Nella sua seconda giornata portoghese papa Francesco ha avuto occasione di iniziare a incontrare i giovani: prima quelli dell’Università cattolica; poi quelli di Scholas occurentes; e poi quelli convenuti a Lisbona per la Giornata mondiale della gioventù nella Cerimonia di accoglienza.
Partendo dall’immagine del pellegrino, evocato dalla rettrice dell’Università nel suo saluto, Francesco ha intessuto una riflessione sulla condizione comunemente umana e sull’apporto che cultura e istruzione possono dare per l’edificazione di una società giusta e umanamente fraterna.
Il pellegrino è colui che si trova davanti a «grandi domande che non hanno risposta, una risposta semplicistica o immediata, ma invitano a compiere un viaggio, a superare sé stessi, ad andare oltre». Questa dinamica è anche quella della scienza e del sapere, che camminano cercando una meta, un approdo – che, a sua volta, diventerà punto ulteriore di partenza per nuovi cammini di conoscenza.
Davanti a questo orizzonte aperto e non prevedibile del pellegrinaggio balena la tentazione di soluzioni a buon mercato, immediatamente disponibili e per questo rassicuranti. Quando questo succede, allora è necessario mettere in campo una giusta diffidenza: «Diffidiamo! Questa diffidenza è un’arma per poter andare avanti e non continuare a girare intorno».
Davanti alle molte inquietudini, personali e sociali, che abitano nel cuore dei giovani, Francesco ha cercato di svilupparne il lato costruttivo: «Essere insoddisfatti, in questo senso e nella giusta misura, è un buon antidoto contro la presunzione di autosufficienza e contro il narcisismo. (…) Non allarmiamoci allora se ci troviamo interiormente assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro. (…) Preoccupiamoci piuttosto quando siamo disposti a sostituire la strada da fare con la sosta in qualsiasi punto di ristoro, purché ci dia l’illusione della comodità; quando sostituiamo i volti con gli schermi, il reale col virtuale; quando, al posto delle domande che lacerano, preferiamo le risposte facili che anestetizzano».
Ai giovani universitari Francesco ha chiesto la disponibilità a essere protagonisti di speranza e futuro, danzando la vita con gioia: «Abbiate il coraggio di sostituire le paure coi sogni. Sostituite le paure coi sogni: non siate amministratori di paure, ma imprenditori di sogni».
Nell’interlocuzione con le testimonianze di alcuni studenti, emergono temi urgenti – cari non solo a Francesco, ma anche alle generazioni più giovani. «L’urgenza drammatica» del prendersi cura della casa comune. A cui si lega quello della ecologia integrale – che vuol dire «ascoltare la sofferenza del pianeta insieme a quella dei poveri; mettere il dramma della desertificazione in parallelo con quello dei rifugiati; il tema delle migrazioni insieme a quello della denatalità; occuparsi della dimensione materiale della vita all’interno di una dimensione spirituale».
Poi la «cultura dell’incontro» capace di dare casa a chi vive sradicato dalla sua terra e tradizioni d’origine. Infine, il tema educativo rispetto al quale papa Francesco ha colto l’occasione di rilanciare il Patto educativo globale caduto in sordina anche per via di molte vicissitudini. Francesco ha chiesto ai giovani universitari, ma più ampiamente alle istituzioni accademiche cattoliche, di studiare il Patto – dove globalità non riguarda solo, o tanto, la dimensione geografica, ma si riferisce principalmente alla forma del sapere: «Essere università cattolica vuol dire anzitutto questo: che ogni elemento è in relazione al tutto e che il tutto si ritrova nelle parti. Così, mentre si acquisiscono le competenze scientifiche, si matura come persone (…)».