«Ho la sensazione che il mio pontificato sarà breve: quattro, cinque anni. È come una sensazione: un po’ vaga. Magari non sarà così? Ma ho come la sensazione che il Signore mi abbia messo qui per poco tempo. Però è solo una sensazione. Perciò lascio sempre le possibilità aperte».
Lo confidava papa Francesco, nel pomeriggio del 6 marzo 2015, alla giornalista vaticanista messicana Valentina Alazraki.
I cinque anni del suo ministero petrino sono ormai trascorsi. Ai miei occhi sono stati cinque anni affascinanti, carichi di profezia. Mi auguro, spero e prego perché ne seguano ancora almeno altrettanti.
Gesti teologici e sacramentali
Vedendo alla televisione che cosa stava succedendo in Piazza San Pietro, quella sera del 13 marzo 2013, molti – io fra questi – si sono resi conto che, per la Chiesa cattolica, stava iniziando una nuova stagione.
Non solo perché, per la prima volta, era stato eletto papa un latinoamericano, un papa non europeo da più di mille e duecento anni, un gesuita, un vescovo che aveva deciso di chiamarsi con un nome mai utilizzato in precedenza nella storia del papato.
Ma anche e soprattutto per la novità dei gesti privi di atteggiamenti ieratici, nonché per l’essenzialità e l’immediatezza delle parole pronunciate nell’occasione: un papa, dal semplice e sobrio vestito bianco senza la mozzetta rossa bordata di ermellino che, dopo aver salutato la gente con un familiare «fratelli e sorelle, buonasera!», si presenta come vescovo di Roma che presiede nella carità tutte le Chiese e chiede di pregare per il vescovo emerito Benedetto XVI; l’invito ad iniziare insieme, vescovo e popolo, un fruttuoso cammino di fratellanza, di amore e di fiducia reciproca «per l’evangelizzazione di questa città tanto bella»; l’esortazione a pregare per tutto il mondo, «perché ci sia una grande fratellanza»; l’inchino verso la piazza gremita accompagnato dalla richiesta di pregare il Signore perché lo benedica, prima di dare lui la benedizione «a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà».
La “rivoluzione” di Francesco era già presente in nuce in quei gesti compiuti e in quelle parole pronunciate nel contesto della sua prima apparizione e benedizione Urbi et Orbi alle ore 20,22 di mercoledì 13 marzo 2013.
I gesti e gli insegnamenti che di lì in poi sono seguiti non hanno fatto altro che confermare e consolidare la prima impressione.
Quelli di Francesco non sono gesti qualsiasi. Sono «tutti gesti teologici e sacramentali»,[1] densi di significato, che rimandano ad una immagine di Chiesa capace di trasformare ogni cosa perché tutto (strutture, linguaggi, comportamenti) diventi un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale.[2] Gesti che, negli ultimi cinque anni, hanno scritto pagine memorabili di magistero e di testimonianza evangelica. Punti di non ritorno – è da sperare ! – per chi verrà dopo di lui.
Alcuni primi gesti
In tutti i contesti di vita, gli inizi sono sempre importanti. Dicono e anticipano ciò che verrà in seguito. Oltre quanto già ricordato della sera del 13 marzo 2013, merita, dunque, richiamare alla memoria alcuni gesti compiuti e alcune parole pronunciate da Francesco nei primi mesi del suo ministero (dal marzo al dicembre 2013) come pastore della Chiesa cattolica universale:
- la scelta di abitare non al piano superiore di un palazzo barocco ma a Casa Santa Marta,[3] un edificio costruito alla fine del XX secolo, non tanto per una questione di sobrietà ma più semplicemente per una personale esigenza psicologica di socializzare con altre persone;[4]
- il pagamento del conto dove ha alloggiato prima del conclave (14 marzo);
- la spiegazione fornita ai giornalisti su come e perché ha scelto il nome di Francesco (16 marzo);
- il bacio alla presidentessa argentina Cristina Kirchner (18 marzo);
- l’invito al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartholomeos di presenziare – dopo mille anni – alla liturgia inaugurale del suo ministero petrino (19 marzo 2013);
