Riprendiamo il decimo contributo (novembre 2022) della rubrica «Opzione Francesco», firmata dal teologo Armando Matteo per la rivista Vita Pastorale. Per gentile concessione del direttore, don Antonio Sciortino, la rubrica viene interamente pubblicata su Settimana News.
Prima di procedere oltre nell’illustrare gli aspetti più operativi dell’Opzione Francesco, appare opportuno sostare sul tema dell’urgenza del cambiamento di mentalità pastorale.
Urge cambiare
Appare del tutto conseguente l’impegno dei credenti di quest’ora della storia ad immaginare un nuovo modello di contatto con i loro contemporanei al fine di far emergere in loro un desiderio di Gesù. Il modello ancora vigente risente di un’analisi della disponibilità a quel desiderio specifica di uomini e donne che semplicemente non ci sono più. Parlo dei nostri genitori e dei nostri nonni. Il nostro modo di vivere le espressioni dell’umano è ora milioni di volte altro rispetto al loro.
Urge cambiare. Ed è proprio qui il punto su cui è bene riflettere, in quanto proprio qui ci accostiamo alle ragioni che possono spiegare la diffusa tiepidezza con cui la comunità cattolica sta accogliendo e traducendo operativamente il magistero di Francesco.
Ogni volta, infatti, che si evoca il tema del cambiamento non possiamo non tenere in adeguato conto il sentimento di timore che esso evoca. Già l’esperienza umana più elementare ci istruisce al riguardo. Non è forse più che complesso perdere qualche chilo? Non è particolarmente sfidante rinunciare alle sigarette? Certo che parliamo di cose complesse e sfidanti! E lo sono proprio perché comportano un cambiamento radicale di impostazione della propria vita. Il raggiungimento di quegli obiettivi impone un nuovo modo di gestire le cose. E questo spesso fa paura e ci porta al fallimento.
Dare un futuro al cristianesimo
Cambiare, dunque, ma non è mai facile o immediato. Questa verità risulta ancora più densa di conseguenze per quel cambiamento di mentalità pastorale che è il cuore dell’Opzione Francesco. Una tale operazione si raccomanda insieme al riconoscimento del divenire inefficace di una mentalità pastorale che ha alle spalle secoli di storia e, pur senza ambiguità, di successo nell’instradare gli uomini e le donne delle generazioni passate verso la fede cristiana.
Non si tratta, allora, solo di un cambiamento tra i tanti, ma di un cambiamento di notevole portata, come non manca di ricordare Francesco, quando, in Evangelii gaudium 27, dichiara: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione».
Ecco la portata del cambiamento che ci è necessario: un cambiamento di mentalità pastorale che tocchi “ogni cosa”. Non è dunque al riguardo, del tutto naturale, il dover registrare, forse anche solo a livello inconscio, un certo timore e terrore nei credenti e nei loro pastori che poi li blocca operativamente?
Nonostante ciò, si deve ribadire che quella di Francesco è l’opzione più pertinente per dare un futuro al cristianesimo e un cristianesimo al futuro. E se la paura non è infondata, l’antidoto alla paura non è lontano da noi: è esattamente quella disponibilità al gesto del sogno, con cui iniziava la citazione di papa Francesco sopra riportata.
Lo sguardo che ha Armando Matteo – ormai è chiaro – è uno sguardo prettamente occidentale. Tuttavia vi è da dire che, al di là delle naturale resistenze al cambiamento, manca nella Chiesa una sana progettualità. Faccio un esempio. Quante energie e risorse sono state profuse per l’iniziazione cristiana (il catechismo) e quante, invece, se ne spendono per la catechesi degli adulti? L’Italia, come tutto l’Occidente, è un Paese a morte demografica. Che senso ha una pastorale tutta incentrare sui bambini e sugli adolescenti quando questi tra qualche decennio saranno una “rarità” (lo dico pro-vocatoriamente)? Indizi per una sana progettualità pastorale ci sono, ma non vogliono essere visti, né colti. Certo la transizione ad un altro tipo di pastorale non è semplice, ma già da ora si può iniziare a fare qualcosa. Si continua a fare una pastorale sostanzialmente identica a 20-30 anni fa. Occorre un cambiamento di mentalità indubbiamente. Ma l’indientrismo, come lo chiama Francesco, sembra prevalere e lo dico con dispiacere perché “si è sempre fatto così” e non si può fare altrimenti (così sembra).
Sulla pastorale inefficace mi permetto di consigliare https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2020/11/cattolicesimo-borghese5.html.