Papa Francesco, dal 1° al 4 settembre, è in Mongolia per il suo 43° viaggio apostolico all’estero. L’ha definito un «pellegrinaggio di speranza».
Il card. Parolin, segretario di Stato, ha precisato che si tratta di «un viaggio per confermare nella fede la piccola e vivace comunità cattolica della Mongolia e per rafforzare anche i legami tra la Santa Sede e questo Paese asiatico. Va a visitare una “Chiesa nascente”, spuntata da poco nel mezzo della vastità dell’Asia… Questa visita si svolgerà attorno a tre cardini: pace, incontro e dialogo».
La stampa ha sottolineato che sarà anche un viaggio con vista su Mosca e Pechino.
Una panoramica sulla Chiesa in Mongolia
Per comprendere meglio la situazione della Chiesa in questo enorme Paese, grande cinque volte l’Italia (1.564.000 km²), confinante a nord con la Russia e a sud con la Cina, ma con solo poco più di tre milioni di abitanti, e una piccola comunità cattolica che si aggira sui 1.500 fedeli, offriamo questa panoramica della situazione e dei problemi che presenta, pubblicata da Vatican News martedì scorso, 29 agosto, in inglese, a firma di Lisa Zengarini e qui in una nostra versione.
Una presenza discontinua
Il cristianesimo arrivò per la prima volta in Mongolia attraverso i cristiani nestoriani di antica tradizione siriaca tra il VII e il X secolo. Nel corso dei secoli successivi, però, la presenza del cristianesimo fu discontinua.
Il cattolicesimo romano fu introdotto nel XIII secolo, al tempo dell’impero mongolo. Secondo la testimonianza del frate francescano italiano Giovanni da Pian del Carpine, che era stato inviato da papa Innocenzo IV alla corte del Khan nel 1245, l’antica capitale imperiale Karakorum era una città cosmopolita e multireligiosa, dove erano presenti anche i nestoriani.
Il primo missionario cattolico autorizzato ad entrare nel territorio fu il sacerdote domenicano francese Barthélémy de Crèmone, che giunse a Karakorum nel 1253 durante una missione diplomatica per conto del re di Francia.
Il cristianesimo scomparve con la fine del dominio mongolo in Estremo Oriente e ricomparve diversi secoli dopo quando ebbe inizio l’attività missionaria in Cina a metà del XIX secolo.
Nel 1922, papa Pio XI eresse la Missione sui iuris («Missione a pieno titolo») della Mongolia Esterna. Il suo territorio comprendeva l’attuale Repubblica della Mongolia ed era ricavato in parte dal territorio del vicariato apostolico della Mongolia Centrale, in Cina (attuale diocesi di Chongli-Xiwanzi), rinominato nel 1924 Missione sui iuris di Urga.
Il ritorno dei missionari cattolici in Mongolia nel 1992
Dopo la creazione in quello stesso anno di una classe dirigente della Repubblica popolare mongola filo-sovietica, ogni presenza cristiana fu completamente eliminata.
Solo dopo la fine del regime comunista e il passaggio della Mongolia alla democrazia nei primi anni ’90, fu introdotta nel paese la libertà religiosa, che consentì il ritorno dei missionari cattolici.
Nel 1992, la nuova Repubblica della Mongolia, nata dalla Rivoluzione Democratica del 1990, allacciò rapporti diplomatici con la Santa Sede e fu creata la Missione sui iuris di Ulan Bator, affidata ai Missionari del Cuore Immacolato di Maria (CICM, conosciuti come Missionari di Scheut).
La missione fu guidata fin dall’inizio dal missionario filippino del CICM Wenceslao Padilla (morto nel 2018), nominato da papa Giovanni Paolo II nel 2002 Vicario Apostolico e poi Prefetto Apostolico di Ulan Bator nel 2003.
Una Chiesa piccola ma vivace
Quando nel 1992 giunsero nella capitale mongola i primi tre missionari della congregazione di Scheut, in Mongolia non c’era più nessun cattolico e il lavoro per l’implantatio Ecclesiae («fondazione della Chiesa») dovette cominciare dal nulla, in mezzo a difficoltà linguistiche e culturali.
La loro attività apostolica, e quella di altre congregazioni religiose che seguirono, fu sostenuta economicamente dalla Chiesa coreana, e produsse i suoi frutti, come indica il lento ma costante aumento dei convertiti al cattolicesimo nel Paese a maggioranza buddista, e l’interesse dimostrato da un numero crescente di giovani mongoli cattolici per il sacerdozio e la vita consacrata.
Nel 1995 vi erano solo 12 cattolici mongoli. I dati più recenti, del 2023, collocano il numero attuale dei cattolici a circa 1.500 distribuiti in otto parrocchie e una cappella, su una popolazione complessiva di circa 3,5 milioni di abitanti.
Sono serviti da un vescovo, 25 sacerdoti, tra cui due mongoli, 6 seminaristi, 30 religiose, 5 religiosi non sacerdoti, 35 catechisti, appartenenti a circa 30 nazionalità diverse.
Come ha spiegato l’attuale Prefetto Apostolico di Ulan Bator, il card. italiano Giorgio Marengo dei Missionari della Consolata, la storia della Chiesa in Mongolia in questi tre decenni può essere grosso modo divisa in tre fasi.
Il primo periodo, dal 1992 al 2002 (anno in cui la Missione fu elevata da papa Giovanni Paolo II a Vicariato Apostolico), è stato segnato da piccoli ma significativi progressi, soprattutto nel campo dello sviluppo umano.