- la celebrazione dell’eucaristia in coena Domini del giovedì santo nel carcere minorile “Casal del Marmo” di Roma e la lavanda dei piedi a due ragazze, di cui una musulmana (28 marzo);
- la sedia vuota al concerto in Sala Nervi (22 aprile);
- l’ora di adorazione, contemporanea in tutto il mondo, nel corso della quale ha chiesto di pregare secondo due intenzioni da lui espressamente proposte[5] (2 giugno);
- la rinuncia alla vacanza estiva nella residenza di Castel Gandolfo;
- la visita pastorale all’isola di Lampedusa (8 luglio);
- quanto dichiarato in occasione della conferenza stampa, di ritorno dal viaggio apostolico in Brasile: «la partecipazione delle donne nella Chiesa non si può limitare al fatto che facciano le chierichette o le presidentesse della Caritas, le catechiste… No! Deve essere di più, ma profondamente di più, anche misticamente di più» (30 luglio);
- la lettera indirizzata il 4 settembre al direttore – sedicente non credente – di un quotidiano italiano in risposta ad una serie di domande da questi rivoltegli il 7 luglio;
- la giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria (7 settembre);
- l’abbraccio, a Cagliari, ad Antonio, malato di lebbra e ricoverato da 50 anni in ospedale (22 settembre);
- istituzione di un Consiglio dei cardinali con il compito di aiutarlo nel governo della Chiesa universale e di studiare un progetto di revisione della costituzione apostolica Pastor bonus sulla curia romana (28 settembre);
- l’incontro ad Assisi con i poveri assistiti dalla Caritas e con i bambini disabili e ammalati ospiti dell’Istituto Serafico (4 ottobre);
- la dichiarazione, fatta ai partecipanti al seminario promosso in occasione del 25° anniversario della Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II, di soffrire molto quando nella Chiesa e in alcune organizzazioni ecclesiali il ruolo di servizio – che tutti dobbiamo esercitare – della donna scivola verso un ruolo di servitù (12 ottobre);
- il bacio, al termine dell’udienza generale, al volto sfigurato di Vinicio, un uomo affetto dal terribile morbo della neurofibromatosi (6 novembre);
- l’abbraccio all’uomo senza volto in Piazza San Pietro (20 novembre);
- pubblicazione dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, il documento programmatico del suo pontificato[6] (24 novembre);
- l’affermazione, nel corso di un’omelia mattutina a Santa Marta, che la profezia è una vocazione di tutte le persone battezzate, nasce dalla disciplina dell’ascolto orante della parola di Dio, è il più efficace rimedio al clericalismo e legge alla luce della speranza il passato, il presente e il futuro (16 dicembre);
- l’invito a colazione, in occasione del suo 77° compleanno, di tre clochard che vivono nelle vicinanze del Vaticano (17 dicembre).
Con l’arrivo di papa Francesco è realistico ritenere che, dopo un primo millennio segnato dalle Chiese orientali e un secondo millennio guidato dalla Chiesa occidentale, sia iniziato un terzo millennio rivitalizzato dalle Chiese del Sud del mondo,[7] nel contesto di una cattolicità dal volto poliedrico,[8] presieduta nella carità dalla Chiesa di Roma, nella quale confluiscono, con le loro originalità, le varie parzialità.
Il sogno di Francesco: una Chiesa evangelica
Personalmente appartengo alla categoria di persone che, nelle parole e nello stile di vita di Francesco, si sono sentite come interpretate, avvertendo nel suo magistero e nella sua testimonianza di vita la novità perenne e inesauribile del Vangelo di Gesù di Nazaret.
La Chiesa – intesa nel senso di totalità dei credenti – che sogna Francesco è anche la Chiesa sognata da molti di noi, semplici persone battezzate.
Ma qual è il sogno di papa Francesco? La risposta alla domanda ci viene offerta dai teologi che hanno iniziato ad indagare il pensiero teologico che ne supporta il magistero.
