Ogni vita prima di tutto

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«Considerare la santità della “porta accanto”», scrive papa Francesco nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate, perché la santità non è una dote straordinaria alla portata di pochi. Anzi – precisa subito – anche i santi avevano difetti, perché di un santo «ciò che bisogna contemplare è l’insieme della sua vita, il suo intero cammino di santificazione, quella figura che riflette qualcosa di Gesù Cristo e che emerge quando si riesce a comporre il senso della totalità della sua persona».

Gnosticismo e pelagianesimo

Il documento papale, sebbene non lungo, si presenta straordinariamente ricco di immagini e di suggestioni. In alcuni passaggi sembra scritto per rispondere a quanti criticano papa, cardinali e vescovi, o a quei settori della Chiesa di stampo conservatore che sembrano sapere tutto e avere tutte le risposte.

Infatti, nella seconda parte del testo, papa Francesco mette in guardia e illustra due pericoli in cui i credenti possono cadere: lo gnosticismo e il pelagianesimo.

Lo gnosticismo è l’idea che con la razionalità tutto si spieghi e tutto si possa comprendere, allontanando la dimensione del «mistero». «Questo può accadere dentro la Chiesa, tanto tra i laici delle parrocchie quanto tra coloro che insegnano filosofia o teologia in centri di formazione. Perché è anche tipico degli gnostici credere che, con le loro spiegazioni, possono rendere perfettamente comprensibili tutta la fede e tutto il Vangelo. Assolutizzano le proprie teorie e obbligano gli altri a sottomettersi ai propri ragionamenti. Una cosa è un sano e umile uso della ragione per riflettere sull’insegnamento teologico e morale del Vangelo; altra cosa è pretendere di ridurre l’insegnamento di Gesù a una logica fredda e dura che cerca di dominare tutto».

In secondo luogo, il pelagianesimo. Esso consiste nel credere che ci si salvi soltanto facendo leva sulle proprie forze, dimenticando che Dio salva. Tutto dipende dalla volontà, per i pelagiani di ieri e di oggi e non da Dio che salva. «Quelli che rispondono a questa mentalità pelagiana o semipelagiana, benché parlino della grazia di Dio con discorsi edulcorati, «in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico. Quando alcuni di loro si rivolgono ai deboli dicendo che con la grazia di Dio tutto è possibile, in fondo sono soliti trasmettere l’idea che tutto si può fare con la volontà umana, come se essa fosse qualcosa di puro, perfetto, onnipotente, a cui si aggiunge la grazia».

I nuovi pelagiani oggi «si impegnano nel seguire un’altra strada: quella della giustificazione mediante le proprie forze, quella dell’adorazione della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore. Si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente diversi tra loro: l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale. In questo alcuni cristiani spendono le loro energie e il loro tempo, invece di lasciarsi condurre dallo Spirito sulla via dell’amore, invece di appassionarsi per comunicare la bellezza e la gioia del Vangelo e di cercare i lontani nelle immense moltitudini assetate di Cristo».

Dalla considerazione astratta papa Francesco passa alle determinazioni concrete sottolineando – risposta indiretta a tanti critici dell’attività di promozione sociale della Chiesa – quanto sia «nocivo e ideologico l’errore di quanti vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista. O lo relativizzano come se ci fossero altre cose più importanti o come se interessasse solo una determinata etica o una ragione che essi difendono. La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, dev’essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto. Non possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo mondo, dove alcuni festeggiano, spendono allegramente e riducono la propria vita alle novità del consumo, mentre altri guardano solo da fuori e intanto la loro vita passa e finisce miseramente».

Una bioetica globale

Papa Francesco introduce, a questo punto, il tema della «bioetica globale» (Global Bioethics, non a caso al centro dell’assemblea di giugno della Pontificia accademia per la vita). Cioè la vita va difesa e declinata non solo pensando ai diritti dei non ancora nati ma anche impegnandosi per una qualità della vita migliore per chi è nato già da un pezzo. «Spesso si sente dire che, di fronte al relativismo e ai limiti del mondo attuale, sarebbe un tema marginale, per esempio, la situazione dei migranti. Alcuni cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi “seri” della bioetica. Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli. Possiamo riconoscere che è precisamente quello che ci chiede Gesù quando ci dice che accogliamo Lui stesso in ogni forestiero».

