, ma è più forte: è proprio l’icona della Vergine, della Madonna; quella che aiuta a crescere la Chiesa! Ma pensate che la Madonna è più importante degli Apostoli! È più importante! La Chiesa è femminile: è Chiesa, è sposa, è madre. (….) Credo che noi non abbiamo fatto ancora una profonda teologia della donna, nella Chiesa. (….) Bisogna fare una profonda teologia della donna. Questo è quello che penso io.
E, ad una giornalista brasiliana che gli aveva chiesto cosa pensasse dell’ordinazione delle donne:
Io vorrei spiegare un po’ quello che ho detto sulla partecipazione delle donne nella Chiesa: non si può limitare al fatto che faccia la chierichetta o la presidentessa della Caritas, la catechista… No! Deve essere di più, ma profondamente di più, anche misticamente di più, con questo che io ho detto della teologia della donna. E, con riferimento all’ordinazione delle donne, la Chiesa ha parlato e dice: “No”. L’ha detto Giovanni Paolo II, ma con una formulazione definitiva. Quella è chiusa, quella porta, ma su questo voglio dirti una cosa. L’ho detto, ma lo ripeto. La Madonna, Maria, era più importante degli Apostoli, dei vescovi e dei diaconi e dei preti. La donna, nella Chiesa, è più importante dei vescovi e dei preti; come, è quello che dobbiamo cercare di esplicitare meglio, perché credo che manchi una esplicitazione teologica di questo.
A partire da queste parole, l’analisi del testo ci permette di individuare cinque punti che rappresentano dei veri e propri Leitmotiv costanti in tutti i discorsi del papa sulle donne.
Primo: glissare, ovvero l’arte del rispondere senza rispondere. È una cifra stilistica ricorrente in diplomazia e il papa, da abile diplomatico, non si sottrae a questa regola del gioco: anziché rimanere sul piano di concretezza proposto dalla domanda, il discorso viene dirottato su un piano di vaghezza ideale, dove tutto sfuma e trascolora, dove si dice tutto senza dire niente. Quando papa Francesco parla delle donne, il passaggio dal concreto all’ideale è segnalato da una marca grammaticale inequivocabile, ossia l’uso del singolare al posto del plurale (non le donne, ma la donna). A tal proposito, vedasi quanto osservato in premessa in merito al terzo soggetto del titolo.
Secondo: l’associazione donna-Madonna. Attraverso questo parallelismo si vanno a solleticare le corde sensibili dell’amor proprio femminile, giocando di lusinghe e di sensi di colpa. Da una parte, il paragone risulta gratificante, perché non solo colloca noi donne sullo stesso piano di Maria, ma ci fa addirittura sentire più importanti dei vescovi e dei preti; dall’altra, però, insinua in noi un neanche troppo velato senso di colpa: tanto grande è l’onore che ci spetta per il solo fatto di essere donne come la Madonna, che sentiamo di dover vivere come un’arrogante e imperdonabile manifestazione di ingratitudine anche il solo osare pensieri che aspirino a qualcosa di diverso rispetto ai ruoli che ci sono stati tradizionalmente attribuiti. Una volta inoculato il senso di colpa, l’obiettivo di depotenziare e disinnescare alla radice ogni volontà di rivendicazione può essere raggiunto con facilità.
Terzo: il no all’ordinazione. Quando la domanda tocca in modo diretto e ineludibile l’argomento scottante “ordinazione delle donne”, il papa non glissa, ma oppone un fermo diniego. Il “no”, giustificato per mezzo di argomentazioni implicitamente antisinodali, è compendiabile nel seguente sillogismo:
premessa maggiore: la Chiesa ha parlato e dice: “No”
premessa minore: il “no” l’ha detto papa Giovanni Paolo II, con una formulazione definitiva
conclusione: dunque la Chiesa coincide con il papa.
