È stato oscurato dall’orrore di Bucha, il discorso a Malta di Francesco? Io dico: tutt’altro! Proprio la carneficina ne risalta ora l’intensità. Questa io oppongo alla debolezza della ricezione.
A Malta Francesco ha proposto, ancora una volta, una Chiesa globale, non più solo occidentale: una Chiesa che ha nel Mediterraneo il suo topos per antonomasia. Riconoscere il luogo Mediterraneo significa, infatti, coglierne l’intima natura di incontro di tre continenti, di tre religioni, di tre ambienti culturali diversi, così come sono diversi gli spazi, quali sono i deserti, le grandi pianure e le catene montuose che pur corrono verso un incontro, per riflettersi nello stesso specchio di mare.
Un mare che unisce
A differenza dell’Oceano, questo mare non divide irrimediabilmente terre lontane, piuttosto le unisce in un disegno multiforme o poliedrico – termine caro a Francesco – che fa delle differenze la ricchezza di tutti.
Dal Mediterraneo – con la stessa linea seguita dall’occhio – è possibile vedere anche l’Ucraina: una terra, come ho scritto più volte, cerniera tra l’Europa e la Russia che non potrà mai diventare un buco nella carta geografica.
La crisi che viene dal Mediterraneo ha evidentemente solcato le acque e le terre sino ad aggredire l’Ucraina, facendone la nuova terra d’elezione dello scontro delle visioni integrali di supposte civiltà che non sanno che farsene delle delicate cerniere, perché preferiscono le linee di faglia delle catastrofi e degli eventi apocalittici, bagnati di sangue. Sono esperte di muri, di espropri, di espansionismi. Sanno usare solo parole dure.
La visione di Francesco comporta – ben altrimenti – una cura delicata e paziente di questi luoghi emblematici del mondo. Parole tenere. La Chiesa globale è quella che porta all’incontro graziato delle differenze che, anziché combattersi, insegnano a vivere proprio a partire dalle difficoltà e dalla bellezza dello stare insieme. La Chiesa nazionalista è invece quella che vede i confini come burroni, al di là dei quali non ci può essere che l’ostilità, l’inimicizia, il peccato; mentre, al di qua, ci sarebbe solo il bene, il mondo degli eterni e immacolati valori da preservare.
Francesco e Cirillo
È ormai chiaro: quest’ultima, è la visione del patriarca Kirill, che non parla neppure più di Russia, bensì di un “mondo russo” che si estenderebbe da Mosca sino a tutti i territori in cui i russi dovrebbero andare nel mondo a costruire i loro baluardi.
Il discorso pronunciato da Francesco di fronte al corpo diplomatico a La Valletta – dal centro del Mediterraneo – è stato dunque tracciato secondo tutte le direzioni dei venti, per raggiungere tutti i luoghi di incontro del mondo, per parlare – tra le righe – davvero a tutti. Ha preso perciò le mosse dai venti che vengono da “nord-ovest”, da “sud” e da “est”.
Parlando da Malta di “venti di nord-ovest” – venti d’Europa – Francesco è parso rivolgersi proprio a Kirill – quasi personalmente -, a mio avviso, ma per dargli una mano ad uscire dal muro culturale dietro cui si sta trincerando quando parla di “guerra metafisica” all’Occidente divoratore – a suo dire – di valori e di tradizioni sacre.
Ma altri venti spirano – evidentemente – “da nord-ovest” sulle isole maltesi. Il nord richiama l’Europa, in particolare l’Unione Europea, edificata come casa perché vi si abiti come in una grande famiglia unita e impegnata a custodire la pace.
L’Europa pensata da Francesco non è un mondo a parte, quale è il “mondo russo” di Kirill, tra Russia, Bielorussia, Ucraina e forse Kazakistan. L’Europa sognata da Francesco è un’altra cosa. È una forma di unità che non appiattisce e non uniforma.
Poco dopo infatti – nel suo discorso – sono giunte le sue parole sui “venti dell’ovest”: “Il vento del nord si mescola spesso con quello che spira da ovest. Questo Paese europeo, in particolare nella sua gioventù, condivide infatti gli stili di vita e di pensiero occidentali. Da ciò derivano grandi beni – penso per esempio ai valori della libertà e della democrazia -, ma anche rischi su cui occorre vigilare, perché la brama del progresso non porti a staccarsi dalle radici.
Malta è un meraviglioso laboratorio di sviluppo organico, dove progredire non significa tagliare le radici con il passato in nome di una falsa prosperità dettata dal profitto, dai bisogni indotti dal consumismo, oltre che dal diritto di avere qualsiasi diritto. Per uno sviluppo sano, è importante custodire la memoria e tessere con rispetto l’armonia tra le generazioni, senza lasciarsi assorbire da omologazioni artificiali e da colonizzazioni ideologiche, che spesso avvengono, per esempio, nel campo della vita, del principio della vita. Sono colonizzazioni ideologiche che vanno contro il diritto alla vita dal momento del concepimento”.
A me sembra qui del tutto evidente che alla visione in bianco e nero del patriarca di Mosca, Francesco ponga accanto l’immagine fatta di sfumature – di pregi e di progressi – che i venti dell’ovest offrono al mondo, insieme a rischi evidenti che – tuttavia – non ha voluto celare: anzi, li ha ricordati! Ecco: se a Mosca non ci si chiudesse dietro ad un muro, ci si potrebbe mettere proficuamente insieme per migliorare la vita di tutti!