E, nella visione di una bioetica globale di rispetto di ogni uomo e donna, che dire delle mancanze di rispetto o degli attacchi e delle violenze verbali che scaturiscono da un uso distorto, ideologico, dei mezzi di comunicazione?

Un tema attualissimo, visto che le critiche più impietose, feroci, ingiuste, spesso false, viaggiano sulla rete globale della comunicazione.

Papa Francesco ha parole chiare: «Anche i cristiani possono partecipare a reti di violenza verbale mediante internet e i diversi ambiti o spazi di interscambio digitale. Persino nei media cattolici si possono eccedere i limiti, si tollerano la diffamazione e la calunnia, e sembrano esclusi ogni etica e ogni rispetto per il buon nome altrui. Così si verifica un pericoloso dualismo, perché in queste reti si dicono cose che non sarebbero tollerabili nella vita pubblica, e si cerca di compensare le proprie insoddisfazioni scaricando con rabbia i desideri di vendetta. È significativo che, a volte, pretendendo di difendere altri comandamenti, si passi sopra completamente all’ottavo: “Non dire falsa testimonianza”, e si distrugga l’immagine altrui senza pietà».

La santità oggi serve davvero

La santità che oggi serve alla Chiesa e al mondo – conclude papa Francesco – è quella che si vive in comunità. Nelle comunità parrocchiali prima di tutto. Quindi nelle comunità religiose. Ma è quella che si vive soprattutto nella quotidianità e il primo posto qui va alla famiglia. «La vita comunitaria, in famiglia, in parrocchia, nella comunità religiosa o in qualunque altra, è fatta di tanti piccoli dettagli quotidiani. Questo capitava nella comunità santa che formarono Gesù, Maria e Giuseppe, dove si è rispecchiata in modo paradigmatico la bellezza della comunione trinitaria. Ed è anche ciò che succedeva nella vita comunitaria che Gesù condusse con i suoi discepoli e con la gente semplice del popolo. Ricordiamo come Gesù invitava i suoi discepoli a fare attenzione ai particolari.

Il piccolo particolare che si stava esaurendo il vino in una festa.

Il piccolo particolare che mancava una pecora.

Il piccolo particolare della vedova che offrì le sue due monetine.

Il piccolo particolare di avere olio di riserva per le lampade se lo sposo ritarda.

Il piccolo particolare di chiedere ai discepoli di vedere quanti pani avevano.

Il piccolo particolare di avere un fuocherello pronto e del pesce sulla griglia mentre aspettava i discepoli all’alba».

Le Beatitudini

In conclusione si tratta di un testo ricco di spunti e di suggestioni, tra cui, ad esempio, la rilettura delle Beatitudini come guida per la vita di ogni giorno e come test da effettuare per verificare la vicinanza alle richieste che Gesù rivolge ai suoi discepoli di ogni tempo. «Detto in altre parole: in mezzo alla fitta selva di precetti e prescrizioni, Gesù apre una breccia che permette di distinguere due volti, quello del Padre e quello del fratello. Non ci consegna due formule o due precetti in più. Ci consegna due volti, o meglio, uno solo, quello di Dio che si riflette in molti. Perché in ogni fratello, specialmente nel più piccolo, fragile, indifeso e bisognoso, è presente l’immagine stessa di Dio. Infatti, con gli scarti di questa umanità vulnerabile, alla fine del tempo, il Signore plasmerà la sua ultima opera d’arte. Poiché che cosa resta, che cosa ha valore nella vita, quali ricchezze non svaniscono? Sicuramente due: il Signore e il prossimo. Queste due ricchezze non svaniscono!».

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