Ma, se la Chiesa coincide con il papa, cioè con l’istituzione papato, risulta evidente come la tensione verso la sinodalità, parola chiave del pontificato di Francesco, cada tristemente alla prova dei fatti. Per non parlare dell’immagine, decisamente infelice e tutt’altro che evangelica, della porta chiusa…
Quarto: la femminilizzazione della Chiesa. “Smaschilizzare” è uno dei più efficaci neologismi di papa Francesco. Più volte lo abbiamo sentito ripetere che la Chiesa dev’essere smaschilizzata, e qui possiamo essere tutti e tutte d’accordo. Quello che meno si capisce è perché smaschilizzare la Chiesa comporti la sua femminilizzazione. La Chiesa è donna, ribadisce papa Francesco. Non è maschio, è donna, è femminile. A sostegno di questa affermazione il papa porta evidenti ragioni grammaticali: si dice la Chiesa, non il Chiesa.
La trasparenza dell’argomentazione ha in sé qualcosa di inquietante, se solo pensiamo che cento anni fa, quando era in corso un vivace dibattito sul genere grammaticale da attribuirsi alla nuova parola “automobile”, un certo Gabriele D’Annunzio si fece fiero paladino del genere femminile («l’Automobile è femminile», scriveva), adducendo come motivazione il fatto che possedesse non solo la grazia della seduttrice, ma anche una virtù ignota alle donne nella sua forma compiuta e sublime, cioè la perfetta obbedienza.
Ecco: quel fantasma del femminile associato all’obbedienza, alla remissività, alla tacita sottomissione e alla passività è ancora in circolazione, soprattutto negli ambienti ecclesiastici, nonostante tante teologhe abbiano acutamente svelato la relazione di proporzionalità diretta che salda l’esaltazione mistica del femminile nelle sue qualità di ricettività, passività, accoglienza, cura, spiritualità, interiorità, e il rifiuto di un riconoscimento pubblico dell’autorevolezza delle donne.
E qui veniamo al quinto punto.
Quinto: la teologia della donna. Bisogna fare una teologia della donna, dice papa Francesco, una profonda teologia della donna. E chi la deve fare? Gli uomini, naturalmente: sono così esperti nell’arte del parlare delle donne e dello spiegare, anche alle donne stesse, come sono fatte le donne! E così cadiamo nel paradosso che, mentre ci viene proposta come novità una teologia della donna, genitivo oggettivo, singolare astratto, non si dà udienza alla teologia delle donne, cioè alla teologia che le teologhe donne, genitivo soggettivo, vanno facendo ormai da decenni.
Complemento di termine: le parole di papa Francesco alle donne
Mi avvio velocemente verso la conclusione. Velocemente, sì. Perché, se la donna/le donne come complemento di argomento ha generato una vastissima letteratura, la quantità di produzione letteraria specificamente dedicata alla donna/alle donne come termine del discorso vede un deciso ridimensionamento.
Fra i discorsi del papa, quelli dedicati in modo esclusivo alle donne riguardano testi rivolti alle suore o alle carcerate (mi risparmio la battuta…); per il resto, la presenza femminile può essere data per implicita quando i discorsi sono rivolti in modo generico a sposi, a partecipanti a convegni, migranti, cattolici di vari luoghi, o al popolo di Dio – a riprova del fatto che la Chiesa in sé non è né maschio né femmina, ma è semplicemente un popolo fatto dagli uomini e dalle donne, insieme.
Il rischio principale del parlare alle donne è, per gli uomini, quello di scivolare nel cosiddetto mansplaining – neologismo coniato negli USA, reso in italiano, non senza ironia, con il termine “minchiarimento”. Ovvero, gli uomini mi spiegano il mondo e mi spiegano pure come sono fatta io.
Anche il papa non è esente da questo rischio. Ritroviamo un efficace esempio di mansplaining nel Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti all’assemblea generale dell’Unione Superiore Maggiori d’Italia (USMI) del 13 aprile 2023. Da notare: l’abitudine al maschile inclusivo è così consolidata nel nostro linguaggio, che alla segreteria sfugge che l’USMI sia formata solo da donne e, quindi, nel titolo, viene utilizzato l’articolo maschile plurale (“i” partecipanti), anziché il femminile “le”.
Ne riporto uno stralcio emblematico:
Certo, ognuno dei vostri Istituti ha il proprio carisma, e questo è lo spirito con il quale voi volete fare la domanda, con quello spirito dei fondatori che voi avete nel cuore, fate la domanda, oggi:
“Signore, oggi che devo fare? Cosa dobbiamo fare?”. E le donne sono brave per questo, sanno creare cammini nuovi, sanno dare… Sono coraggiose.