Il secondo periodo ha visto il sorgere delle prime comunità cristiane locali, mentre il terzo è stato caratterizzato dall’ordinazione, nel 2016, del primo sacerdote di etnia mongola, padre Joseph Enkhee-Baatar.
L’opera della Chiesa
L’attività missionaria della Chiesa in Mongolia continua anche attualmente a concentrarsi sui settori sociale, sanitario ed educativo.Nel 2020 erano presenti un istituto tecnico cattolico, due scuole elementari e due asili nido, una clinica medica che offre cure e medicinali agli indigenti, un centro per disabili e due istituti che ospitano anziani abbandonati e poveri.Ogni parrocchia ha inoltre avviato progetti caritativi che si aggiungono a quelli della Caritas Mongolia, aprendo mense per i poveri e impianti per lavarsi e organizzando corsi professionali per le donne.
Buoni rapporti con le autorità mongole e con le altre religioni
L’opera della Chiesa è apprezzata dalle autorità locali e ha contribuito a consolidare le buone relazioni tra Ulan Bator e la Santa Sede.I loro buoni rapporti sono stati confermati da un accordo firmato dall’ambasciatore mongolo presso la Santa Sede e dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali, per promuovere la collaborazione in campo culturale aprendo l’Archivio Segreto Vaticano ai mongoli ricercatori.
Relazioni interreligiose
Buoni sono anche i rapporti con le altre religioni, in particolare con le autorità religiose buddiste, che vantano una lunga tradizione di tolleranza risalente ai tempi dell’impero mongolo di Gengis Khan. Il 28 maggio 2022 ha avuto luogo la prima visita in Vaticano di una delegazione di ufficiali buddisti mongoli, accompagnati dal card. Giorgio Marengo.Secondo “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, i buddisti costituiscono poco più della metà della popolazione, mentre il 3% è musulmano, il 3% sciamano e il 2% protestante.
Sfide pastorali
In questo contesto, la prima sfida pastorale per la Chiesa mongola è aiutare i fedeli mongoli ad approfondire la propria fede e a renderla più rilevante nella loro vita quotidiana.
La seconda è promuovere la comunione e la fraternità tra i missionari delle diverse congregazioni e con le altre comunità cristiane del Paese, in gran parte protestanti.
Infine, ma non meno importante, è quella di annunciare il Vangelo alla società mongola, dove il 40% della popolazione si dichiara ateo.
È su questo panorama che si colloca il pellegrinaggio che il papa, prima di partire, ha affidato, in Santa Maria Maggiore, alla Vergine e che ha tanto il sapore di una visita a «una Chiesa nascente».
“A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” – Questo fu detto a Pietro. Un incarico preciso e terreno che va ben oltre ai bei discorsi e ai facili richiami, spesso a vuoto, in cerca di approvazione e consensi come un qualsiasi politico. Negli ultimi Papi si vede un Pietro diventato vecchio, senza più la forza giovanile; un Pietro che si lascia trascinare, basti vedere i concordati fatti dopo la caduta del suo regno, un Pietro che si adegua alle dottrine imposte dai grandi. E si continua a non volere realizzare quel rinnovamento della chiesa chiaramente indicatoci dal 3° segreto di Fatima e dal segreto di Ghiaie. E proprio assumendo come guida il segreto di Fatima invito a una rivoluzione di cristiani nei giorni dall’11 al 23 settembre, qui avete colpi d’arma da fuoco e frecce per combattere. Del resto, con Benedetto XVI, Pietro si è dimesso per vecchiaia per seguire Gesù come previsto dal Vangelo, a guidare la chiesa c’è ora quel “Vescovo vestito di bianco che da presentimento di essere il Santo Padre” (3°segreto.) https://www.amazon.com/-/es/Valentina-Braun-ebook/dp/B09HYWVG79
Complimenti per la serena ed equilibrata presentazione dell’immenso territorio. Francesco Strazzari
Un viaggio in aereo di 10 ore per stare in un paese due giorni. Tasso di inquinamento del pianeta come quello di anno di emissioni di CO2 da parte di un normale cittadino. Il quale sara’ esortato dalla prossima esortazione de papa a ” non inquinare”. E se cominciasse lui ?
Predica bene e razzola male come tutti i moderni ecogisti da salotto che si spostano privati.
Francamente boutade come questa fanno sorridere. Il Papa è un capo di stato, oltre che figura spirituale. E’ ben noto peraltro che Francesco si è spostato pochissimo nel suo pontificato, rispetto ad altri predecessori uno su tutti Giovanni Paolo II, tanto per non far nomi. Non è andato in Mongolia per vendere armi o per pianificare dove scaricare proietti all’uranio impoverito, come fanno altri premier, mi pare. Dell’inquinamento causato da questi, ci occupiamo? Preferiremmo il Papa chiuso nel suo ufficio vaticano a far affari di palazzo? oppure ci interessa si occupi dei fatti del mondo, che come sappiamo è ormai globale, con tutti i pro ed i contro che questo arreca. La coerenza assoluta, certamente, è gran cosa; è virtù da cercare alacremente, ma è utopia, tanto più in un mondo che si racconta la favola che una mail sia “green”, che un’auto elettrica inquini complesivamente meno di un’auto a combustibile fossile, che un cappotto ad un fabbricato fatto di polistirolo sia un’azione ecologica. Curioso. Green è chi vive con due capre, due polli, un orto e si sposta solo a piedi a trovare il vicino di casa; ne conosco pochi, tra questi c’erano i miei nonni.
Ma il Papa come dovrebbe andare in Mongolia? In treno?
No, scherza! Doveva anadare a piedi o in bicicletta, ovviamente! Il treno inquina troppo, non sia mai!