L’intervista e la bandiera bianca

di:

papa francesco

Se mi potessi permettere, da giornalista, un consiglio a papa Francesco, gli direi: «nomini un portavoce», perché è importante. Francesco non può prescindere – a mio parere – dalle interviste, altrimenti rinuncerebbe al colloquio con i suoi contemporanei, con noi. Ma le interviste non sono discorsi. Nelle interviste si risponde a delle domande, non si leggono documenti già pronti.

Il professor Daniele Menozzi ha avuto l’avvertenza di ricordare su SettimanaNews (qui), che il papa, ad una domanda sull’Ucraina, ha risposto verbalmente e subito, non ha letto un discorso.  Da quel che avevo immediatamente letto, ciò non risultava affatto chiaro.

Per capire un’intervista, è importante partire dalla domanda, non, immediatamente dalla risposta, come accade a chiunque ascolti un’intervista nel momento in cui viene, integralmente, trasmessa.

La domanda era questa: «In Ucraina c’è chi chiede il coraggio della resa, della bandiera bianca. Ma altri dicono che così si legittimerebbe il più forte. Cosa pensa?». Rispondendo Francesco ha parlato di ciò che gli è stato chiesto, riprendendo i termini della domanda.

Ora, sono evidenti, secondo me, nel testo trascritto, i passaggi “logici” operati mentalmente da Francesco: come si possa comportare – un generico soggetto – che si senta sconfitto e che valore possa assumere l’espressione «bandiera bianca», che, per lui, ha preso il significato di negoziato – «coraggio di negoziare» – mentre, per altri, ha significato resa. La risposta doveva essere poi riferita all’Ucraina.

Francesco ha risposto, dunque, indicando la via del negoziato – oggi – il che non sarebbe stato possibile – come auspicato, a suo tempo, da alcuni che hanno equiparato il fuoco difensivo e quello offensivo – se ci fosse stata, in precedenza, la resa. Dunque, in buona sostanza, ha ribadito la validità della scelta resistenziale, senza la quale l’Ucraina, oggi, non potrebbe negoziare alcunché.

A mio avviso, Francesco ha parlato con la consapevolezza della difficoltà ucraina: lo squilibrio numerico che rende problematico conseguire il ripristino integrale della sovranità statuale precedente il 24 febbraio 2022. Il negoziato sarebbe su questa realtà di fatto, o no?

Francesco non ha certamente invocato una resa incondizionata, né una capitolazione. Per me, è chiaro.

Mi sorprende che questa mia interpretazione – forse non del tutto azzeccata ma che, pure, non può essere troppo lontana dal “vero” – sia stata resa impossibile, da parte della quasi totalità dei media, a causa della decisiva omissione della domanda, presentando la risposta a modo di dichiarazione compiuta. La differenza dovrebbe risultare evidente.

Purtroppo – quando c’è di mezzo il papa -, le interviste vengono prese come “encicliche”. Nella fattispecie, dunque, il papa avrebbe taciuto, nel suo “magistero”, le indubbie colpe di Mosca, punto non sollevato dall’intervistatore. Eppure, si dovrebbe ricordare quante volte abbia parlato di “martoriata” Ucraina.

In definitiva – ascoltando e leggendo attentamente -, a me è parso che il papa abbia inteso ribadire il suo pensiero sulla guerra e sulla pace, soffermandosi sul diritto della difesa, indispensabile secondo il criterio tradizionale della proporzionalità e della ricerca del bene maggiore o, almeno, del male minore.

Da ciò che ne è venuto, dovremmo desumere che questo mondo si sta trasformando in uno stadio di tifosi, iscritti a questa o a quella curva di ultras, quasi la questione sia: “il papa sta con la Nato o sta con i russi?”. In una simile divisione da stadio, io non vedo più chi abbia a cuore la vita degli ucraini, del popolo ucraino, del suo futuro.

Le interviste del papa vanno bene se ci aiutano ad andare ben oltre questi opposti estremismi, oltre le polarizzazioni, oltre il bianco e il nero.

Lo stile colloquiale di Francesco fa delle sue interviste un dialogo con qualcuno, non dalla cattedra, perché, appunto, sono fatte col tono colloquiale, finalizzato a fraternizzare con tutti gli uomini e le donne che vivono in questo tempo così minaccioso, e che non chiedono, ogni volta, un documento bello e scritto bene: chiedono un accompagnamento personale, un po’ di speranza, qualcuno che la offra, senza, peraltro, dispensare certezze.

Ecco, un suo portavoce servirebbe: saprebbe mettere ordine tra i documenti, le precedenti interviste o le dichiarazioni; saprebbe fare i collegamenti e le dimostrazioni, trarre le “cose vecchie e le cose nuove”.

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2 Commenti

  1. Giovanni Di Simone 13 marzo 2024
    • Giacomo 15 marzo 2024

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