In occasione dei cent’anni dalla nascita di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, su richiesta dell’allora segretario del papa, attualmente cardinale, Styanislav Dziwisz e, dal 2002 fino al dicembre 2016, arcivescovo di Cracovia, ha scritto la seguente riflessione, pubblicata in originale tedesco dal settimanale cattolico Tagespost il 15 maggio.
Il 18 maggio saranno trascorsi cent’anni dalla nascita di papa Giovanni Paolo II nella cittadina polacca di Wadowice. La Polonia, che per più di cent’anni era stata divisa tra le tre maggiori potenze circostanti, Prussia, Russia e Austria, aveva riacquistato l’indipendenza alla fine della Prima guerra mondiale.
Era stata una ripartenza piena di speranza, ma anche di difficoltà, perché la pressione delle due grandi potenze, Germania e Russia, aveva continuato a pesare sullo stato che si stava appena riorganizzando. In questa situazione di difficoltà, ma soprattutto di speranza, è cresciuto il giovane Karol Wojtyla, che aveva perso molto presto sua madre, suo fratello e, infine, anche suo padre, da cui aveva imparato una profonda e calda pietà. Il giovane Karol era particolarmente appassionato di letteratura e teatro e, dopo aver superato l’esame di maturità, aveva iniziato a studiare queste materie.
«Per sfuggire alla deportazione, nell’autunno del 1940 iniziò a lavorare in una cava, che apparteneva alla fabbrica chimica di Solvay» (cf. Giovanni Paolo II, dono e segreto. Il 50° anno della mia ordinazione. Ed. Styria, Graz Wien Köln 1997, p. 18).
«Nell’autunno del 1942 prese la decisione definitiva di entrare nel seminario di Cracovia, che l’arcivescovo Sapieha di Cracovia aveva segretamente allestito nella sua residenza. Già da operaio aveva iniziato a studiare teologia su vecchi libri di testo, così che il 1° novembre 1946 poté essere ordinato sacerdote» (ibid., pp. 23 ss.).
«Certamente, non studiò la teologia solo sui libri, ma anche a partire dalla situazione concreta che assillava lui e il suo paese. Questo è in qualche modo caratteristico di tutta la sua vita e della sua azione. Studia sui libri, ma sperimenta e soffre le domande nascoste dietro quanto era stampato. Così per lui, giovane vescovo – dal 1958 ausiliare, dal 1964 dell’arcivescovo di Cracovia –, anche il Concilio Vaticano II divenne una scuola per tutta la sua vita e la sua opera. Le grandi domande che sorgevano soprattutto in relazione al cosiddetto schema 13 – la successiva costituzione pastorale Gaudium et spes – erano le sue domande personali. Le risposte sviluppate nel Concilio gli mostrarono la strada per il suo lavoro di vescovo, e successivamente, di papa.
La Chiesa in una situazione drammatica
Quando il cardinale Wojtyla fu eletto quale successore dell’apostolo Pietro, il 16 ottobre 1978, la Chiesa si trovava in una situazione drammatica. Le deliberazioni del Concilio erano state presentate al pubblico come una disputa sulla fede stessa, dalla quale sembrava essere stata rimossa la caratteristica della sua inconfondibile e inviolabile sicurezza.
Un pastore bavarese, ad esempio, ha commentato la situazione dicendo: «Alla fine siamo stati acchiappati in una fede sbagliata». La sensazione che non ci fosse più nulla di certo, che tutto fosse in discussione fu ulteriormente alimentata dal modo in cui era stata effettuata la riforma liturgica. Alla fine, tutto sembrava fattibile anche nella liturgia.
Paolo VI aveva posto fine al Concilio con energia e determinazione ma, dopo la sua conclusione, si era trovato ad affrontare domande sempre più pressanti, nelle quali era – in definitiva – la Chiesa stessa a essere messa in discussione. I sociologi hanno confrontato la situazione della Chiesa in quel periodo con la quella dell’Unione Sovietica sotto Gorbachev, quando l’intera potente struttura di potere dello Stato sovietico alla fine è crollata nel tentativo di attuare le necessarie riforme.
In effetti, il nuovo papa dovette affrontare un compito che sembrava difficilmente possibile da un punto di vista umano. Ma avvenne che, fin dal primo momento, Giovanni Paolo II riuscì a suscitare un nuovo entusiasmo per Cristo e la sua Chiesa. Prima di tutto, all’inizio del suo pontificato con l’esortazione: «Non abbiate paura! Aprite, sì, spalancate le porte a Cristo!». Questa chiave alla fine determinò il suo intero pontificato e lo rese un rinnovatore in grado di liberare la Chiesa. Il presupposto per questo fu che il nuovo papa proveniva da un Paese in cui l’accoglienza del Concilio era stata positiva: non c’era alcun dubbio su ciò che era decisivo, bensì un gioioso rinnovamento.