Per Roberto Repole – docente di teologia sistematica presso la Facoltà teologica di Torino e presidente dell’Associazione teologica italiana –, si tratta di un sogno piuttosto semplice e, proprio per questo, decisamente spiazzante. Nulla di più e nulla di meno del sogno di una Chiesa evangelica: di una Chiesa, cioè, capace di confrontare costantemente se stessa, la sua vita, le sue scelte e le sue strutture con la freschezza, l’ampiezza, la ricchezza e la bellezza del Vangelo di Gesù Cristo.[9]
Per Aristide Fumagalli – ordinario di teologia morale presso la Facoltà teologica di Milano –, «il modo di abitare la Chiesa e il mondo che traspare dai gesti e dalle parole di papa Francesco prospetta una forma teologica più vivamente espressiva del contenuto essenziale del Vangelo. Corrispondendo al principio di concordanza tra la forma e il contenuto, la sua teologia non si riduce all’insegnamento dottrinale ed esprime piuttosto uno stile di vita».[10]
Per Giannino Piana – già docente di etica cristiana alla Libera Università di Urbino e di etica ed economia presso la Facoltà di scienze politiche dell’università di Torino – «il centro attorno a cui ruota l’annuncio di papa Francesco (e che è reso trasparente anche dal suo stile di vita) è il ritorno alla radicalità evangelica, all’evangelo sine glossa di Francesco d’Assisi e, in particolare, alla testimonianza della povertà. Egli riporta l’attenzione sulle fonti dell’esperienza cristiana, proponendo la necessità di un’adesione integrale al messaggio evangelico, che renda trasparente la novità di Gesù attraverso la condotta di chi si dichiara suo discepolo».[11]
Capace di «riscaldare il cuore dei fedeli»
Il cuore della proposta ecclesiologica di Francesco, cioè l’aspetto più rilevante e più originale dell’ecclesiologia soggiacente al suo magistero, è certamente la visione di una Chiesa evangelica in uscita missionaria.[12] Attorno a questa categoria è costruito il programma pastorale consegnato all’esortazione apostolica Evangelii gaudium, dove «la riforma della Chiesa in uscita missionaria» per annunciare la gioia del Vangelo è indicata come la prima delle sette questioni sulle quali Francesco intende soffermarsi.[13] Essa «esprime icasticamente l’ideale di una Chiesa che si determina in tutti i suoi atteggiamenti dalla consapevolezza di dover soprattutto evangelizzare».[14] Consapevolezza – questa – avvertita in termini particolarmente incisivi proprio dalle Chiese di antica cristianità, come quelle europee, segnate ormai da tempo dal fenomeno della scristianizzazione e della secolarizzazione.
Nell’intervista concessa a La Civiltà Cattolica nell’agosto/settembre 2013, alla domanda di Antonio Spadaro «di che cosa la Chiesa ha più bisogno in questo momento storico?», papa Francesco risponde: «Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità… di riscaldare il cuore dei fedeli».
Obiettivo raggiungibile nella misura in cui tutto nella Chiesa – strutture, linguaggi, comportamenti – viene riformato in funzione dell’annuncio e della testimonianza della gioia del Vangelo, da parte di una Chiesa il cui centro non è in se stessa, ma nel Signore Gesù e nel Dio in lui rivelatosi che la abita, la anima e la guida nella storia e nel tempo.
Quanto alle specificità della Chiesa in uscita missionaria, dal magistero di Francesco è possibile farne emergere sinteticamente alcune che avverto essere particolarmente importanti.
1. Chiesa come popolo di Dio. In primo luogo, va detto che la Chiesa non è limitata ai presbiteri, ai vescovi o al Vaticano. La Chiesa sono tutti i fedeli! È popolo in cammino verso Dio.[15] Tutti i cristiani, in quanto battezzati, hanno uguale dignità davanti al Signore e sono accomunati dalla stessa vocazione, che è quella alla santità.
Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione implica un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati.[16]
2. Più spazio alle donne. Il popolo di Dio è costituito da donne e da uomini; ma a deciderne le sorti sono esclusivamente gli uomini, e per di più celibi. Nella Chiesa c’è bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva.[17]
Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere.[18] È urgente accogliere e offrire spazi alle donne nella vita della Chiesa, tenendo conto delle mutate sensibilità culturali e sociali. È necessario fare in modo che le donne si sentano non ospiti, ma siano pienamente partecipi dei vari ambiti della vita ecclesiale.[19]
3. Stile sinodale. Il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio è quello della sinodalità.[20] Chiesa e Sinodo sono sinonimi,[21] Nella Chiesa sinodale tutti – laici, pastori e vescovo di Roma – camminano[22] e pregano insieme[23] per cogliere i segni dei tempi che il Signore offre alla Chiesa perché sia capace – come ha saputo fare nel corso di duemila anni – di portare Gesù Cristo agli uomini e alle donne del nostro tempo.[24]
Nella Chiesa sinodale l’ascolto è non solo il momento iniziale di ogni processo ecclesiale ma anche la disposizione di fondo che ne regola tutto l’agire. Il dovere di ascoltare riguarda tutti, ciascuno nello stato che gli è proprio: più alta è la responsabilità di cui uno è investito, più egli è tenuto all’ascolto. Ascoltare è più che sentire, perché nell’ascolto reciproco tutti hanno qualcosa da imparare.