Secondo aspetto: in cammino sinodale. Il Vangelo in un altro passo dice che «le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli» (Mt 28,8). Qualcuno che pensa un po’ male dice: “Per chiacchierare sono state mandate”. No, no, corsero per dare un annuncio, non è chiacchiericcio: quello è un’altra cosa. (…) Queste donne non hanno scelto né di tenere la gioia dell’incontro solo per sé, né di fare il cammino da sole: hanno scelto di camminare insieme agli altri. Perché è proprio della donna essere generosa, è così. A volte sì, qualche nevrotica c’è, ma questo capita un po’ dappertutto, no? Ma la donna è dare vita, aprire strade, chiamare altri… (…) A volte mi viene un po’ di paura quando parliamo di spirito sinodale e subito si pensa: “Adesso devono cambiare questo, questo, questo…” (…) No, il cammino in spirito sinodale è ascoltare, pregare e camminare. Poi, il Signore ci dirà le cose che dobbiamo fare. Ho visto in alcune proposte: “Adesso dobbiamo prendere questa decisione, questo, questo, questo…”. No, questo non è cammino sinodale. Questo è “parlamento”. Non dimentichiamo che il cammino sinodale lo fa lo Spirito Santo: Lui è il capo del cammino sinodale, Lui è il protagonista. E le donne, in questa dinamica, vanno avanti con i Pastori, anche quando tante volte non vi sentite valorizzate e a volte comprese, siete disponibili ad ascoltare, a incontrare, a dialogare, a fare progetti insieme.
La tramatura del discorso, basata su espressioni infantilizzanti e paternalistiche (le donne sono brave, sanno creare cammini nuovi…), tiene insieme immagini idealizzanti (la donna è dare vita, aprire strade, chiamare altri) e battute svilenti, tutt’altro che spiritose (Per chiacchierare sono state mandate; qualche nevrotica c’è). Il tutto saldamente ancorato alla pretesa di spiegare alle donne il loro stesso punto di vista e ciò che è parte della loro natura (è proprio della donna essere generosa; siete disponibili ad ascoltare, a incontrare, a dialogare, a fare progetti insieme), nel caso specifico allo scopo di evitare pericolose derive di una stringente applicazione del principio di sinodalità: che non venga in mente, a queste benedette Superiore, di trasformare il cammino sinodale in una democrazia, che non pensino di essere in un parlamento dove possono dire e decidere qualcosa…
Complemento di compagnia: le parole di papa Francesco con le donne
Infine, il complemento di compagnia, il più difficile, il meno praticato, il più vitale. Parlare con le donne, assumerle non come oggetto o termine del proprio discorso, ma come vere interlocutrici. Una vera inter-locuzione chiede non solo l’esercizio dell’ascolto, su cui tanto e giustamente insiste papa Francesco, ma anche il non facile esercizio della dis-locazione dello sguardo. Dislocare lo sguardo assumendo punti di vista “altri”, liberandosi dagli inconsapevoli automatismi che impongono agli occhi strettoie e percorsi obbligati e condizionano la percezione e la visione del reale.
Fra i timidi segnali che papa Francesco sembrava dare in questa direzione, penso, in particolare, alla richiesta rivolta, sul finire dello scorso anno, a Lucia Vantini e Linda Pocher, insieme a Luca Castiglioni, di offrire al consiglio dei cardinali una riflessione sulla presenza e sul ruolo delle donne nella Chiesa – riflessione poi confluita, per esplicito desiderio del papa, in un libro di cui Francesco stesso ha firmato la prefazione.[1]
Avrei desiderato concludere qui la mia riflessione, con una nota fiduciosa, riportando qualche significativa citazione dall’appassionato pensiero di Vantini e Pocher, e parlando del salutare senso di “spaesamento” provato dagli uomini quando si mettono davvero in dialogo con le donne – uno spaesamento che si fa segnale di un concreto cambio di prospettiva, di una vera con-versione dello sguardo e del pensiero, come lo stesso papa Francesco dice nella sua prefazione:
“Mettendoci davvero in ascolto delle donne (NB: il grassetto è mio), noi uomini ci mettiamo in ascolto di qualcuno che vede la realtà da una prospettiva diversa e così siamo portati a rivedere i nostri progetti, le nostre priorità. A volte siamo spaesati. A volte quello che ascoltiamo è talmente nuovo, talmente diverso dal nostro modo di pensare e di vedere, che ci sembra assurdo e ci sentiamo intimiditi. Ma questo spaesamento è sano, ci fa crescere. Ci vogliono pazienza, rispetto reciproco, ascolto e apertura per imparare davvero gli uni dagli altri e per avanzare come un unico Popolo di Dio, ricco di differenze, ma che cammina insieme”.