Il papa ha compiuto nel mondo 104 grandi viaggi pastorali e ha proclamato ovunque il Vangelo della gioia, rendendo così comprensibile il suo dovere di difendere il Bene, per Cristo. In 14 encicliche ha completamente presentato in modo nuovo la fede della Chiesa e il suo insegnamento umano. Era inevitabile che suscitasse contraddizioni nelle Chiese occidentali piene di dubbi.
La Divina Misericordia centro essenziale della fede cristiana
Oggi mi sembra importante fare riferimento soprattutto al centro effettivo da cui leggere il messaggio dei diversi testi. Questo centro è stato portato vivamente all’attenzione di tutti noi nell’ora della sua morte. Papa Giovanni Paolo II è morto nelle prime ore della festa della Divina Misericordia, da lui inaugurata.
Vorrei prima aggiungere una piccola osservazione personale che rende noto qualcosa di importante riguardo alla natura e all’opera del papa. Sin dall’inizio, Giovanni Paolo II fu profondamente toccato dal messaggio della suora di Cracovia, Faustina Kowalska, che metteva in evidenza la misericordia divina come centro essenziale della fede cristiana e desiderava fosse dedicata ad essa un’apposita festa.
Dopo tutte le deliberazioni, il papa aveva indicato la domenica “in Albis” per questo. Prima che fosse presa la decisione finale, tuttavia, chiese alla Congregazione per la dottrina della fede di giudicare l’adeguatezza di questa data. Noi abbiamo risposto di no, perché ritenevamo che una data antica e piena di contenuti come quella della domenica “in Albis” non dovesse essere sovraccaricata di nuove idee. Non fu certamente facile per il Santo Padre accettare il nostro “no”. Ma lo ha fatto umilmente e ha accettato il nostro “no” una seconda volta. Alla fine, fece la proposta di lasciare la domenica “in Albis” nella sua forma storica, ma di includere la Divina Misericordia nel suo messaggio originale.
Ci furono altri casi simili in cui sono rimasto colpito dall’umiltà del grande papa, che ha rinunciato alle idee che gli stavano a cuore non riuscendo a trovare l’approvazione degli organi ufficiali, stabiliti secondo l’ordine classico.
Giovanni Paolo II giunse all’ultimo respiro in questo mondo proprio dopo la recita dei Primi Vespri che davano inizio alla domenica della Divina Misericordia. Ciò ha illuminato l’ora della sua morte: la luce della misericordia di Dio si innalza così come un messaggio confortante sulla sua morte.
Nel suo ultimo libro Memoria e Identità, pubblicato alla vigilia della sua morte, il papa ha nuovamente esposto in sintesi il messaggio della Divina Misericordia. Ricorda che suor Faustina è morta prima degli orrori della Seconda guerra mondiale, ma aveva già dato la risposta del Signore a tutta questa realtà così insopportabile. Era come se Cristo volesse dire attraverso di lei: «Il male non avrà la vittoria definitiva. Il segreto pasquale afferma che il bene alla fine sarà vittorioso, che la vita trionferà sulla morte e che l’amore trionferà sull’odio» (p. 71).
Un momento indimenticabile
Per tutta la vita, il papa si è preoccupato di acquisire per sé il centro oggettivo della fede cristiana, la dottrina della salvezza, e di renderlo comprensibile anche agli altri. La misericordia di Dio attraverso Cristo risorto è per ogni individuo. Sebbene questo centro dell’esistenza cristiana ci venga dato solo in virtù della fede, è anche filosoficamente significativo, perché se la misericordia di Dio non è un fatto, allora dobbiamo trovare la strada giusta in un mondo in cui un’ultima controforza del bene contro il male non è riconoscibile. Dopo tutto, al di là di questo significato storico oggettivo, è anche essenziale che tutti sappiano che alla fine la misericordia di Dio è più forte della nostra debolezza.
A questo punto, si trova anche l’unità intrinseca tra il messaggio di Giovanni Paolo II e le intenzioni di fondo di papa Francesco: Giovanni Paolo II non è un rigorista morale come è stato in parte ritratto. Con la centralità della Divina Misericordia, ci dà l’opportunità di accettare le richieste morali, anche se non potremo mai osservarle pienamente. E la nostra fatica morale avviene alla luce della Divina Misericordia, che si dimostra una forza risanatrice della nostra debolezza.