Lo stile sinodale non giustifica la separazione rigida tra «Chiesa docente» e «Chiesa discente»,[25] giacché il popolo di Dio, grazie al sensus fidei, non può sbagliarsi nel credere e possiede un proprio «fiuto» per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa.[26]
a) Per il dono dello Spirito Santo, «lo Spirito della verità che procede dal Padre» e che rende testimonianza al Figlio (Gv 15,26), tutti i battezzati partecipano alla funzione profetica di Gesù Cristo, «Testimone degno di fede e veritiero» (Ap 3,14). Essi devono rendere testimonianza al Vangelo e alla fede degli apostoli nella Chiesa e nel mondo.
Lo Spirito Santo dona loro l’unzione e fornisce le doti per questa alta vocazione, conferendo loro una conoscenza molto personale e intima della fede della Chiesa. Nella sua Prima lettera, san Giovanni dice ai fedeli: «Voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza»; «l’unzione che avete ricevuto da lui [da Cristo] rimane in voi, e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca»; «la sua unzione vi insegna ogni cosa» (1Gv 2,20.27).
b) Ne consegue che i fedeli possiedono un istinto per la verità del Vangelo, che permette loro di riconoscere la dottrina e la prassi cristiane autentiche e di aderirvi. Questo istinto soprannaturale, che ha un legame intrinseco con il dono della fede ricevuto nella comunione ecclesiale, è chiamato sensus fidei, e permette ai cristiani di rispondere alla propria vocazione profetica. Nel suo primo Angelus, papa Francesco citò le parole di un’umile anziana donna che egli incontrò una volta: «Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe»; e il papa aggiunse l’ammirato commento: «Quella è la sapienza che dà lo Spirito Santo».
L’intuizione di quella donna è una toccante manifestazione del sensus fidei, il quale consente un certo discernimento riguardo alle cose della fede e, al tempo stesso, nutre la vera saggezza e suscita la proclamazione della verità, come in questo caso. È dunque chiaro che il sensus fidei rappresenta una risorsa vitale per la nuova evangelizzazione, che è oggi uno dei principali impegni per la Chiesa.
4. Primato della Parola. La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare. È indispensabile che la parola di Dio diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale.[27]
Lo studio della sacra Scrittura dev’essere una porta aperta a tutti i credenti e la Parola rivelata deve fecondare radicalmente la catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede. L’evangelizzazione richiede la familiarità con la parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria.[28]
5. Gerarchia delle verità. Nella Chiesa in uscita missionaria il Vangelo è annunciato non per imporre nuovi obblighi, ma per condividere una gioia, per segnalare un orizzonte di bellezza, per offrire la partecipazione ad un banchetto desiderabile.[29]
Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere, ma si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e, allo stesso tempo, più necessario.[30]
Per raggiungere questo obiettivo è soprattutto necessario tenere in debita considerazione un criterio proposto dal concilio Vaticano II ma spesso dimenticato e trascurato: la gerarchia delle verità. Che vale tanto per i dogmi di fede quanto per l’insieme degli insegnamenti della Chiesa, ivi compreso l’insegnamento morale.[31]
Il «deposito della fede» non è qualcosa di statico. La dottrina la si conserva facendola progredire e non legandola ad una lettura rigida e immutabile destinata ad umiliare l’azione dello Spirito Santo.[32]
6. L’architrave che sorregge la vita della Chiesa. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La misericordia di Dio, in quanto cuore pulsante del Vangelo,[33] è l’architrave che sorregge la vita della Chiesa.[34] Al centro dell’annuncio cristiano sta la misericordia, «la più grande di tutte le virtù»[35] e criterio ermeneutico non solo della parola di Dio presente nelle Scritture ma anche del senso delle verità e delle norme di vita cristiane.
