Ancora una volta sorprendente e intrigante. Il discorso di auguri natalizi del papa alla curia romana (22 dicembre) completa il suo approccio alla riforma dei dicasteri vaticani (ne abbiamo scritto qui). 3 discorsi, 15 tentazioni (2014), 12 virtù (2015) e ora l’elenco dei 12 criteri e dei 18 documenti operativi. Il fondamento teologico e spirituale del Natale apre alle dinamiche del discernimento. Queste fondano i criteri operativi a cui si ispirano le decisioni finora prese. Manca ancora una costituzione apostolica conclusiva che è prevista non prima del 2018.
Le citazioni di Agostino e Macario introducono al mistero del Dio cristiano nel Natale di Gesù. «È la festa dell’umiltà amante di Dio, del Dio che capovolge l’ordine del logicamente scontato, l’ordine del dovuto, del dialettico e del matematico». Come diceva Paolo VI: «C’è stato da parte di Dio uno sforzo di inabissarsi, di sprofondarsi dentro di noi, perché ciascuno, dico ciascuno di voi, possa dargli del Tu, possa avere confidenza, possa avvicinarlo, possa sentirsi da Lui pensato, da Lui amato (…) Se voi capite questo, se voi ricordate questo che vi sto dicendo, voi avete capito tutto il cristianesimo». Le voci dei due pontefici sembrano sovrapporsi, i tempi difficili della prima riforma conciliare richiamano da vicino quelli che Francesco sta attraversando. Ben oltre il quadro della riforma curiale.
Il papa e la sua potestà
Parlando ai suoi collaboratori non appare incongruente il richiamo al compito testimoniale del papato, anche nella sua declinazione giuridica di «potestà singolare, piena, suprema, immediata e universale». In nota si richiama il doppio compito del pontefice: «conservare tutti i fedeli nel vincolo di una sola fede e della carità»; operare «perché l’episcopato fosse uno e indiviso». La curia, organo «d’immediata aderenza e di assoluta obbedienza» aiuta il papa in questo, sempre in nome e con l’autorità del romano pontefice.
Nell’opera di riforma ecclesiale non può mancare quella della curia le cui dinamiche di fondo sono evocate attraverso Ignazio: «Deformata reformare, reformata conformare, conformata confirmare e confirmata trasformare». La prima operazione è di rendere le strutture conformi al Vangelo, ai segni del tempo e al fine proprio dei dicasteri: il servizio al papa. La seconda è l’imperativo di conformarsi, attraverso il servizio al papa, al bene della Chiesa. Il terzo è operato dalla conferma del popolo di Dio e il quarto è la permanente disponibilità all’aggiornamento degli strumenti. Quella di papa Francesco è la quarta revisione curiale dopo quella di Pio X nel 1908, di Paolo VI nel 1967 e di Giovanni Paolo II nel 1998. «La riforma della curia non si attua in nessun modo con il cambiamento delle persone (…), ma con la conversione nelle persone». «Senza un mutamento di mentalità lo sforzo funzionale risulterebbe vano».
Resistenze
Si pare qui il delicato capitolo delle resistenze e delle vischiosità. Vi sono resistenze aperte, dirette e sincere; resistenze nascoste, indirette e irresponsabili; e resistenze malevoli «che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive». «Questo ultimo tipo di resistenza si nasconde dietro le parole giustificatrici e, in tanti casi, accusatorie, rifugiandosi nelle tradizioni, nelle apparenze, nelle formalità, nel conosciuto, oppure nel voler portare tutto sul personale senza distinzione tra l’atto, l’attore e l’azione». È difficile trovare parole così severe e non pensare a qualche significativo pericolo per l’unità della Chiesa, anche se Francesco ritiene che siano «necessarie e meritino di essere ascoltate, accolte e incoraggiate ad esprimersi». Il suo atteggiamento interiore e quello a cui chiama ogni fedele è così espresso: «La riforma della curia è un delicato processo che deve essere vissuto con fedeltà all’essenziale, con continuo discernimento, con evangelico coraggio, con ecclesiale saggezza, con attento ascolto, con tenace azione, con positivo silenzio, con ferme decisioni, con tanta preghiera, con profonda umiltà, con chiara lungimiranza, con concreti passi in avanti e – quando risulta necessario – anche con passi indietro, con determinata volontà, con vivace vitalità, con responsabile potestà, con incondizionata obbedienza; ma in primo luogo con l’abbandonarci alla sicura guida dello Spirito Santo, confidando nel suo necessario sostegno».
Tentazioni e virtù
Prima di affrontare i 12 criteri guida della riforma, richiamo le tentazioni e le virtù, che il papa ha elencato nei discorsi alla curia del 2014 e del 2015. Anzitutto le tentazioni, elencate sul modello dei cataloghi dei padri del deserto. 1. «La malattia del sentirsi immortale, immune o addirittura indispensabile, trascurando i necessari e abituali controlli». 2. «La malattia del “martalismo” (che viene da Marta), dell’eccessiva operosità; ossia di coloro che si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, la “parte migliore”: il sedersi ai piedi di Gesù». 3. «C’è anche la malattia dell’“impietrimento” mentale e spirituale: ossia di coloro che posseggono un cuore di pietra e una testa dura». 4. «La malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo». 5. «La malattia del cattivo coordinamento: quando le membra perdono la comunione tra di loro e il corpo smarrisce la sua armoniosa funzionalità e la sua temperanza». 6. «C’è la malattia dell’“Alzheimer spirituale”: ossia la dimenticanza della propria storia di salvezza, della storia personale con il Signore, del “primo amore”». 7. «La malattia della rivalità e della vanagloria»; «essere uomini e donne falsi». 8. «La malattia della schizofrenia esistenziale. È la malattia di coloro che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre». 9. «La malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi». 10. «La malattia del divinizzare i capi. È la malattia di coloro che corteggiano i superiori, sperando di ottenere la loro benevolenza». 11. «La malattia dell’indifferenza verso gli altri». 12. «La malattia della faccia funerea», sintomo «di paura e di insicurezza di sé». 13. «La malattia dell’accumulare» beni materiali per «sentirsi al sicuro». 14. «La malattia dei circoli chiusi, dove l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso». 15. «La malattia del profitto mondano, degli esibizionismi».
