Lunedì 2 marzo gli studiosi che si erano da tempo prenotati hanno potuto per la prima volta prendere visione delle carte relative al governo della chiesa universale nel periodo di Pio XII. Fino a questo momento gli Archivi vaticani – che, secondo una prassi inaugurata nel 1881 da Leone XIII, pongono come limite alla consultazione la conclusione di un pontificato, escludendo però i dossier relativi agli affari che, pur iniziati in precedenza, sono stati portati a termine successivamente a quella data – consentivano l’accesso fino alla morte di Pio XI (febbraio 1938). Il limite si è così spostato all’ottobre 1958.
È stato dunque rispettato l’impegno preso circa un anno fa da papa Francesco, il quale, assai opportunamente, ha anche voluto che dalla titolatura ufficiale dell’Archivio scomparisse quell’aggettivo “segreto” da cui traevano spesso alimento fantasiose illazioni.
E ha finalmente trovato una risposta positiva la domanda di una conoscenza completa, pubblica e verificabile – base di ogni seria pratica storiografica – dei materiali depositati in archivio durante il papato pacelliano. Non aveva corrisposto a questa esigenza la pur utile pubblicazione tra il 1965 e il 1981 degli undici tomi di Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiales ad opera di quattro storici gesuiti.
Il Vicario
Si trattava infatti di una selezione i cui criteri non risultavano spesso esplicitati. L’aveva promossa Paolo VI, allo scopo di porre termine alle polemiche suscitate dalla rappresentazione della pièce teatrale Il Vicario, il cui autore, Rolf Hochhut, non senza l’intenzione di sollevare il popolo tedesco dalle colpe che gli venivano attribuite sul genocidio del popolo ebraico, finiva per farne ricadere su Pio XII la principale responsabilità. Nonostante lo sviluppo di studi basati su una ricognizione puntuale, scrupolosa e criticamente inappuntabile della documentazione pubblica – l’ancora insuperato volume di Giovanni Miccoli I dilemmi ed i silenzi di Pio XII appare in prima edizione nel 2000 – il tema di un coinvolgimento diretto del pontefice nella Shoah è periodicamente riemerso.
Al di là del fatto che nel 2002 il regista Costa-Gravas ha riproposto nel film Amen le tesi di Hochhut, basta ricordare il successo editoriale planetario di cui ha goduto all’inizio del terzo millennio il libro del giornalista britannico John Cornwell, Il papa di Hitler, che descriveva un Pacelli prono ad ogni volere del dittatore tedesco. L’apertura degli Archivi vaticani dovrebbe quindi dar inizio ad una nuova stagione caratterizzata dalla ricerca di una serena approssimazione a quel che è effettivamente successo sulla base dell’esame delle carte.
Il reflusso polemico
In realtà questi primi giorni hanno visto la riproposizione delle vecchie polemiche. Se ne può ricondurre l’origine ad un articolo pubblicato sull’Osservatore romano del 2-3 marzo da Johan Ickx, il responsabile di uno dei più importanti fondi resi ora accessibili, l’Archivio storico della Sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Informava che l’accesso ai documenti di quel fondo si accompagnava ad una rilevantissima innovazione tecnologica: tutte le carte ìvi depositate erano in via di digitalizzazione, sicché ogni singolo studioso ammesso nella Sala di studio della Torre Borgia poteva accedere dalla sua postazione telematica a tutti i materiali finora digitalizzati contemporaneamente ad ogni altro studioso presente.
Si tratta di una novità che, oltre a garantire una più sicura tutela conservativa dei documenti, consente ai ricercatori una dilatazione della capacità di lavoro e un risparmio di tempo fino a poco tempo fa davvero impensabili. Ickx aggiungeva poi che tra i materiali disponibili vi era anche la serie archivistica “Ebrei” che rivelava i larghi aiuti prodigati dalla Santa sede per salvare i perseguitati dalla legislazione razzista dei totalitarismi.
Il tema, ripreso ed evidenziato fin nel titolo dell’articolo del quotidiano vaticano, ha richiamato l’attenzione del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni. Questi ha rilasciato all’ANSA alcune dichiarazioni, subito rilanciate da diversi giornali, in cui, esprimendo il timore che l’anticipazione sui contenuti dei fondi vaticani relativi agli ebrei volesse orientare gli studi predeterminandone i risultati, ha vivacemente ricordato i silenzi di Pio XII, in particolare sulla deportazione degli ebrei romani.
Il riaccendersi della questione ha spinto qualche studioso che già in passato si era distinto per la volonterosa partecipazione, sul versante apologetico o su quello polemico, alla dilatazione della bolla mediatica sulle responsabilità di Pacelli, a ribadire le proprie opinioni in merito. L’impressione complessiva è piuttosto stucchevole. Come ben sanno gli studiosi che, a livello internazionale, si sono negli ultimi mesi preparati – attraverso appositi e serrati convegni e seminari, come quelli tenuti a Parigi, Madrid, Roma – ad affrontare i problemi conoscitivi posti dall’apertura degli Archivi vaticani per il periodo di Pio XII, la questione dell’atteggiamento di Pacelli verso la Shoah non costituisce certo l’argomento che più preme oggi ai più avvertiti ricercatori.
Silenzio e diplomazia
Non perché non sia importante, ma perché già possediamo ricostruzioni persuasive. Le carte potranno meglio definirne i particolari e precisarne i contorni, ma difficilmente potranno mettere in questione il complessivo giudizio storico che si è ormai sedimentato: Pio XII associò al pubblico silenzio sullo sterminio degli ebrei – non perché non lo deplorasse, ma perché convinto che la via da seguire dovesse essere quella delle riservate trattative diplomatiche con i governi totalitari – un privato incoraggiamento verso le forme di carità che potevano aiutare alcuni perseguitati.
Toccherà ai postulatori della causa di beatificazione – L’Osservatore romano, contestualmente alla notizia dell’apertura degli Archivi vaticani, ha pubblicato la notizia che sul sito ufficiale della causa di canonizzazione sono a tutti accessibili, anche sotto forma di documenti sonori e visivi, ampie testimonianze sulla vita di Pio XII – verificare quanto questo comportamento corrisponda al canone odierno della santità.
Dopo il 1945
Per gli studiosi di storia i due milioni di carte, corrispondenti a 323 metri di documenti, che si possono oggi finalmente consultare sono piuttosto chiamati a rispondere ad altre domande su alcuni dei più intricati nodi.
Ad esempio l’atteggiamento della Santa sede sulla carta dei diritti umani proclamati dalle Nazioni Unite nel 1948, sul dilatarsi della minaccia della guerra nucleare con il conseguente erodersi della tradizionale dottrina della guerra giusta, sul formarsi di un fronte di dittature di destra pronte a battersi per ricostruire un regime di cristianità, sulle spinte ad una risacralizzazione della violenza bellica – che durante il pontificato pacelliano hanno segnato il rapporto tra Chiesa e società contemporanea.