7. Opzione per i poveri. Cristiani e comunità sono chiamati ad essere strumenti della misericordia di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società. Questo suppone che siano docili e attenti ad ascoltare il loro grido e a soccorrerli.[36] C’è un segno che non deve mai mancare tra i cristiani: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via.[37]
Occorre affermare senza giri di parole che esiste un vincolo inseparabile tra la fede cristiana e i poveri.[38] Una Chiesa povera e per i poveri[39] è una Chiesa che pratica una volontaria semplicità nella propria vita – nelle sue stesse istituzioni, nello stile di vita dei suoi membri – per abbattere ogni muro di separazione, soprattutto dai poveri.[40]
8. Dimensione sociale del kerygma. La Chiesa in uscita è consapevole che la religione non deve limitarsi all’ambito privato e non esiste solo per preparare le anime per il cielo. Dio desidera la felicità dei suoi figli e delle sue figlie anche su questa terra, benché tutti siano chiamati alla pienezza eterna.[41]
Una fede autentica, mai comoda e individualista, implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Tutti i cristiani, anche i pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore.[42]
Dio, in Cristo, redime non solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli esseri umani. Dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evangelizzatrice.[43]
9. Linguaggio semplice e comprensibile. Nella Chiesa in uscita missionaria non solo si usa un linguaggio semplice, chiaro e diretto che i destinatari sono in grado i comprendere o che hanno bisogno di sentirsi dire,[44] ma soprattutto si usa un linguaggio positivo e attraente perché in grado di offrire speranza, di orientare verso il futuro e di liberare dalla negatività.[45]
Nelle scelte pastorali e nell’elaborazione dei documenti deve prevalere non l’aspetto teoretico/dottrinale astratto utile solo ad alcuni studiosi e specialisti, ma lo sforzo di tradurre le une e gli altri in proposte concrete e comprensibili per tutti, anche per rafforzare l’indispensabile ruolo dei laici disposti ad assumersi le responsabilità che a loro competono.[46]
10. Teologia che odora di popolo e di strada. Nella Chiesa in uscita missionaria la teologia da tavolino,[47] che si esaurisce nella disputa accademica o che guarda l’umanità da un castello di vetro, deve essere sostituita da una teologia che odora di popolo e di strada in grado di versare olio e vino sulle ferite degli uomini e delle donne di oggi. La misericordia, sostanza stessa del Vangelo di Gesù, va declinata nelle varie discipline teologiche (dogmatica, morale, spiritualità, diritto e così via).
La Chiesa in uscita ha bisogno non di teologi da museo che accumulano dati e informazioni sulla Rivelazione senza sapere che cosa farsene. Ad essa servono teologi capaci di costruire attorno a sé umanità, di trasmettere la divina verità cristiana in dimensione veramente umana.[48]
La ricerca e lo studio vanno integrati con la vita personale e comunitaria, con l’impegno missionario, con la carità fraterna e la condivisione con i poveri, con la cura della vita interiore nel rapporto con il Signore.[49]
C’è bisogno di una teologia che aiuti tutti i cristiani ad annunciare e mostrare, soprattutto, il volto salvifico di Dio, il Dio misericordioso, specie al cospetto di alcune inedite sfide che coinvolgono oggi l’umano: come quella della crisi ecologica, dello sviluppo delle neuroscienze o delle tecniche che possono modificare l’uomo; come quella delle sempre più grandi disuguaglianze sociali o delle migrazioni di interi popoli; come quella del relativismo teorico ma anche di quello pratico.[50]
11. Chiesa che benedice, vivifica e dialoga. La Chiesa in uscita missionaria è la comunità che si prende cura del grano e non perde la pace a causa della zizzania. Per testimoniare Gesù Cristo è pronta al martirio. Però il suo sogno non è di circondarsi di nemici, ma piuttosto che la parola venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice.[51]
Nella Chiesa in uscita l’identità cristiana non è né occultata[52] né ostentata,[53] ma testimoniata in modo sempre rispettoso e gentile.[54] All’atteggiamento del nemico che punta il dito e condanna o del principe che guarda gli altri in modo sprezzante[55] viene preferito uno stile fraterno e sororale che diventa attraente e luminoso[56] agli occhi di tutti, in quanto in grado di illuminare e benedire, vivificare e sollevare, guarire e liberare.[57]
L’evangelizzazione implica anche un cammino di dialogo e tre sono i relativi ambiti nei quali la Chiesa deve essere presente: gli Stati, la società (culture e scienze), gli altri credenti che non fanno parte della Chiesa cattolica.[58]
[1] L’espressione è di Juan Carlos Scannone, Il papa del popolo. Bergoglio raccontato dal confratello teologo gesuita e argentino. Colloqui con Bernadette Sauvaget, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015, p. 87.
