Poco lontano dalla chiesa di Santa Maria in Montesanto dove, nel 1904, fu ordinato sacerdote, il futuro papa Giovanni XXIII fu consacrato vescovo a Roma nella chiesa di San Carlo al Corso il 19 marzo 1925 dal cardinale Giovanni Tacci Porcelli, segretario della Congregazione Orientale. Quale motto per lo stemma scelse l’espressione oboedientia et pax, frutto dei suoi studi e della sua passione per la storia.
Infatti, quasi vent’anni prima, il venticinquenne don Angelo Roncalli, professore di storia presso il seminario diocesano di Bergamo, si vide affidare il discorso inaugurale del nuovo anno scolastico, in coincidenza del terzo centenario della morte del card. Cesare Baronio (1607-1907), discepolo di san Filippo Neri. In tale conferenza, svolta nel dicembre 1907, ricorda l’espressione che quotidianamente, baciando il piede della statua bronzea di san Pietro, Baronio soleva ripetere ossia pax et oboedientia, affermandone l’importanza rovesciandone però i termini[1]:
«Come lui sulla statua bronzea di san Pietro nella basilica vaticana, noi manteniamo chine le nostre fronti innanzi all’autorità vivente della Chiesa che ci parla, e ripetiamo con cuore sulle labbra: Oboedientia et pax. Quale grandezza vorrà essere anche la nostra un giorno: sulle vie dell’obbedienza salire esultanti alle gloriose conquiste della pace!»[2].
Se si considera che solo alcuni mesi prima, l’8 settembre 1907, papa Pio X con la lettera enciclica Pascendi Dominici gregis condannava gli errori del modernismo, tale richiamo all’obbedienza rivolto a seminaristi e superiori di un seminario risulta ancora più significativo. Tuttavia obbedienza per il relatore non significa immobilismo, come dimostra lo stesso discorso: se Roncalli ricorre ad una reminiscenza del suddetto documento papale, ciò non gli impedisce di evidenziare l’attenzione posta anche agli studi positivi, ossia storici.
Infatti, come scrive Francesco Mores, «nella Pascendi non c’era traccia della positività degli studi storici: affermandola, Roncalli ribadiva la validità della linea erudita che da Cesare Baronio passava per Girolamo Tiraboschi, confermando, nel contempo, la sua assoluta fedeltà all’eminente istituzione Chiesa Romana. In tale fedeltà, illuminata dalla fede trascendente, stava la soluzione proposta dal giovane professore ai giovani seminaristi, riassunta dal rovesciamento del motto baroniano pax et oboedientia in oboedientia et pax»[3].
Tale espressione Angelo Roncalli l’aveva già usata in forma compiuta in una lettera del precedente 10 gennaio 1907 al chierico bergamasco don Gustavo Testa: «La prima volta che ti recherai a San Pietro, bacerai il piede della famosa statua per me, e dirai le parole che nel compiere quell’atto devoto ripeteva sempre il cardinal Baronio: Oboedientia et pax»[4]. Di nuovo affermava: «Quelle sue parole: Pax et oboedientia, assumono dinanzi a me un altissimo significato e, se io non m’inganno, illuminano e spiegano assai bene tutta la sua vita»[5].
L’«altissimo significato» di tale espressione del cardinal Cesare Baronio è testimoniato proprio dal fatto che diventerà non solo il motto episcopale, ma il riferimento constante della sua spiritualità e delle sue scelte. Così, durante gli esercizi in preparazione alla consacrazione episcopale, monsignor Angelo Roncalli scrisse nel Giornale dell’anima:
«La Chiesa mi vuole vescovo, per mandarmi in Bulgaria, ad esercitare, come Visitatore Apostolico, un ministero di pace. Forse sulla mia via mi attendono molte tribolazioni. Con l’aiuto del Signore mi sento pronto a tutto. Non cerco, non voglio la gloria di questo mondo; l’aspetto molto grande nell’altro […] Metto nel mio stemma le parole “Oboedientia et pax”, che il padre Cesare Baronio pronunciava tutti i giorni baciando in San Pietro il piede dell’Apostolo. Queste parole sono un po’ la mia storia e la mia vita. Oh, siano esse la glorificazione del mio povero nome nei secoli»[6].
Tale motto episcopale rimarrà non solo nel suo stemma cardinalizio ma pure in quello pontificio, quasi a rimarcare che anche quest’ultimo servizio lo svolse ponendo particolare attenzione all’essere innanzitutto vescovo di Roma la cui cattedra episcopale è nella basilica di San Giovanni in Laterano. E questo fu così radicato tanto da designare la cattedrale dell’Urbe come suo luogo di sepoltura lasciando scritto:
«Questa carità come opera di misericordia mi permetto di chiedere perché il mio tenue ricordo rimanga a San Giovanni, a segno di protezione e di benedizione precipua sopra la diocesi di Roma, che ho sempre sentito di amare tanto, sulle tracce di San Pietro apostolo, primo suo vescovo»[7].
Nel motto oboedientia et pax ritroviamo la linea di pensiero e di condotta fino all’elezione a vescovo di Roma nonché all’indizione del concilio Vaticano II come obbedienza allo Spirito Santo e alla fede della Chiesa, ma anche all’importante enciclica Pacem in terris pubblicata l’11 aprile 1963, ossia poco prima della morte sopravvenuta il 3 giugno del medesimo anno.
[1] Cf. Angelo Roncalli, Chierico e storico a Bergamo. Antologia di scritti (1907-1912), a cura di F. Mores, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2008, p. XVIII-XXI.
[2] A. Roncalli, Chierico e storico a Bergamo, p. 37-38.
[3] A. Roncalli, Chierico e storico a Bergamo, p. XX.
[4] M. Benigni, Papa Giovanni XXIII chierico e sacerdote a Bergamo 1892-1921, Glossa, Milano 1998, p. 254.
[5] M. Benigni, Papa Giovanni XXIII chierico e sacerdote, p. 213.
[6] Circa il continuo riferimento a tale motto nella sua vita e spiritualità, soprattutto nei momenti decisivi, cf. M. Roncalli, Giovanni XXIII. Angelo Giuseppe Roncalli: una vita nella storia, Mondadori, Milano 2006.
[7] Citato in M. Manzo, Papa Giovanni vescovo a Roma. Sinodo e pastorale diocesana nell’episcopato romano di Roncalli, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1991.