Poi le virtù che vengono elencate con l’analisi acrostica in base alla parola misericordia, secondo un metodo mnemonico molto usato da p. Ricci nella sua missione cinese. 1. Missionarietà e pastoralità. Essere missionari con la vita, il lavoro e la testimonianza. Con l’atteggiamento di chi segue ogni giorno il Buon Pastore. 2. Idoneità e sagacità. Sforzo di acquisire i requisiti necessari per esercitare il proprio compito e prontezza di mente per comprendere la situazioni. 3. Spiritualità e umanità. La prima protegge la nostra fragilità, la seconda indica la veridicità della nostra fede. 4. Esemplarità e fedeltà. Si evitano gli scandali e si vive con fedeltà la propria consacrazione. 5. Razionalità e amabilità. «La razionalità serve per evitare gli eccessi emotivi e l’amabilità per evitare gli eccessi della burocrazia e delle programmazioni e pianificazioni». 6. Innoquità e determinazione. Essere cauti nel giudizio ed essere determinati nell’azione. 7. Carità e verità. La carità senza verità diventa ideologia, la verità senza carità diventa giudiziarismo. 8. Onestà e maturità. L’agire con assoluta sincerità con noi stessi e con Dio comporta la maturità dell’armonia «tra le nostre capacità fisiche, psichiche e spirituali». 9. Rispettosità e umiltà. Operare con animo nobile e delicato, con l’atteggiamento delle persone piene di Dio. 10. Doviziosità e attenzione. «Più si dà più si riceve»; «curare i dettagli e offrire il meglio di noi». 11. Impavidità e prontezza. «Non lasciarsi impaurire di fronte alla difficoltà», con la prontezza di saper agire con libertà e agilità. 12. Affidabilità e sobrietà. Mantenere gli impegni con serietà e attendibilità, con la capacità di rinunciare al superfluo e di resistere alla logica consumistica dominante.
I criteri della riforma
Ed ecco i criteri della riforma, formulati nel discorso del 22 dicembre 2016. 1. Individualità o conversione personale. 2. Pastoralità o conversione pastorale, cioè spiritualità di servizio e comunione. 3. Missionarietà. 4. Razionalità, cioè rispettare le competenze. 5. Funzionalità. 6. Modernità e aggiornamento. 7. Sobrietà (accorpamenti, fusioni, soppressioni). 8. Sussidiarietà (in particolare per la funzione di coordinamento della Segreteria di Stato). 9. Sinodalità (dando rilevanza alla sessione ordinaria con i vescovi). 10. Cattolicità (spazio ai veri paesi e continenti e alle figure ecclesiali come laici e laiche). 11. Professionalità. 12. Gradualità e discernimento.
Le 18 decisioni che vengono singolarmente enumerate riguardano la costituzione del Consiglio dei cardinali (93 riunioni), tutte le normative relative alla IOR, all’economia (compresa la Segreteria economica e i suoi statuti) e alla finanza, le disposizioni sugli abusi e sulle modifiche del diritto canonico (sul matrimonio e la nullità), l’erezione della Segreteria della comunicazione, del dicastero per i laici, la famiglia e la vita, e quello per il Servizio allo Sviluppo umano integrale. Oltre alle disposizioni relative alla Pontificia accademia per la vita.
Alla vigilia del conclave nel 2013 la richiesta di riforma della curia era molto condivisa e considerata urgente dai cardinali elettori: troppi scandali personali, troppe carte trafugate, troppe polemiche pubbliche, troppe «cordate» in ordine alla nomina dei vescovi. Molto è stato fatto sulla trasparenza economica della banca IOR e dei bilanci. L’avvio e gli accorpamenti dei dicasteri sono a buon punto. Rimangono da definire il ruolo della Segreteria di stato, alcune dislocazioni di uffici e commissioni e il quadro di insieme. Il percorso ha invertito la tradizione che enunciava la riforma e la metteva in pratica. Ora si costruisce modificando i singoli “pezzi”, aggiustandoli via via e prevedendo una sintesi a posteriori.
Come corollari legati all’opera di riforma della curia si può rilevare una minore produzione di documenti da parte dei dicasteri, un progressivo e rinnovato riconoscimento al magistero dei vescovi e delle conferenze episcopali, una maggiore libertà per le ricerche dei teologi. È probabile e auspicabile una nuova stagione di pronunciamenti episcopali, come è successo fra gli anni Sessanta e Ottanta. È scomparsa nei media l’ansiosa e interessata denuncia dei mali curiali, ma il ruolo di pontefice della Chiesa romana e di leader internazionale di papa Francesco non può fare a meno di una curia che amplifichi e accondiscenda alla riforma evangelica da lui perseguita.