[2] Evangelii gaudium n. 27.
[3] Cioè nell’edificio che ha la primaria finalità di ospitare i cardinali durante il conclave e che, negli altri periodi, funziona più o meno come un albergo.
[4] Il 28 luglio 2013, in occasione del viaggio di ritorno dal Brasile, rispondendo alla domanda di Philip Pullella, dell’Agenzia inglese di Reuters, che gli chiedeva perché aveva deciso in vivere «in modo austero» a Casa Santa Marta, dirà: «Io non posso vivere da solo o con un piccolo gruppetto! Ho bisogno di gente, di trovare gente, di parlare con la gente…». Risposta identica l’aveva già data ad una domanda analoga che gli era stata fatta il 7 giugno, incontrando gli studenti delle scuole gestite dai gesuiti in Italia e in Albania.
[5] «Per quanti nelle diverse parti del mondo vivono la sofferenza di nuove schiavitù e sono vittime delle guerre, della tratta delle persone, del narcotraffico e del lavoro schiavo, per i bambini e le donne che subiscono ogni forma di violenza: possa il loro silenzioso grido di aiuto trovare vigile la Chiesa, perché tenendo lo sguardo fisso su Cristo crocifisso non dimentichi tanti fratelli e sorelle lasciati in balìa della violenza. Per tutti coloro, inoltre, che si trovano nella precarietà economica, soprattutto i disoccupati, gli anziani, gli immigrati, i senzatetto, i carcerati e quanti sperimentano l’emarginazione: la preghiera della Chiesa e la sua attiva opera di vicinanza sia loro di conforto e di sostegno nella speranza, di forza e audacia nella difesa della dignità della persona».
[6] Nell’enciclica Laudato si’ (par. n. 3) del 24 maggio 2015, Francesco afferma di aver scritto l’Evangelii gaudium «per mobilitare un processo di riforma missionaria (della Chiesa) ancora da compiere».
[7] Carlos Maria Galli, Cristo, la Chiesa e i popoli – La mariologia di papa Francesco, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017, p. 38.
[8] Evangelii gaudium n. 236.
[9] Roberto Repole, Il sogno di una Chiesa evangelica – L’ecclesiologia di papa Francesco, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017, p. 15.
[10] Aristide Fumagalli, Camminare nell’amore. La teologia morale di papa Francesco, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017, p. 14.
[11] Giannino Piana, Il magistero morale di papa Francesco – Tra radicalità e misericordia, in: Alberto Cozzi – Roberto Repole – Giannino Piana, Papa Francesco. Quale teologia?, Cittadella Editrice, Assisi 2016, p. 129.
[12] Roberto Repole, op. cit., p. 81.
[13] Evangelii gaudium n. 17.
[14] Severino Dianich, Magistero in movimento – Il caso papa Francesco, Edizioni Dehoniane, Bologna 2016, p. 24.
[15] Evangelii gaudium n. 111.
[16] Evangelii gaudium n. 120.
[17] Evangelii gaudium n. 103.
[18] Evangelii gaudium n. 104.
[19] Discorso del 7 febbraio 2015 ai partecipanti alla plenaria del Pontificio consiglio della cultura.
[20] Francesco, discorso per commemorare il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi (17 ottobre 2015).
[21] Giovanni Crisostomo, Explicatio in Ps. 149.
[22] Francesco, per commemorare il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi (17 ottobre 2015).
[23] Pagina Twitter ufficiale di papa Francesco del 2 ottobre 2014.
[24] Francesco, Discorso ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione (29 maggio 2015).
[25] Francesco, Discorso del 17 ottobre 2015 per commemorare il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi.
[26] Francesco, Discorso del 28 luglio 2013, in occasione dell’incontro a Rio de Janeiro con i vescovi responsabili del CELAM e discorso del 4 ottobre 2013 in occasione dell’incontro con il clero, persone di vita consacrata e membri di consigli pastorali.