Avrei voluto che queste parole segnassero davvero un cambio di passo. Ma la modalità a dir poco imbarazzante con cui è stata portata avanti o, sarebbe meglio dire, è stata abortita la questione del ministero ordinato per le donne durante i lavori sinodali dell’ultimo mese, sono un segnale inequivocabile del fatto che nella Chiesa di papa Francesco non c’è spazio per un vero dialogo con le donne: la Chiesa, che Francesco diceva di voler sinodale, resta, di fatto, un “papato”.
E, dunque, parole come sinodalità, smaschilizzare, declericalizzare? Parole, soltanto parole.
[1] https://www.settimananews.it/chiesa/smaschilizzare-la-chiesa/: Vantini Castiglioni Pocher, «Smaschilizzare la Chiesa»? Confronto critico sui «Principi» di H.U. Von Balthasar, Paoline 2024.
Io non ho nessuna parola, perché mi sembrerebbe sprecata… inutile illudersi tanto attraverso discorsi che cadono nel vuoto e nella insensibilità maschile, per cui non perdo neppure tempo a spiccicare parole che non servono a nulla solo a confermare ancora una volta che LA PARITA’ tra UOMO e DONNA è una cosa quasi impossibile ad arrivarci se non chiedendo al Signore DIO PADRE che li ha creati non perché fossero uno sopra l’altra ma solamente insieme e ci vogliono tutte e due per costruire un mondo che sia più fraterno, più amorevole, più tutto ciò che si desidera aggiungere… non PAROLE però!
Il cammino verso la parità maschio e femmina è molto lungo, ma sento che il processo è iniziato e i processi sono cammini che vanno avanti con una forza propria direi misteriosa. Secoli e secoli di clericalismo istituzionalizzato sorretto dal fatto che solo gli uomini avevano la possibilità di studiare, hanno di fatto escluso le donne. Ma le cose stanno cambiando e questo papa, tra mille difficoltà dovute al conservatorismo potente, sta cercando di aprire. Infatti, con molte difficoltà sta inserendo donne in diverse posizioni. Concordo pienamente che un maschio non potrà mai pensare di poter pensare come pensa una donna. E allora avanti con queste “aperture” che se non sono arrivate guardando “oltre” stanno arrivando nella Chiesa per pura necessità pratica, essendo venuti a mancare presbiteri. Si chiamano, come ben sappiamo, “ministeri battesimali”. Preghiamo per questa Chiesa di cui siamo tessuto e collaboriamo attivamente per una apertura e crescita nella fede. Buon cammino
Bellissimo intervento di Anita Prati, chiarissimo e coraggioso. Grazie! Comunque il Papa ha scritto un libro, un Inno al genio femminile: Sei unica. Mi piacerebbe un confronto su questo testo!