Alla morte di papa Giovanni Paolo II, piazza San Pietro era piena di gente, specialmente di giovani che volevano incontrare il loro papa un’ultima volta. Non posso dimenticare il momento in cui l’arcivescovo Sandri ha proclamato il messaggio della dipartita del papa. Soprattutto, rimane indimenticabile il momento in cui la grande campana di San Pietro ha raccolto questo messaggio.
Il giorno del funerale, c’erano molti cartelloni con le parole: «Santo subito!». Era un grido che si levava da tutti i lati, dall’incontro con Giovanni Paolo II. Non in piazza, ma in vari circoli intellettuali, fu discussa l’idea di assegnare il titolo di “Grande” a Giovanni Paolo II.
La parola “santo” concerne la sfera di Dio, la parola “grande” si riferisce alla dimensione umana.
Secondo i criteri della Chiesa, la santità può essere riconosciuta da due fattori: le virtù eroiche e un miracolo. Entrambi sono strettamente correlati. L’espressione “virtù eroica” non significa una sorta di prestazione olimpica, ma vuol dire che, nell’intimo e attraverso una persona, diventa visibile ciò che non proviene da lui, ma ciò che rende visibile l’opera di Dio dentro e attraverso di lui. Non si tratta di una competizione morale, ma di rinunciare alla propria grandezza. Il punto è che una persona lascia che Dio operi in lei e così l’azione e il potere di Dio diventano visibili attraverso di essa.
Lo stesso vale per il criterio del miracolo: anche qui non si tratta del fatto che accade qualcosa di sensazionale, ma che la bontà guaritrice di Dio diventa visibile in modo tale da superare le semplici possibilità umane.
Il santo è l’uomo che è aperto a Dio e compenetrato di Dio. Santo è colui che prende le distanze da se stesso e ci fa vedere e riconoscere Dio. Verificare ciò legalmente, per quanto possibile, è il significato dei due processi di beatificazione e di canonizzazione. Entrambi furono condotti rigorosamente secondo le norme vigenti per Giovanni Paolo II. Così ora egli si pone davanti a noi come Padre, che rende visibili a noi la misericordia e la bontà di Dio.
È difficile definire correttamente il termine “grande”
È più difficile definire correttamente il termine “grande”. Nel corso di quasi duemila anni di papato, il titolo “il Grande” è stato assegnato solo a due papi, Leone I (440–461) e Gregorio I (590-604). La parola “grande” ha una risonanza politica per entrambi, ma nel senso che attraverso il successo politico diventa visibile qualcosa del mistero di Dio stesso.
Mediante il dialogo, Leone Magno riuscì a convincere Attila, re degli unni, a risparmiare Roma, città dei principi degli apostoli Pietro e Paolo. Senza armi, senza potere militare o politico, fu in grado di convincere il temuto tiranno a salvare Roma con la forza della sua convinzione di fede. Nella lotta tra lo spirito e il potere, lo spirito si è dimostrato più forte.
Gregorio I non ebbe un simile spettacolare successo, ma fu sempre in grado di proteggere Roma dai longobardi – anche qui, opponendo lo spirito al potere e riportando la vittoria dello spirito.
Se si confrontano le due storie con quella di Giovanni Paolo II, si riscontra una somiglianza inconfondibile. Anche Giovanni Paolo II non aveva alcun potere militare o politico. Nel discutere la futura configurazione dell’Europa e della Germania nel febbraio del 1945, fu osservato che bisognava tenere presente anche la reazione del papa.
E Stalin chiese: «Quante divisioni ha il papa?». Beh, non aveva a disposizione alcuna divisione. Ma la forza della fede si rivelò un potere che alla fine scardinò il sistema sovietico nel 1989 e permise un nuovo inizio. Non c’è dubbio che la fede del papa sia stata un elemento essenziale nello sconvolgimento dei poteri. E in questo modo certamente anche qui si è potuto vedere quella grandezza che si era manifestata in Leone I e in Gregorio I.
Lasciamo aperto l’interrogativo se il titolo di “Grande” si imporrà o meno. È vero che il potere e la bontà di Dio sono diventati visibili a tutti noi attraverso Giovanni Paolo II. In un’ora in cui la Chiesa sta di nuovo soffrendo per la pressione del male, è per noi un segno di speranza e fiducia.