[27] Evangelii gaudium n. 174.
[28] Evangelii gaudium n. 175.
[29] Evangelii gaudium n. 14.
[30] Evangelii gaudium n. 35.
[31] Evangelii gaudium n. 36.
[32] Discorso dell’11 ottobre 2017 ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione.
[33] Misericordiae vultus n. 12.
[34] Misericordiae vultus n. 10.
[35] Evangelii gaudium n. 37.
[36] Evangelii gaudium n. 187.
[37] Evangelii gaudium n. 195.
[38] Evangelii gaudium n. 48.
[39] Evangelii gaudium n. 198.
[40] Udienza del 3 giugno 2015.
[41] Evangelii gaudium n. 182.
[42] Evangelii gaudium n. 183.
[43] Evangelii gaudium n. 178.
[44] Evangelii gaudium n. 154.
[45] Evangelii gaudium n. 159.
[46] Discorso alla CEI del 18 maggio 2015.
[47] Evangelii gaudium n. 133.
[48] Lettera del 3 marzo 2015 alla Pontificia Università Cattolica Argentina.
[49] Udienza del 10 aprile 2014 alle Comunità della Pontificia Università Gregoriana, del Pontificio Istituto Biblico e del Pontificio Istituto Orientale.
[50] Discorso del 29 dicembre 2017 all’Associazione teologica italiana.
[51] Evangelii gaudium n. 24.
[52] Evangelii gaudium n. 79.
[53] Evangelii gaudium n. 95.
[54] Evangelii gaudium n. 128.
[55] Evangelii gaudium n. 271.
[56] Evangelii gaudium n. 99.
[57] Evangelii gaudium n. 273.
[58] Evangelii gaudium n. 238.
Non riesco a capire questa voluta precisione ad elencare tutti quegli elementi che appartengono alla figura del Papa Francesco. Quasi come se si dovesse giustificare che lui c’è ed è così.
Io voglio bene a questo papa per quello che è… un papa che nel solco della tradizione porta se stesso… quindi alcuni gesti propri, un modo di vedere la vita della Chiesa e del mondo… un papa che il Signore ci ha dato per l’oggi…
non condivido nemmeno quanti, anche interi episcopati, coltivano riserve o sono apertamente contro Francesco.
Io, ripeto, lo vedo semplicemente nel segno della continuità…. Quanti momenti unici, carichi di senso e di emozione, potremmo trovare negli ultimi pontificati! Ma continueremo a usare tutto questo per confronto? A pro di chi? Non giova certo alla Chiesa…
Due piccole sottolineature.
Abitare a San marta è stato proprio una scelta così importante e di povertà? Chi conosce bene la cosa sa che Casa S. marta è una casa blindata, nella quale un piano è stato riservato al papa e alle persone che ha vicino e alle varie esigenze di governo, per non parlare della sala da pranzo, il personale vive continuamente la tensione di aver lì il Papa…. Non è semplice… e vi assicuro che praticamente tutto si è semplicemente spostato….
La seconda sottolineatura, forse più importante. il Papa è anzittutto colui che conferma nella fede i suoi, i cristiani, la Chiesa… indica loro la via da seguire rileggendo la Parola e incoraggiando …. accompagna la mediazione della verità dottrinale dentro l’oggi… fa sì che la Tradizione non sia semplicemente tradizioni ma, guardando al passato, sia inculturazione del Vangelo dentro l’oggi… Tutto questo è molto di più della scelta dei poveri, sempre fatta!, …. E davvero stimolando i Vescovi delle Diocesi ad essere Apostoli in comunione con Roma ma anche, come il Concilio diceva, di essere responsabilmente pastori e maestri della propria Chiesa. Mentre al di là di quanto si dice e scrive … si percepisce questo papato come un nuovo centralismo della Chiesa di Roma.
La dimensione missionaria della Chiesa è dal Concilio che ritorna ovunque…. il Convegno di Palermo aveva addirittura scritto che non bastava più una pastorale di conservazione ma occorreva decidersi per la pastorale missionaria…….
Se così fosse i cristiani non si sentirebbero più vicini il Papa di oggi.
Auguri grandi a Papa Francesco.