Il clericalismo è un sistema di potere basato sul sacro che affligge la chiesa da circa 1600 anni. I suoi sintomi sono una serie di abusi non solo di natura sessuale (nei confronti dei bambini e delle persone subordinate), ma anche di natura dottrinale, spirituale ed economico-finanziaria. La frattura che si è consumata a partire dal III-IV secolo ha creato due stati di vita nella chiesa: il clero ed i laici, due generi di cristiani (“duo sunt genera christianorum” è scritto nel Decretum Gratiani del XII secolo) che differiscono ontologicamente (Lumen gentium n.10). Tale frattura ha rotto l’uguaglianza e la dignità battesimale ed ha sottomesso la stragrande maggioranza dei discepoli di Gesù alla casta clericale. Oltre alla creazione di una gerarchia si è avuta anche una monopolizzazione dei carismi-ministeri nelle mani del clero. I tria munera cristologici (il sacerdozio, la profezia e la regalità) sono stati sottratti ai battezzati ed autoassegnati al clero. Tale processo di clericalizzazione non è avvenuto in modo improvviso e fulmineo, ma si è sviluppato nel corso dei secoli ed ha comportato una opera di legittimazione del potere clericale. I testi delle scritture sono stati piegati (reinterpretati) al fine di giustificare il sistema di potere basato sul sacro che via via si stava consolidando. Una vera e propria operazione di riscrittura dei testi antichi, dei fatti storici e della della teologia è stata condotta dal clero secondo una prospettiva parziale ed utilitaristica. Ecco come si sono formate le principali dottrine della chiesa. Si sono formate secondo la convenienza del clero. Posiamo dire che si è trattato di una serie di abusi dottrinali che sono stati imposti a tutti i membri della chiesa. La verità è stata proclamata senza che i laici e le laiche potessero contribuire alla definizione delle posizioni dottrinali. Il magistero risiedeva (e risiede ancor oggi) nella classe clericale e non era previsto (non è previsto nemmeno oggi) l’ascolto, l’elaborazione, il confronto ed il consenso di tutto il Popolo di Dio. Trattasi di autoreferenzialità assoluta. Uno dei mali più gravi del clericalismo.
Concordo…: l’assenza o la qualità dei commenti dicono la qualità del contributo.
E al di là di una certa durezza nei confronti del papato (o dell’uomo Bergoglio?) mi trovo molto d’accordo sul punto che nella Chiesa, femminile di nome ma ancora troppo maschile di fatto, non si sia ancora trovato un modo, un registro, per far dialogare voci maschili e femminili in posizioni un po’ più paritarie delle attuali…: non era questa la volontà di Gesù? Altrimenti verrebbe da chiedersi: dove va a finire tutta la “mistica” sulla parità fra uomo e donna nel matrimonio, frutto del più recente magistero di questa stessa Chiesa…?
Papa Francesco è come tutti i suoi predecessori, è il capo di una chiesa che è sempre stata e tuttora è maschilista, penalizzante nei confronti delle donne e assolutamente non disposta a riconoscerne la piena uguaglianza con gli uomini e il diritto di accedere agli stessi ruoli. Tutte le società civili e progredite oggi ammettono che le discriminazioni di qualsiasi tipo, quindi anche quelle legate al sesso, sono ingiuste e riconoscono alle donne il diritto di accedere a ogni ruolo; ma la chiesa cattolica, fatta dagli uomini per gli uomini, resta ferma su posizioni arretrate e ingiuste. Come donna sono felice e fortunata di non far parte di una chiesa che mi discrimina.
Ma, in tutte queste “parole parole parole” Cristo Signore dov’è?
Francesco dopo Francesco. E perche’ non Francesca?
Bisogna osare : non chiedere di essere solo diaconesse, ma vescovesse , cardinalesse e perche’ no ? Papa.
Se davvero credete che il sacerdozio non sia stato istituito da Gesù solo per gli uomini ma universale ,non vedo la logica di fermarsi agli ordini minori. Bisogna sempre pensare in grande! Una Francesca sul Soglio di Pietro ! Quale rivoluzione ,quale conquista per le donne !
A volte sono i commenti mancati a dire la qualità di un contributo. È piuttosto evidente che il mondo pretesco, ossia “clericale” laddove l’aggettivo qualifica anche laici e laiche, faccia fatica a confrontarsi con prospettive di questo genere, trovandole disturbanti (“unheimlich”, avrebbe detto lo zio Sigmund, certamente poco avvezzo, anche lui, a dialogare con le donne, e tantomeno a imparare da loro). Prospettive di cui al contrario, personalmente, ringrazio profondamente l’autrice.
Lo avete capito finalmente che questo pontificato è tra i peggiori della storia della Chiesa. Vi siete illuse. Mi dispiace. Io non ci ho mai creduto. Non per I vostri stessi motivi. Anzi….Io non sentivo proprio il bisogno di alcun cambiamento. La Chiesa non è né maschile, né femminile. La Chiesa è di Cristo. Il solo che può dare senso alle nostre vite. Senza di Lui sono solo parole e la Chiesa oggi sta cercando ostinatamente di fare a meno di Lui. Una Chiesa senza Cristo è senza futuro. Ma Lui ci salverà ancora una volta. Questa è la nostra speranza