L’Europa “sicura”
Sono arrivati poi – nelle parole di Francesco – i “venti del sud”: diretti ai cittadini di questo Occidente, specie quando questi si pensano in termini autoreferenziali.
Da sud infatti “giungono tanti fratelli e sorelle in cerca di speranza. Vorrei ringraziare le Autorità e la popolazione per l’accoglienza loro riservata in nome del Vangelo, dell’umanità e del senso di ospitalità tipico dei maltesi. Secondo l’etimologia fenicia, Malta significa porto sicuro. Tuttavia, di fronte al crescente afflusso degli ultimi anni, timori e insicurezze hanno generato scoraggiamento e frustrazione. Per ben affrontare la complessa questione migratoria occorre situarla entro prospettive più ampie di tempo e di spazio.
Di tempo: il fenomeno migratorio non è una circostanza del momento, ma segna la nostra epoca. Porta con sé i debiti di ingiustizie passate, di tanto sfruttamento, di cambiamenti climatici e di sventurati conflitti di cui si pagano le conseguenze. Dal sud povero e popolato, masse di persone si spostano verso il nord più ricco: è un dato di fatto, che non si può respingere con anacronistiche chiusure, perché non vi saranno prosperità e integrazione nell’isolamento.
C’è poi da considerare lo spazio: l’allargamento dell’emergenza migratoria – pensiamo ai rifugiati dalla martoriata Ucraina adesso – chiede risposte ampie e condivise. Non possono alcuni Paesi sobbarcarsi l’intero problema nell’indifferenza di altri! E non possono Paesi civili sancire per proprio interesse torbidi accordi con malviventi che schiavizzano le persone. Purtroppo, questo succede. Il Mediterraneo ha bisogno di corresponsabilità europea, per diventare nuovamente teatro di solidarietà e non essere l’avamposto di un tragico naufragio di civiltà”.
Come aveva già detto a Lesbo, Francesco ci avverte del rischio di un naufragio di civiltà sulle nostre coste. Questo mondo che vuole essere libero e democratico ha difficoltà a farselo dire. E proprio la concomitante sciagura nel mare – l’ennesima costata la vita ad oltre 90 migranti affogati nel silenzio europeo – ci dice quanto Francesco ne avverta – nella propria carne – il dramma. I segni sono evidenti.
Oriente: dove sorgono le tenebre
Passando decisamente ai “venti dell’est” geopolitico, il papa ha evidenziato che, anziché accompagnare l’aurora, hanno portato – quest’anno – le tenebre di un’altra guerra.
“Pensavamo che invasioni di altri Paesi, brutali combattimenti nelle strade e minacce atomiche fossero ricordi oscuri di un passato lontano. Ma il vento gelido della guerra, che porta solo morte, distruzione e odio, si è abbattuto con prepotenza sulla vita di tanti e sulle giornate di tutti. E, mentre ancora una volta qualche potente, tristemente rinchiuso nelle anacronistiche pretese di interessi nazionalisti, provoca e fomenta conflitti, la gente comune avverte il bisogno di costruire un futuro che, o sarà insieme, o non sarà. Ora, nella notte della guerra che è calata sull’umanità – per favore – non facciamo svanire il sogno della pace”.
In questo passo mi sembra evidente il senso dell’ammonimento: il problema più grave che continua a scuotere l’albero della vita e della comunione è il nazionalismo.
Il Mediterraneo conosce nei più intimi dettagli – ahinoi – la guerra. Così come conosce molto bene il nazionalismo in tutte le sue varianti. Nella citazione di La Pira, Francesco ha trovato una risposta globale, come globale intende la sua Chiesa. Nel 1960 La Pira formulava così: “La congiuntura storica che viviamo, lo scontro di interessi e di ideologie che scuotono l’umanità in preda a un incredibile infantilismo, restituiscono al Mediterraneo una responsabilità capitale: definire di nuovo le norme di una Misura dove l’uomo lasciato al delirio e alla smisuratezza possa riconoscersi”.
Magistero meditteraneo
È una frase ripresa a riassumere il magistero papale del Mediterraneo, giunto al punto più inatteso della sua stesura con la firma apposta insieme all’imam di al-Azhar, al-Tayyeb, al Documento sulla fratellanza umana. “Quanto ci serve una misura umana davanti all’aggressività infantile e distruttiva che ci minaccia, di fronte al rischio di una guerra fredda allargata che può soffocare la vita di interi popoli e generazioni! Quell’infantilismo, purtroppo, non è sparito. Riemerge prepotentemente nelle seduzioni dell’autocrazia, nei nuovi imperialismi, nell’aggressività diffusa, nell’incapacità di gettare ponti e di partire dai più poveri. Oggi è tanto difficile pensare con la logica della pace. Ci siamo abituati a pensare con la logica della guerra. Da qui comincia a soffiare il vento gelido della guerra, che anche stavolta è stato alimentato negli anni”.
Pensare che qualcuno abbia letto queste ultime parole in riferimento a specifiche azioni e non ad una cultura intera che si rafforza nell’aggressività e nella paura – parole speculari come le gocce dell’acqua – sorprende. La rosa dei venti che Francesco ha dispiegato da Malta è una lettura profonda che invita a liberarsi da autocrazie e da imperialismi, da aggressività e da cultura dello scarto, ossia da tutto ciò che – scrutando l’orizzonte dal Mediterraneo – l’umanità è chiamata a dismettere una volta per sempre. Altrimenti sarà la fine. Nel più grande dei peccati: l’odio.